In questo special, le recensioni di alcuni dei migliori film della 69. Mostra del cinema di Venezia
No quiero dormir sola
diretto da Natalia Beristain Se nella selezione ufficiale della sessantanovesima edizione della Mostra del Cinema di Venezia l’interesse è perlopiù catturato da quei vecchi, seppur ancor rispettabili emblemi del cinema mondiale, la ventisettesima edizione della Settimana Internazionale della Critica continua a proporre esemplari giovani e freschi che portano con loro, alla fine della prima settimana della rassegna, una ventata di autenticità. |
Il film in questione, No quiero dormir sola, merita indubbiamente di essere ricordato in primis per l’autenticità e per la sincerità con cui la regista, Natalia Berestain, filma una relazione particolare, quella tra due donne: un’anziana signora, un tempo brillante attrice messicana, e sua nipote, una giovane ragazza senza lavoro e appassionata di fotografia.
Potremmo forse definirlo un Sunset Boulevard moderno (film tra l’altro presentato nella sua versione restaurata nella sezione “Venezia Classici”), in cui la vecchia attrice, consapevole dello scorrere del tempo le cui conseguenze sono marchiate dalle pieghe sul suo viso, si abbandona completamente alla dissolutezza del bere, unico rimedio all’insonnia. Dello stesso male soffre la nipote che, invece di darsi all’alcool, preferisce sfogliare la propria rubrica telefonica e, di volta in volta, farsi consolare da un amante.
In un gioco speculare di sguardi e di attenzioni, le identità delle due si avvicinano e iniziano a ricostruirsi in maniera simmetrica e opposta, dando l’una all’altra la consapevolezza delle proprie debolezze e la soluzione al superamento delle stesse. Esemplare, in tal senso, è la sequenza in cui la regista mostra, attraverso un magistrale uso del montaggio alternato, i corpi delle due donne le quali, dopo aver fatto un bagno in piscina, decidono di fare la doccia: da una prima inquadratura, in cui le due protagoniste, prima la giovane e poi l’anziana, si susseguono guardando il proprio corpo nudo e riflesso allo specchio, la cinepresa coglie una serie di dettagli dei due corpi sotto la doccia che sottolinea maggiormente il senso estetizzante dell’autrice nei confronti di tutte le forme del femminile, da quelle lisce della giovinezza a quelle rugose dell’anzianità. Il sostegno psicologico che l’una riesce a dare all’altra diventa il punto di forza della narrazione e allo stesso tempo il paradosso dell’amore femminile, capace di comprendere il limite della sopportazione: il monologo finale, tratto dallo Zio Vania, è checoviano e recitato dall’attrice e si trasforma in quello che è il momento di massima comprensione da parte della nipote, nei confronti della situazione della nonna e decreta, da parte della prima, la decisione di dare alla seconda il suo barattolo di sonniferi.
Potremmo forse definirlo un Sunset Boulevard moderno (film tra l’altro presentato nella sua versione restaurata nella sezione “Venezia Classici”), in cui la vecchia attrice, consapevole dello scorrere del tempo le cui conseguenze sono marchiate dalle pieghe sul suo viso, si abbandona completamente alla dissolutezza del bere, unico rimedio all’insonnia. Dello stesso male soffre la nipote che, invece di darsi all’alcool, preferisce sfogliare la propria rubrica telefonica e, di volta in volta, farsi consolare da un amante.
In un gioco speculare di sguardi e di attenzioni, le identità delle due si avvicinano e iniziano a ricostruirsi in maniera simmetrica e opposta, dando l’una all’altra la consapevolezza delle proprie debolezze e la soluzione al superamento delle stesse. Esemplare, in tal senso, è la sequenza in cui la regista mostra, attraverso un magistrale uso del montaggio alternato, i corpi delle due donne le quali, dopo aver fatto un bagno in piscina, decidono di fare la doccia: da una prima inquadratura, in cui le due protagoniste, prima la giovane e poi l’anziana, si susseguono guardando il proprio corpo nudo e riflesso allo specchio, la cinepresa coglie una serie di dettagli dei due corpi sotto la doccia che sottolinea maggiormente il senso estetizzante dell’autrice nei confronti di tutte le forme del femminile, da quelle lisce della giovinezza a quelle rugose dell’anzianità. Il sostegno psicologico che l’una riesce a dare all’altra diventa il punto di forza della narrazione e allo stesso tempo il paradosso dell’amore femminile, capace di comprendere il limite della sopportazione: il monologo finale, tratto dallo Zio Vania, è checoviano e recitato dall’attrice e si trasforma in quello che è il momento di massima comprensione da parte della nipote, nei confronti della situazione della nonna e decreta, da parte della prima, la decisione di dare alla seconda il suo barattolo di sonniferi.
Un film giovane non solo perché giovane è la regista, ma soprattutto perché fresco e autentico è il modo in cui, questa, dirige la storia; una vicenda sicuramente degna di essere vista e menzionata.
Fabiana Lupo
Altre recensioni di questo numero speciale 69. Mostra del cinema
Chi ha visitato questa pagina ha letto anche:
Revue Cinema diretta da D. Montigiani - Sezione Storici Il servo, diretto da Joseph Losey Teorema, diretto da P. P. Pasolini Il raggio verde, diretto da Eric Rohmer Bella di giorno, diretto da Louis Bunuel Rashōmon, diretto da Akira Kurosawa |
Psychodream Theater - © 2012 Tutti i
diritti riservati