In questo special, le recensioni di alcuni dei migliori film della 69. Mostra del cinema di Venezia
Paradies: Glaube
diretto da Ulrich Seidl
Seconda pellicola della trilogia del regista austriaco Ulrich Seidl, già vincitore del Leone d’Argento nel 2001 con Canicola, Paradies: Glaube è il film politicamente scorretto di Venezia 69.
Agli antipodi rispetto al tanto atteso To the wonder di Terrence Malick, la pellicola è l’esatta opposta esasperazione del senso di ricerca cristiano tanto professato dal prete Javier Bardem nel film d’oltreoceano: se nel primo il cammino verso Dio sembra lungo e indefinito, nel film di Seidl il percorso religioso della protagonista si delinea esattamente sin dalla prima inquadratura, che definisce immediatamente l’atteggiamento remissivo della donna nei confronti della vita quotidiana e, soprattutto, di quella sessuale.
Interpretata dalla bravissima Maria Hofstätter, l’ormai attrice feticcio di Seidl, Anna Maria è una donna che, ad intervalli di tempo precisi e cronometrati, ama infliggersi punizioni corporali e innalzare così la sua anima di un gradino, verso il Paradiso. Lo dice la prima scena, che inizia con un’inquadratura lunga e fissa che riprende il totale di una piccola stanza sulla cui parete laterale si erge, imponentemente, un crocifisso: aperto il cassetto di una scrivania, la donna tira fuori un frustino e, inginocchiatasi davanti al Cristo, inizia una vera e propria autoflagellazione. La lunghezza dell’inquadratura determina, dunque, anche la veridicità dell’azione, come si può ben vedere dal rossore che lentamente aumenta sul corpo nudo dell’attrice; lo stacco di montaggio interviene solo qualche minuto dopo, quando la pelle è già segnata dalle linee della frusta.
Ecco dunque una splendida presentazione del personaggio, pulita, reale, scioccante, che catapulta il film direttamente in una dimensione fisica ed estrema, in cui la materia umana, il corpo, ripudiando il peccato ne diventa paradossalmente la sua sede privilegiata.
La prima svolta arriva nel momento in cui l’ex marito, rimasto paralizzato a causa di un incidente ritorna a casa: ciò che disturba la donna infatti non è tanto la religione del marito, musulmana per l’appunto, quanto il suo continuo e instancabile tentare di sedurla.
Anna Maria, votata ormai a Cristo, sembra non cedere alle tentazioni fin quando un giorno, casualmente, di ritorno dalle sue prediche pomeridiane porta a porta, si imbatte in un’orgia violenta e sfrontata davanti la quale rimane letteralmente perplessa.
Ed ecco la famosa scena che ha scandalizzato i più pudici cinefili del Lido: un’unica inquadratura, sempre fissa e lunga, riprende la donna a letto che schioda il crocifisso dalla parete, lo bacia come si fa con un amante e, dopo averlo infilato sotto la coperta, lo strofina vogliosamente contro il suo corpo, suggerendo un amplesso velato ma di forte impatto visivo. La scena, che non ha niente della corrispettiva scena de L’esorcista di Friedkin, è da leggere come la sublimazione della sottomissione fisica a Dio e, nello stesso tempo, la manifestazione pura delle contraddizioni dogmatiche del Cattolicesimo, che rivelano qui la loro controparte esasperata.
Anna Maria, votata ormai a Cristo, sembra non cedere alle tentazioni fin quando un giorno, casualmente, di ritorno dalle sue prediche pomeridiane porta a porta, si imbatte in un’orgia violenta e sfrontata davanti la quale rimane letteralmente perplessa.
Ed ecco la famosa scena che ha scandalizzato i più pudici cinefili del Lido: un’unica inquadratura, sempre fissa e lunga, riprende la donna a letto che schioda il crocifisso dalla parete, lo bacia come si fa con un amante e, dopo averlo infilato sotto la coperta, lo strofina vogliosamente contro il suo corpo, suggerendo un amplesso velato ma di forte impatto visivo. La scena, che non ha niente della corrispettiva scena de L’esorcista di Friedkin, è da leggere come la sublimazione della sottomissione fisica a Dio e, nello stesso tempo, la manifestazione pura delle contraddizioni dogmatiche del Cattolicesimo, che rivelano qui la loro controparte esasperata.
Fabiana Lupo
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