DIRETTA DA
DANIEL MONTIGIANI |
|
L’enigmatica presenza maschile proveniente chissà da quale punto dell’Esterno, con la serialità delicata e gentile di uno splendido “serial killer” senza alcuna arma se non quella fatta della materia di se stesso, affascina, conquista e seduce (anche e soprattutto sessualmente) nel giro di poco tempo uno per uno i membri della famiglia (in ordine: la governante, il giovane figlio, la madre, il padre, la giovane figlia). All’improvviso, senza alcuna spiegazione particolare, l’indecifrabile ospite comunica con gentile indifferenza la sua partenza: egli si limita a dire che deve andare che sta per andarsene. L’assenza accuratamente lasciata dall’enigmatico ospite nella casa inietta delle conseguenze estreme, perlopiù nefaste, nelle vite dei cinque membri della famiglia.
Questi (con l’eccezione della governante) confessano allo stesso enigmatico ospite di essersi resi conto del loro “spettacolare” vuoto, di ciò che non erano, di ciò che non sono, e, soprattutto, della loro attuale incapacità di poter trasformare questo loro vuoto in qualcosa di luminoso, di positivo. |
La governante (non a caso non un membro della borghesia) rappresenta una significativa, parziale eccezione, appunto: la donna, pur subendo anch’essa delle conseguenze a dir poco estreme, grazie all’incontro con l’ospite, sembra comunque riuscire a trovare e a estrarre il Sacro, tanto da arrivare persino a fare miracoli fino a decidere di farsi seppellire viva.
Ma chi è questo ospite, cosa rappresenta, cosa potrebbe rappresentare?
(Un) Dio, Un Demonio, entrambe le cose? O ancora Pasolini stesso (vista anche la presenza di rapporti omosessuali) che si inserisce in uno dei tanti tessuti, esempi della borghesia, per far comprendere, a questa, la sua incapacità di valori? Secondo lo stesso autore del film, non è poi (così) necessario scoprire veramente chi sia, cosa rappresenti il personaggio interpretato dal grande attore inglese. L’importante è sapere che si tratta di un uomo “dalla natura divina”, seppur fortemente ambigua. E, soprattutto, è importante sapere – ancora secondo lo stesso Pasolini – come e quanto la borghesia abbia perso il senso del Sacro e come, pur rendendosene conto, non riesca a trovarlo, a “praticarlo”.
Nella scena della governante sedotta dall’ospite vi è un’inquadratura che sembra rappresentare perfettamente l’ambigua, spiazzante e sfuggente natura di quest’ultimo: attraverso una soggettiva della governante distesa sul letto vediamo l’ospite ripreso in primo piano; il suo volto, l’atmosfera rilasciata dal suo sguardo e dal suo corpo sembrano non poter esistere se non sotto la forma di una sorta di benedetta ambiguità: in questa immagine, infatti, convivono silenziosamente elementi quasi angelici, dal sapore candido (gli occhi chiari e l’indiscutibile bellezza dei lineamenti del volto) con altri più “scuri”, quasi famelici (la strana “posa-ghigno” della bocca sorridente, il muro bianco ma cupo-ospedaliero allo stesso tempo, quasi dal sapore sporco, squallido e terragno che si staglia dietro la schiena dell’uomo). Una sorta di inquadratura-isola che sembra staccarsi dalla logica spazio-temporale del montaggio, della narrazione per assumere una valenza metaforica, emblematica, capace di vivere di vita propria.
La storia nel suo complesso, pur nella sua semplicità (o forse anche a causa di questa), risulta ermetica e “strana” quanto il personaggio del misterioso ospite. Si può parlare in effetti per certi aspetti di una narrazione che si nutre di metafore a tal punto da sfociare in un distante surrealismo: non è certo difatti realistica una situazione in cui una famiglia, in maniera assolutamente normale e “tranquilla”, accoglie una presenza "bizzarra” e improvvisa come quella dell’ospite sconosciuto. Al vago “surrealismo” della narrazione corrisponde in parte anche una sorta di “surrealismo” a livello visivo, condizione questa causata in particolar modo dalle spiazzanti inquadrature di una misteriosa porzione di fumosa e scura terra vulcanica che “interrompono” improvvisamente in più occasioni la coerenza narrativa e visiva del film. Anche in questo caso, sembra impossibile non parlare nuovamente di ambiguità, anche se qui non a livello della storia, bensì dell’immagine. La “presenza” di questa inquadratura di porzione di terra vulcanica più volte inserita improvvisamente nel corso del film può probabilmente prestarsi a più letture: traduzione visiva del “deserto” interiore di questa famiglia borghese? O, al contrario, metafora-immagine di una possibilità, di un desiderio di cambiamento, di passaggio dal rigido e represso recinto della borghesia verso una nuova dimensione, più aperta, più libera, più spirituale? O, più “semplicemente”, entrambe le cose?
Il finale visionario del film con il padre nudo che grida proprio in quel deserto (altro momento di alta metafora, forse) sembra in effetti suggerire che entrambe le opzioni possono essere valide.
Ovvero l’essersi forse reso/i conto dei propri limiti, del proprio vuoto quotidiano (grazie, appunto, alla frequentazione dell’ospite “dalla natura divina”) ma, allo stesso tempo, non riuscire a trovare, a creare i mezzi per mettere in atto delle vere e proprie modifiche in senso positivo, liberatorio alla propria vita grigio-borghese.
Spiazzante risulta essere anche la mescolanza di stili, delle varie tecniche di ripresa: ad esempio, a un incipit (che poi si scoprirà essere clamorosamente un flashforward) a base di riprese quasi da documentario, parlate, volutamente “normali”, visivamente “sciatte” con la macchina da presa in spalla si passa poco dopo a scene elegantemente immerse in un color seppia, silenziose, tanto che si ha l’impressione di trovarsi in un pezzo di vero e proprio cinema muto.
Ma chi è questo ospite, cosa rappresenta, cosa potrebbe rappresentare?
(Un) Dio, Un Demonio, entrambe le cose? O ancora Pasolini stesso (vista anche la presenza di rapporti omosessuali) che si inserisce in uno dei tanti tessuti, esempi della borghesia, per far comprendere, a questa, la sua incapacità di valori? Secondo lo stesso autore del film, non è poi (così) necessario scoprire veramente chi sia, cosa rappresenti il personaggio interpretato dal grande attore inglese. L’importante è sapere che si tratta di un uomo “dalla natura divina”, seppur fortemente ambigua. E, soprattutto, è importante sapere – ancora secondo lo stesso Pasolini – come e quanto la borghesia abbia perso il senso del Sacro e come, pur rendendosene conto, non riesca a trovarlo, a “praticarlo”.
Nella scena della governante sedotta dall’ospite vi è un’inquadratura che sembra rappresentare perfettamente l’ambigua, spiazzante e sfuggente natura di quest’ultimo: attraverso una soggettiva della governante distesa sul letto vediamo l’ospite ripreso in primo piano; il suo volto, l’atmosfera rilasciata dal suo sguardo e dal suo corpo sembrano non poter esistere se non sotto la forma di una sorta di benedetta ambiguità: in questa immagine, infatti, convivono silenziosamente elementi quasi angelici, dal sapore candido (gli occhi chiari e l’indiscutibile bellezza dei lineamenti del volto) con altri più “scuri”, quasi famelici (la strana “posa-ghigno” della bocca sorridente, il muro bianco ma cupo-ospedaliero allo stesso tempo, quasi dal sapore sporco, squallido e terragno che si staglia dietro la schiena dell’uomo). Una sorta di inquadratura-isola che sembra staccarsi dalla logica spazio-temporale del montaggio, della narrazione per assumere una valenza metaforica, emblematica, capace di vivere di vita propria.
La storia nel suo complesso, pur nella sua semplicità (o forse anche a causa di questa), risulta ermetica e “strana” quanto il personaggio del misterioso ospite. Si può parlare in effetti per certi aspetti di una narrazione che si nutre di metafore a tal punto da sfociare in un distante surrealismo: non è certo difatti realistica una situazione in cui una famiglia, in maniera assolutamente normale e “tranquilla”, accoglie una presenza "bizzarra” e improvvisa come quella dell’ospite sconosciuto. Al vago “surrealismo” della narrazione corrisponde in parte anche una sorta di “surrealismo” a livello visivo, condizione questa causata in particolar modo dalle spiazzanti inquadrature di una misteriosa porzione di fumosa e scura terra vulcanica che “interrompono” improvvisamente in più occasioni la coerenza narrativa e visiva del film. Anche in questo caso, sembra impossibile non parlare nuovamente di ambiguità, anche se qui non a livello della storia, bensì dell’immagine. La “presenza” di questa inquadratura di porzione di terra vulcanica più volte inserita improvvisamente nel corso del film può probabilmente prestarsi a più letture: traduzione visiva del “deserto” interiore di questa famiglia borghese? O, al contrario, metafora-immagine di una possibilità, di un desiderio di cambiamento, di passaggio dal rigido e represso recinto della borghesia verso una nuova dimensione, più aperta, più libera, più spirituale? O, più “semplicemente”, entrambe le cose?
Il finale visionario del film con il padre nudo che grida proprio in quel deserto (altro momento di alta metafora, forse) sembra in effetti suggerire che entrambe le opzioni possono essere valide.
Ovvero l’essersi forse reso/i conto dei propri limiti, del proprio vuoto quotidiano (grazie, appunto, alla frequentazione dell’ospite “dalla natura divina”) ma, allo stesso tempo, non riuscire a trovare, a creare i mezzi per mettere in atto delle vere e proprie modifiche in senso positivo, liberatorio alla propria vita grigio-borghese.
Spiazzante risulta essere anche la mescolanza di stili, delle varie tecniche di ripresa: ad esempio, a un incipit (che poi si scoprirà essere clamorosamente un flashforward) a base di riprese quasi da documentario, parlate, volutamente “normali”, visivamente “sciatte” con la macchina da presa in spalla si passa poco dopo a scene elegantemente immerse in un color seppia, silenziose, tanto che si ha l’impressione di trovarsi in un pezzo di vero e proprio cinema muto.
Una capacità questa che, non a caso, corrisponde contemporaneamente, parallelamente a quella apprezzata dallo stesso Pasolini di “prelevare”, “estrarre” atmosfere, momenti di Sacro dalla realtà quotidiana (e, in questo senso, soltanto la governante, attraverso i suoi miracoli subito dopo l’addio del misterioso ospite, è capace di ciò). A tal proposito può risultare emblematica la scena in cui il padre si trova in bagno: vediamo infatti una soggettiva stilistica del padre che mentre cammina a fatica all’interno del bagno allunga il braccio e la mano spalancata verso una piccola finestra opaca attraverso la quale filtra la luce solare. Proprio questo elemento del quotidiano, della vita di tutti i giorni – un semplice raggio di luce che filtra attraverso un vetro – grazie alla macchina da presa semovente di Pasolini, viene fatto as- somigliare ad una sorta di segno/segnale/presenza divina, come una sorta di istante luminoso di presenza di (un) Dio.
Del resto, la capacità del regista in questo film di trasformare semplici inquadrature in immagini dai tratti visionari e quasi dechirichianamente metafisici è riscontrabile più volte nelle modalità di ripresa della (fin troppo) grande villa di questa famiglia, arrivando talvolta persino a trasformare le stanze di questa sontuosa abitazione in tristi spazi inquietanti, quasi fastidiosi, tanto che, per certi aspetti, Pasolini, attraverso questo trattamento delle inquadrature, sembra quasi essere momentaneamente divenuto una sorta di Visconti visionario, inquietante, appunto.
Del resto, la capacità del regista in questo film di trasformare semplici inquadrature in immagini dai tratti visionari e quasi dechirichianamente metafisici è riscontrabile più volte nelle modalità di ripresa della (fin troppo) grande villa di questa famiglia, arrivando talvolta persino a trasformare le stanze di questa sontuosa abitazione in tristi spazi inquietanti, quasi fastidiosi, tanto che, per certi aspetti, Pasolini, attraverso questo trattamento delle inquadrature, sembra quasi essere momentaneamente divenuto una sorta di Visconti visionario, inquietante, appunto.
Daniel Montigiani
Chi ha visitato questa pagina haletto anche:
|
Psychodream Theater - © 2012 Tutti i
diritti riservati