Teoretica sì, teoretica no ..
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Abbiamo detto scrivere di arte per l’appunto e non già scrivere un’Arte, un teatro a noi contemporaneo almeno. Il rischio infatti di chi scrive di teatro è quello di dover rimasticare e far rimasticare la stessa misticanza trita e ritrita anche nelle sue più impercettibili sfumature e può significare il darsi a un’attività di riscrittura di un’antica modalità artistica, per esempio, dove rispolverare un soggetto che però, oggi come oggi, non possiamo più percepire come davvero era alle sue origini. Le manipolazioni che una odierna interpretazione conferirebbe a questa attività ci porterebbero a rivalutare le sue sorti in un senso diverso rispetto alle premesse reali di quello originale. Già questo è risaputo. Scrivere una nuova Arte, invece, non deve essere ne una guerra al ’vecchia’ espressione ne un compito obbligato a sviluppare nuovi stilemi fini a se stessi.
Può capitare però che partendo all’avanscoperta delle innumerevoli possibilità di praticare un determinato percorso, ci si scopre potenziali decostruttori dei fare artistici precedenti, nell’ottusa intuizione che ci spinge a realizzare semplicemente quello che esperisce la realtà prima ancora che noi, facendo del nuovo stile solo un sintomo di una intuizione a priori. Questa meccanica è procedimento già avvenuto e con accertati risultati. |
Diversamente accade quando si innestano conseguenze dove si vaglino ipotesi di una lasciva e stucchevole matrice artistica, ovvero che ci si areni nelle più prevedibili delle scelte. Traditi da questo disprezzevole moto ci si chiede dunque come fare per produrre o rinnovare manifestazioni di stupore tra il pubblico, sancendo nuove prospettive sul gradimento da parte degli utenti di un accattivante servizio intenzionalmente autoreferenziale dove aumenta il narcisismo tra i fautori di un “potere” rancido che sta al di là del sipario o della skené dai tempi dei romani e anche prima.
Anche quella dell’autore è in effetti una beffa il cui danno, evidentemente, non è ancora stato assimilato e che fa dei narcisisti del cartellone, la rovina di ogni mise en scene, tale, che sarebbe meglio definire mise en place; a beneficiarne sono sempre i più affamati di gloria, convenuti a un banchetto innanzi al quale non ci si può più accorgere quanto sia dannosa quest’epoca di liberalizzazioni dei mercati e non solo, ora in via di diramazioni sempre più sconcertanti presso le politiche mondiali. Strizzerei la spugna ricordando quanto detto da Freud a proposito del nostro destino incerto, quando descrive i cambiamenti che già intercorrevano a cavallo tra i suoi due secoli, ovvero, il problema del passaggio da una civiltà animistica, basata sulla pulsione del soggetto in direzione dell’oggetto del desiderio su cui tragicamente si è voluto fondare l’individuo e il suo riconoscersi come prodotto da consumare, e questo, mentre l'individuo stesso si conclama con paradossale orgoglio in posa quale il migliore dei consumatori.
Anche quella dell’autore è in effetti una beffa il cui danno, evidentemente, non è ancora stato assimilato e che fa dei narcisisti del cartellone, la rovina di ogni mise en scene, tale, che sarebbe meglio definire mise en place; a beneficiarne sono sempre i più affamati di gloria, convenuti a un banchetto innanzi al quale non ci si può più accorgere quanto sia dannosa quest’epoca di liberalizzazioni dei mercati e non solo, ora in via di diramazioni sempre più sconcertanti presso le politiche mondiali. Strizzerei la spugna ricordando quanto detto da Freud a proposito del nostro destino incerto, quando descrive i cambiamenti che già intercorrevano a cavallo tra i suoi due secoli, ovvero, il problema del passaggio da una civiltà animistica, basata sulla pulsione del soggetto in direzione dell’oggetto del desiderio su cui tragicamente si è voluto fondare l’individuo e il suo riconoscersi come prodotto da consumare, e questo, mentre l'individuo stesso si conclama con paradossale orgoglio in posa quale il migliore dei consumatori.
Al pranzo dei convitati di pietra della nuova ‘Società dello spettacolo’ nulla finisce avariato anzi, pare che il marciume delle vivande da consumarsi divenga paradossalmente l’unico vero cibo per lo spirito dei commercianti dell’arte. Se ne vedono i risultati alle varie mostre cinematografiche, d’arte, concerti. etc.., etc.. Passerelle che tentano sempre l’idolatria del divismo, ormai mitologico-passatista, offerte a tante “nuove cere” presso molta cultura italiana e non solo.
Statue ormai ammaestrate da giornalisti, critici e sponsor tutti uguali. Questi sono i resti che neanche un cieco mancherebbe di scorgere nel panorama attuale, mentre nell’annusare resti di belletti su volti di muffa percepisce il decesso delle energie pulsionali e mistiche di un’arte veritiera, se non altro. Un panorama tragico la cui agnizione vive dell’impotenza di trasformazione di coloro cui ogni vigliacco s’inchina, l’impossibilità di apportare una energia consapevoli dei riflussi delle generazioni e dell’enorme potere di cambiamento che potrebbe profondere un nostro autentico impegno. Alla nuova ‘Società dello spettacolo’ non rimane che l’ammuffimento di chi si spende ammansito, a contribuire al deperimento della vita nelle sue più speciali e specializzate differenze. |
Quello che dunque vuole proporre la sacra titubanza del nostro progetto teatrale, la traiettoria perseguita dal fondatore e dagli attori che lo hanno caratterizzato, la fede in un sviscerato pragmatismo che ne ha delineato una drammaturgia e uno schema compositivo della sceneggiatura, si specializza in un lavoro del e sull’artista scaturito da un particolare momento del suo mestiere, un momento che riguarda un o dei tanti esercizi teatrali, un punto di partenza da cui sviluppare molti elementi drammaturgici che gravitano attorno la sua professione.* |
Un fare, tra quelli ormai tradizionali delle avanguardie passate, che già è stato offerto come pratica di un certo tipo di scelte teatrali ma, a quanto sembra, non ancora elaborato a stile perseguibile nelle sue potenzialità. Pare che si siano visti gli spettrali abbozzi di questo fare tra la Germania e la Spagna lungo gli ultimi 5 anni. Io ho iniziato 25 anni fa a trovare delle ‘particelle innominabili’ di un certo sentire teatrale che, a torto o a ragione, voglio proporvi attraverso le ricerche mie e dei gruppi con cui ho lavorato, ripercorrendo il fenomeno per cui si vorrebbe l’umanità più concreta e reale, il ripristino di quell’aspetto pulsionale del recondito umano come speranza di riconsegnare, a se stesso, l’uomo d’oggi attraverso una realtà oggettiva che lo rende ecosofico.
Un viatico dal quale molta arte non può più prescindere, lo sa l'artista e chi ha bisogno delle sue stemperate alla realtà, per il bene della creatività stessa insita in ogni persona e dal quale, a ragione, ogni artista non può eludere proprie implicazioni personali e professionali. Dopo le infauste ferite regalategli dai carnefici dei governi, dagli sconfitti dall’angoscia di perire, infatti, questi eroi, poeti della differenza, della non omologazione, vivono un percorso che represso dalle prepotenze dell’esistenza sociale, imprecazione alla vita, spinta all’uomo d’oggi verso il burrone del farsi sempre più consumatore fra i consumatori, è l’allucinazione, il cannibalismo psichico, il farsi consumare dai propri simili in un limbo di vigliaccheria e risentimento senza fine. A questa sindrome del subalterno inferta ad ogni massa e senza ragione, non si può dare un teatro che non risponda, in ogni sua forma, attraverso reazioni più o meno apotropaiche e/o immunitarie di ragguardevole responsabilità. Se un teatro ha la pretesa di scriversi ancora, dovrebbe sparare, in un abbaglio, in ogni nostro pulsionale relegare al caso, l’autenticità di una traiettoria dove cavalcare ognuno, attori psicopompi, a farsi portatori e fonti di forze desideranti, a farsi balie della nostra creatività.
Maggiori informazioni alla ricerca teatrale sono approfondite nel volume Quel Me Smedesimo, dove sono raccolti i miei studi e le mie esperienze in merito al progetto Psychodream Theater.
Un viatico dal quale molta arte non può più prescindere, lo sa l'artista e chi ha bisogno delle sue stemperate alla realtà, per il bene della creatività stessa insita in ogni persona e dal quale, a ragione, ogni artista non può eludere proprie implicazioni personali e professionali. Dopo le infauste ferite regalategli dai carnefici dei governi, dagli sconfitti dall’angoscia di perire, infatti, questi eroi, poeti della differenza, della non omologazione, vivono un percorso che represso dalle prepotenze dell’esistenza sociale, imprecazione alla vita, spinta all’uomo d’oggi verso il burrone del farsi sempre più consumatore fra i consumatori, è l’allucinazione, il cannibalismo psichico, il farsi consumare dai propri simili in un limbo di vigliaccheria e risentimento senza fine. A questa sindrome del subalterno inferta ad ogni massa e senza ragione, non si può dare un teatro che non risponda, in ogni sua forma, attraverso reazioni più o meno apotropaiche e/o immunitarie di ragguardevole responsabilità. Se un teatro ha la pretesa di scriversi ancora, dovrebbe sparare, in un abbaglio, in ogni nostro pulsionale relegare al caso, l’autenticità di una traiettoria dove cavalcare ognuno, attori psicopompi, a farsi portatori e fonti di forze desideranti, a farsi balie della nostra creatività.
Maggiori informazioni alla ricerca teatrale sono approfondite nel volume Quel Me Smedesimo, dove sono raccolti i miei studi e le mie esperienze in merito al progetto Psychodream Theater.
Francesco Panizzo