Codice ISSN: 2281-9223 Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XIII mese di Novembre, 2013 - Anno II
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Nasce a Parigi nel 1910, ai piedi della collina di Montmatre, da una famiglia di emigrati ebrei di Odessa, capitale ucraina: la madre era una pianista lituana, il padre un melomane tale da infonderne la passione per la musica classica al proprio figlio, Willy Ronis. Il padre aprì un suo studio personale, sotto lo pseudonimo di Roness. Willy inizierà a interessarsi alla fotografia, attraverso la promozione di esposizioni e di mostre quando, nel 1932, di ritorno dal servizio militare, abbandonando la facoltà di diritto, dove si iscrisse nel 1929, col sogno imperituro di diventare compositore, trovò il padre gravemente malato, tanto da dover prendere in mano lo studio, fino alla morte dello stesso, avvenuta nel 1936. In quest’anno Willy Ronis dovette trasferirsi con la famiglia nell’XI arrondissement di Parigi. Ronnis si appassiona subito al reportage fotografico, immortalando le manifestazioni operaie, coniugando l’aspetto estetico compositivo dell’opera con i suoi ideali, aneliti e ispirazioni di base di una poetica che sta per irrompere nella sua produzione. Incomincia in questo periodo la creazione artistica di Ronnis, confrontandosi con figure già affermate, che fanno della propria cultura politica la base fondativa del messaggio artistico che vanno a esprimere attraverso lo scatto. Il Fronte Popolare diventa quello spazio fisico e politico all’interno del quale Ronnis si formerà, in un continuo rapporto dialettico con Robert Capa, autore della famosa fotografia del combattente spagnolo nella guerra civile colpito dal fuoco di un fucile e cadente a terra, Kertesz, Brassai, e, infine, Cartier-Bresson.
Ronnis calibrerà, pertanto, l’attenzione ai propri ideali culturali e politici senza mai abbandonare quell’afflato, presente già dall’inizio della sua produzione, esplosivo di una volontà di crescita e di maturazione, tale da portare ad affermare uno stile, una tecnica e una poetica propria e autonoma, affrancandosi, senza disconoscerli, dai maestri, così possiamo definirli, e che lo hanno introdotto nel mondo della produzione artistica, riferimenti esecutivi, compositivi ed estetici. |
È in questo lasso di tempo che Ronnis vedrà confermare una sua totale autonomia, fuori da ogni accademismo ripetitivo e di facciata, fuori da ogni esercizio, seppure magistrale, di pedissequo formalismo: la sua, quella di Ronnis, è una fotografia che, apparentemente, può essere definita come formale ma che, in realtà, diventa composizione lirica, poetica, ricca di quegli elementi oggettivi e tangibili, funzionali a esprimere l’emozione del vivere quotidiano, intriso di un’umanità genuina, giocando, osando sperimentare si può dire, con le luci e le ombre.
È dirompente esteticamente e a livello contenutistico, tanto da rendere quasi una rappresentazione iperreale, la fotografia Devant Chez Mestre del 1947. In questa opera traspare tutta la sintesi compositiva ed estetica del percorso unitario e in continua evoluzione di Ronnis. L’autore è riuscito, così, a trovare forme di compenetrazione e di contagio tra un filone realistico, quello di una fotografia che rappresenta la realtà senza orpelli mediativi e filtri estetici e di contenuto, tali da renderla volutamente avulsa dal contesto e artificialmente astratta, e una passione lirica densa di umanità, quasi da riportare alla mente le tinte romantiche, o preromantiche, di tanta pittura internazionale, partendo da quella sapienza dell’utilizzo delle luci e delle ombre di un Caravaggio. È quanto può essere, così, riscontrabile in Devoirs de Vacances, Summer (Vincent), 1945, dove la luce disegna quasi la forma, i contorni, di un bambino che scrive sulla lavagna il suo nome: quello spiraglio di luce, quel raggio impressionante diventa guida estetica che dona significante alla composizione fotografica, rendendo la fotografia quasi pittorica, ancor più difficile e complessa nella sua fase di produzione, dato il bianco e nero con cui è stata realizzata.
È dirompente esteticamente e a livello contenutistico, tanto da rendere quasi una rappresentazione iperreale, la fotografia Devant Chez Mestre del 1947. In questa opera traspare tutta la sintesi compositiva ed estetica del percorso unitario e in continua evoluzione di Ronnis. L’autore è riuscito, così, a trovare forme di compenetrazione e di contagio tra un filone realistico, quello di una fotografia che rappresenta la realtà senza orpelli mediativi e filtri estetici e di contenuto, tali da renderla volutamente avulsa dal contesto e artificialmente astratta, e una passione lirica densa di umanità, quasi da riportare alla mente le tinte romantiche, o preromantiche, di tanta pittura internazionale, partendo da quella sapienza dell’utilizzo delle luci e delle ombre di un Caravaggio. È quanto può essere, così, riscontrabile in Devoirs de Vacances, Summer (Vincent), 1945, dove la luce disegna quasi la forma, i contorni, di un bambino che scrive sulla lavagna il suo nome: quello spiraglio di luce, quel raggio impressionante diventa guida estetica che dona significante alla composizione fotografica, rendendo la fotografia quasi pittorica, ancor più difficile e complessa nella sua fase di produzione, dato il bianco e nero con cui è stata realizzata.
In questa opera assaporiamo molto l’influenza di un Doysneau, colui che affrontava la narrazione dei bambini, la loro espressività naturale e spontanea, durante le loro attività ludiche giornaliere, conferendo quasi quella dignità e quel rispetto, tra serietà e attenzione espressiva. Di Edouard Boubat Ronnis riprende quella capacità, attento osservatore della quotidianità, ambientata soprattutto nella sua città eterna, Parigi, di dare grazia, configurando un aspetto eterno e universale, all’esal-tazione di quei momenti vuoti della vita, di quei passaggi che, senza un occhio sensibile che sappia inventare, invenire, la forma artistica, risulterebbero fortemente consuete. |
È in questo che noi possiamo dire di saper affrontare immagini come quelle impresse nell’opera Champigny/Marne, 1957, dove la natura sovrasta il panorama, diventando un’alcova all’interno della quale si inseriscono bagnanti distesi su un ramo o una superficie: in questo ambito, sapiente sempre l’uso attento delle luci e delle ombre, quindi credibile il tratto raffigurativo del suo obiettivo, donando plasticità alle forme, si apprezza la capacità di rendere panistica l’intera narrativa, un’armonia con il contesto in cui l’essere umano si unisce, vivendo di emozioni e sensazioni che traspaiono nell’abilità compositiva di Ronnis. Le sue fotografie sono quasi corali, diventando l’autore direttore d’orchestra di elementi differenti che si uniscono, disegnando un quadro poetico, lirico ed estetico armonico ed equilibrato. La città diventa teatro, trasformandosi in portatrice di messaggi, di valori e significati significanti, il lato estetico è sempre prevalente portandoci ad attraversare la realtà, superandola, umanistici, portando al centro l’esistenza umana, la sua complessità, inducendo e suggerendo il rispetto dei diritti e della dignità della persona, la centralità, quasi fosse un dipinto rinascimentale con venature neoclassiche, dell’individuo che è inserito, qui la valenza ideale politica di Ronnis, nella collettività, nel contesto temporale dove agisce. È, così, presente la mano dell’essere umano che si percepisce, pur nella sua assenza, in Place de la Concorde, 1952, in cui le vetture diventano quasi testimonianza di un progresso che si pone in dialettica con il restante spazio urbano, denso di storia e di epoche. L’essere umano si ciba, si alimenta, si nutre, del contatto fisico e della passione di vivere le emozioni, contrastando con la freddezza, la nave sullo sfondo, di una macchina da guerra: è quello che si percepisce in Fecamp le depart du Terre Neuva, 1949.
Il bacio, ricorre in molta fotografia contemporanea a Ronnis, così come in molta pittura simbolista e astratto concettuale, è l’esempio più incisivo di come il soggetto umano diventi parte centrale di una vita, quella di strada, di una città, quale è Parigi per Ronnis, con note di semplicità compositiva e ironica destrutturazione della vita comune, quella che, superficialmente, può essere liquidata come rutinante. Infine, in Ronnis i vuoti, l’horror vacui, i silenzi, le assenze diventano presenze, elementi forti e incisivi nella narrativa fotografia e nell’estetica compositiva: dove vi è uno spazio vi è l’espressione forte e viva, intensa, di una rappresentazione immanente, quindi universale, di un concetto di fondo che vive di quell’armonia estetica e raffigurativa. Dopo la guerra Ronnis lavorerà per Life Magazine, primo fotografo francese a farlo, così come a esporre, grazie al curatore Edward Steichen al Museum of Modern Art nel 1953 in una collettiva denominata Quattro fotografi francesi. Concludiamo con Marie Anne et Vincent dans la niege, 1952, dove più visibile è il gioco con le forme che portano, nell’uniformità cromatica di base, il bianco candido della neve, interrotto da rami molto esili, e da una profondità, dove figure umane giocano tra di loro, a leggere i diversi livelli e strati di composizione dell’opera, quasi dando quella percezione di spazialità, utile ad arricchire di figure e di dimensioni l’opera nel suo complesso.
Alessandro Rizzo
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