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PASSPARnous e Alphaville - XIII - Numero
Traiettorie,
. profonde altezze. Radici delle stelle
Il tredicesimo numero della rivista tratta il tema della “traiettoria”.
Editoriale a cura di Francesco Panizzo
Traiettoria non è direzione. Quest’ultima prevede che un punto di partenza sia seguito da un secondo punto di arrivo o, che questi due punti siano considerati realmente effettivi. Ma qui mi interessa parlare maggiormente del percorso che va da un eventuale punto a un eventuale all’altro, piuttosto che soffermarmi sui punti in questione. Niente partenza o metà, niente inizio niente fine, dunque.
Vorrei articolarmi più di quanto si possa quando, a dispetto di chi continua a omaggiare le identità, si torna forzatamente a trattare proprio di queste che il percorso intraprendono. La tratta. Questa sì è interessante davvero. Se parlassimo di coloro che la traiettoria compiono staremmo per forza a parlare di trasformazioni e, queste, principio di indeterminazione di Heisenberg a parte, possono solo lì dove ci si appronta a una sintomatologia dell’analisi a posteriori, un rendiconto del viaggio affrontato. Ce ne staremo nel mentre del “tra”, nella linea invisibile che collega due altrettanto invisibili punti (quella apparenza data da partenza e arrivo) sempre illusori, presi a prescindere o a posteriori. Mi ritorna alla mente Il giardino dei ciliegi di Čhecov, di questo spazio, stupro di valori, lasciato in balia, soprattutto, di una sovversione del suo equilibrio. |
Oltre la sovversione, però, ci interessa qui parlare della traiettoria che un tale spazio ha vissuto. Il passaggio che parte dalle stelle per arrivare alle stalle, detta prosaicamente, dove i personaggi di questo capolavoro lirico, sono mossi da avvenimenti ancor più grandi di loro, in una corrosione dello spazio che li coinvolge, nell’attraversamento dello “spirito del ‘loro’ tempo”.
Un tempo che anch’esso si corrode da e di per sé, nella perenne logica di successione delle manifestazioni del reale. Lo sa bene il giovane, audace e intraprendente filosofo Diego Fusaro che sta dichiarando guerra alla eurocrazia del potere economico, mentre tende la mano al Pasolini nazionale; filosofo il quale, Fusaro, morta la “scorsa” borghesia, si incentra nella denuncia del fallimento del neoliberalismo (altro che ciliege..). Proprio quel neoliberalismo che aveva trovato le sue radici anche nella defunta fortuna di “classe” dei Borísovic/Raniévskaia di turno, proprietari del giardino di ciliegi di checoviana memoria.
Un tempo che anch’esso si corrode da e di per sé, nella perenne logica di successione delle manifestazioni del reale. Lo sa bene il giovane, audace e intraprendente filosofo Diego Fusaro che sta dichiarando guerra alla eurocrazia del potere economico, mentre tende la mano al Pasolini nazionale; filosofo il quale, Fusaro, morta la “scorsa” borghesia, si incentra nella denuncia del fallimento del neoliberalismo (altro che ciliege..). Proprio quel neoliberalismo che aveva trovato le sue radici anche nella defunta fortuna di “classe” dei Borísovic/Raniévskaia di turno, proprietari del giardino di ciliegi di checoviana memoria.
Si sente un suono remoto del cielo: il suono di una corda di violino che si spezza, un suono triste, moribondo... Torna il silenzio e si sente sola, lontana, la scure che s’abbatte su un albero. [1]
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È il cessare delle identità, dove il vuoto, sfibra ogni manifestazione. È quel tempo di un Montale quasi dantesco che non entra cristianamente in un inferno ma realizza, diremo buddisticamente, l’esperienza della vacuità del tutto:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
5 le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
10 Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
La contemplazione lungo un percorso intrapreso assieme all’amata, quel femminile dell’umano, nella condensazione con la miopia della sua partner. Una miopia delle stelle per la quale vale la pena esautorare la tunica dantesca di un Virgilio al positivo, quel marcato faro nella notte per cui Dante ci dice “guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle.” Per vedere la traiettoria si deve mancare a se stessi. Così Montale, nonostante la sua analisi a posteriori e il suo “miope Virgilio” entra nella selva oscura tramite una miopia demiurgica di oscurità splendente.
Ma l’uomo vive dei suoi limiti che questa oscurità vogliono rendere sempre una materia discinta e asettica; ben de-finita. Una oscurità che l’umano vuole opposta alla luce, ma Artaud lo diceva nel suo Eliogabalo, l’anarchico incoronato, che la luce del sole porta alla cecità, non solo presso la religione del sole nella nera eucarestia della Siria salmodiante.
Un’avversione denunciata anche da Guénon nel suo Il regno della Quantità e i Segni dei Tempi, quando mette in guardia gli esotici del sincretismo:
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
5 le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
10 Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
La contemplazione lungo un percorso intrapreso assieme all’amata, quel femminile dell’umano, nella condensazione con la miopia della sua partner. Una miopia delle stelle per la quale vale la pena esautorare la tunica dantesca di un Virgilio al positivo, quel marcato faro nella notte per cui Dante ci dice “guardai in alto, e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle.” Per vedere la traiettoria si deve mancare a se stessi. Così Montale, nonostante la sua analisi a posteriori e il suo “miope Virgilio” entra nella selva oscura tramite una miopia demiurgica di oscurità splendente.
Ma l’uomo vive dei suoi limiti che questa oscurità vogliono rendere sempre una materia discinta e asettica; ben de-finita. Una oscurità che l’umano vuole opposta alla luce, ma Artaud lo diceva nel suo Eliogabalo, l’anarchico incoronato, che la luce del sole porta alla cecità, non solo presso la religione del sole nella nera eucarestia della Siria salmodiante.
Un’avversione denunciata anche da Guénon nel suo Il regno della Quantità e i Segni dei Tempi, quando mette in guardia gli esotici del sincretismo:
Bisogna anzitutto rammentare che l’ordine umano e l’ordine cosmico non sono in realtà separati, come troppo facilmente ci si immagina ai giorni nostri, ma che al contrario sono così strettamente legati che ciascuno di essi reagisce costantemente sull’altro e che esiste sempre una corrispondenza fra i loro rispettivi stati.[2]
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Qui Guénon ci
parla di “materializzazione cosmica” che procede kantianamente a
giustificare la necessità umanoide di razionalizzare la realtà
attraverso e per i costrutti del linguaggio. Ma noi dovremmo intendere
per unione degli opposti ciò che invece dovrebbe essere pulsante di un
altro vibrare nella visione. Opposti che in realtà non
sono altrimenti complementari ma, semplicemente, la stessa “cosa”. È il
gioco delle stelle con la terra, deità intercorrente fra entroterra e
galassie. Nominazioni di olimpi, “inquilini del super attico”, Super Io
freudiani, altro se non che la cantina presimbolica delle
manifestazioni. Dove le stelle sono radici. Le radici, stelle. Così, “Intraprenderemo
un viaggio in un mondo ‘sotterraneo’, il mondo dei significati nascosti
dietro le apparenze delle cose, il mondo dei simboli in cui tutto è
significante, in cui tutto parla per chi sa intendere”, come dice
un proverbio della tradizione orale Peul. Intendere, tendere-in,
nell’intimo. Tendere “tra”, traiettorie, profonde altezze. Radici delle
stelle, stelle delle radici.
Buona lettura...
Ideazione: Francesco Panizzo;
Responsabili di redazione: Daniel Montigiani, Alessandro Rizzo, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Roberto Zanata, Davide Faraon, Martina Tempestini, Viviana Vacca, Francesco Panizzo;
Editor: Francesco Panizzo;
Progetto grafico: Francesco Panizzo
Responsabili di redazione: Daniel Montigiani, Alessandro Rizzo, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Roberto Zanata, Davide Faraon, Martina Tempestini, Viviana Vacca, Francesco Panizzo;
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Scrivono in PASSPARnous: .
Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faron, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Francesco Panizzo.
Le immagini di copertina sono foto di alcuni quadri del pittore Claudio Massini
Sezione
Musikanten diretta da Roberto Zanata Sezione
Apparizioni diretta da Martina Tempestini Sezione
Reportages diretta da Davide Faraon |
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Sezione
Psychodream Review diretta da Viviana Vacca e Francesco Panizzo Sezione
Witz diretta da Sara Maddalena Sezione
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