Codice ISSN: 2281-9223 Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XIII mese di Novembre, 2013 - Anno II
Il collage si innesta
nell’eclettica arte di Romare Bearden, narratore di una comunità. Articolo di Alessandro Rizzo Apprezzare l’arte di Romare Bearden è difficile in una prima, e spesso superficiale, visione delle sue opere, tante, molteplici, dif- ferenti nelle tecniche, espressioni di un’evoluzione nel genere e nel contenuto.
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Si dice che Romare Bearden potrebbe essere, come novello Duccio di Boninsegna, uno dei suoi riferimenti, testimone del suo tempo, del suo popolo, della sua appartenenza culturale, quell’intera comunità afroamericana, vivendone e rappresen-tandone scene di vita quotidiana in ambientazioni esotiche. Si fermerà, risiedendo, con la moglie Nanette, con cui convola a nozze nel 1954, nella isola caraibica di St. Martin, nella casa di famiglia della sposa. Molte sue opere percorreranno la vita di ogni giorno della popolazione del luogo, in ambientazioni lussureggianti e suggestive: il colore è parte principale in questa fase della produzione di Bearden, fornendo alle figure una loro dimensione plastica, pur attraverso figurazioni semplici, a volte stilizzate, a volte essen-ziali. Volti, profili e spazi diventano, così, quasi forme appiattite, ma balzanti attraverso l’uso sapiente dei colori primari e secondari puri, dalla forte luminosità, dalla grande capacità di accendere rappresentazioni sempre più vive, uscendo fuori da quello che, all’inizio della sua produzione artistica, appariva essere il genere di riferimento, quello naturalistico e prettamente figurativo espressionista. Il collage, in questa fase, diventa la tecnica più seguita, quasi percorso ultimo di arrivo di una mente artistica che ha segnato pagine di letteratura artistica internazionale, e che non si è mai accontentata dei livelli raggiunti, cercando, sempre, di superarli.
Rielabora, quindi, con grande autonomia e consapevolezza, Matisse, che è quasi capostipite di questo genere di arte, approdando a un’astrazione, dove i soggetti sono evidenziabili su un campo di sfondo omogeneo nella tonalità, nell’uniformità cromatica, verso effetti dinamici, fluidi, cinetici quasi, proprio grazie a un contrasto sapiente che si innesta in questo percorso narrativo. Aderendo all’Harlem Artists Guild, Bearden incomincerà a intraprendere, ap- punto, uno sviluppo, chiave di volta nella sua formazione eclettica, si interessa di musica, di letteratura, fotografia, teatro, fissando nell’arte figurativa quell’impeto unico e universale.
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La sua arte è sintesi di estetiche e di ispirazioni, alimentate dalla sua poliedrica curiosità, dove si evidenziano le fondamenta dell’arte africana, la scultura, i tessuti e le maschere quali fonti di ispirazione interessanti e presenti in lui, dei mosaici bizantini, dell’arte orientale, quella giapponese, dalle tinte quasi oniriche e delicate, ricordando riflessi di un Giotto, oppure quale quella che si apprende dalle stampe cinesi. Bearden, come novello de Hooch, a sua volta “discepolo” di un Vermeer e di tanta scuola fiamminga, evidenzia una conoscenza rappresentativa dal sapore anche gotico dei soggetti, esprimendo nella sua produzione una pittura di genere, scene ed episodi narrati nella loro naturale quotidianità e in situazioni domestiche o presso scorci cittadini, voce di una società, di un’intera comunità, che si esprime attraverso visi, profili, soggetti.
Possiamo anche dire che nell’arte di Bearden ci sia quella luminosità di uno spazio che diventa espressione viva, quasi assumendo una corposità, una dimensione palpabile e percettibile, l’attenzione per le forme, le linee, i lati che, quasi significanti, esprimono l’ambiente in cui si inserisce, ecco vivo il contesto, il soggetto, coscienza che viene proposta sotto una forma fortemente emotiva, ma basata su una struttura che si calibra attraverso i giochi di effetti ottici e prospettici, sovrapposizioni di figure e di immagini, calibrate quanto consapevoli.
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La sua formazione viene da lontano: lui, laureatosi alla New York University in scienze dell’educazione, inizia proprio a New York a esplorare la complessità della sua arte, iniziando a frequentare importanti figure di spicco della scena della Grande Mela, e a lavorare come fumettista e art director per il mensile Il Medley, già direttore artistico del Beanpot, rivista umoristica universitaria di Boston.
Diventerà, poi, fumettista per la rivista Baltimora, afro- americana. A Bearden sono stati attribuiti diversi premi: dalla laurea honorem causa lasciata dal Pratt Institute, dal Carnegie Mellon University e dal Davidson College, Università di Atlanta; il Premio d’Onore del Sindaco di New York City nel 1984 e la National Medal of Arts. |
Bearden, presente in molte collezioni pubbliche, il Metropolitan Museum of Art, il Whitney Museum of American Art, il Philadelphia Museum of Art, il Museum of Fine Arts di Boston e lo Studio Museum in Harlem, ha sempre espresso originalità e grande capacità creativa nel suo contesto, quello novecentesco, tanto da essere nominato primo direttore artistico della nuova costituzione del Consiglio Culturale Harlem, lobby di pressione afro-americano, lui già fondatore dell’Accademia nera delle Arti e delle Lettere, dove si prodigherà nel suo mecenatismo, promozione di giovani proposte dirompenti e, spesso, di rottura, autonome. Ne sono passati di momenti da quella sua prima personale ad Harlem nel 1940: da quel periodo si sono susseguiti collages, acquerelli, oli, fotomontaggi e stampe, vive percezioni raffigurative di allegorie e metafore visive di un destino, quello di una comunità a cui Bearden ha sempre afferito: la comunità afro-americana.
Alessandro Rizzo
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