_Codice ISSN: 2281-9223 Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XII mese di Ottobre, 2013 - Anno II
Tra surrealismo
e sogno: il soggettivismo di un puro automatismo nella pittura di Leonora Carrington Articolo di Alessandro Rizzo |
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Il magma interiore è prodromico requisito di una produzione artistica ampia e intensa, sempre pronta a rivedersi, rivisitassi, rinnovarsi, riproporsi. È questo percorso che ha interessato un’altra delle artiste più celebri del secolo passato, il Novecento, dove arte, poetica e politica, messaggi culturali e ideali, si univano in un unicum inscindibile e reciprocamente funzionale, non sempre in un’accezione positiva: Leonora Carrington. La giovane pittrice diventerà anche scrittrice, riportando ed esprimendo con l’impeto della parola, la sua carica emotiva e quindi rappresentativa, immaginifica, la depressione che deve affrontare nel 1939, non appena Max Ernst venne arrestato dalla polizia francese nel periodo in cui la Francia entra in guerra contro la Germania, lei internata in un ospedale psichiatrico in Spagna, dove ha emigrato.
La ragazza si trova, così, orfana del suo riferimento artistico per eccellenza, in quella Parigi densa di contaminazioni e incontri culturali, patria di novelle correnti artistiche, dove nasce il primo gruppo di surrealisti, corrente a cui lei si riferirà, senza mai esserne totalmente pervasa, nella sua produzione artistica. Il gruppo era clandestino, tenuto dal fondatore del surrealismo, Andrè Breton, e vedeva nel proprio manifesto basare le proprie idealità valoriali in un’analisi della società, quasi empirica, sorretta da quella necessità di cambiamento interiore, quasi spirituale, tra Marx e Rimbaud, per giungere a un livello di emancipazione dell’individuo, che si pone al di sopra di una realtà conflittuale e configgente, asfittica e asfissiante, limitata e limitante. |
L’oggetto, ciò che viene rappresentato, è immaginazione e idea palpitanti, che promanano dalla fantasia del soggetto: il percorso è interiore e libera l’inconscio, l’inconsapevole verso una maggiore consapevolezza del sé, della propria esistenza, della propria energia vitale e irrazionale, intervenendo in una dimensione onirica.
Il sogno è quello che traspare come filo conduttore di una produzione figurativa, quale quella di Leonora Carrington, avvenuta liberando dai freni inibitori, che solo il reale ci impone nelle sue convenzioni eterodirette ed eteroimposte, il proprio io, le proprie ispirazioni, i propri sentimenti, le proprie emozioni, le proprie energie vitali, recondite, qui entra l’aspetto onirico. Possiamo definire la pittura della Carrington un’arte di certo surrealista, parte da elementi naturali, oggettivi, la fauna e la flora, spesso combinati tra di loro, sovrapposti, generando creature complesse, per creare immagini improbabili, rappresentazioni di un reale irreale, ponendo l’una figura a fianco di un’altra, in modo autonomo l’una dall’altra, a volte scisso, ma legato da un contesto fantastico, molto interiore, quasi flusso senza briglie intellettive di un sogno, che si può avere anche in ciò che Dalì definiva essere la proiezione di un pensiero in uno stato di subcoscienza e pre-coscienza in un intrepido vortice visionario. Nella pittura di Leonora Carrington troviamo l’illogicità di un flusso interiore intimo di un Max Ernst; nell’estraniamento e nell’astrazione dalla realtà, con stimoli continui di ricerca visiva e figurativa, troviamo molto del patrimonio artistico di un Magritte: vediamo, così, compenetrarsi queste due tendenze poetiche in un continuo sperimentalismo di tecniche, molte erano in uso tra i surrealisti; altrettanto molte quelle attuate da Leonora Carrington, che morirà a Città del Messico, a 94 anni, nel maggio 2011, abituata sempre a incedere e procedere in una produzione estetica volta a riprendere quell’intensità vibrante immaginifica e introspettiva. Si legge, inevitabile non oltrepassare quel delicato limite posto, una venatura di simbolismo, ossia quell’ispirazione continua che trova suggerimento da elementi naturali, reali, veri, tangibili, percepiti e percepibili dalla mente umana, alimentando, soprattutto per occhi attenti e preparati, la considerazione su messaggi che interrogano il nostro inconscio, la nostra parte recondita, magma vitale di nuove rappresentazioni, di mondi inesplorati, di panorami mai raggiunti, riflettuti, osservati.
Il sogno è quello che traspare come filo conduttore di una produzione figurativa, quale quella di Leonora Carrington, avvenuta liberando dai freni inibitori, che solo il reale ci impone nelle sue convenzioni eterodirette ed eteroimposte, il proprio io, le proprie ispirazioni, i propri sentimenti, le proprie emozioni, le proprie energie vitali, recondite, qui entra l’aspetto onirico. Possiamo definire la pittura della Carrington un’arte di certo surrealista, parte da elementi naturali, oggettivi, la fauna e la flora, spesso combinati tra di loro, sovrapposti, generando creature complesse, per creare immagini improbabili, rappresentazioni di un reale irreale, ponendo l’una figura a fianco di un’altra, in modo autonomo l’una dall’altra, a volte scisso, ma legato da un contesto fantastico, molto interiore, quasi flusso senza briglie intellettive di un sogno, che si può avere anche in ciò che Dalì definiva essere la proiezione di un pensiero in uno stato di subcoscienza e pre-coscienza in un intrepido vortice visionario. Nella pittura di Leonora Carrington troviamo l’illogicità di un flusso interiore intimo di un Max Ernst; nell’estraniamento e nell’astrazione dalla realtà, con stimoli continui di ricerca visiva e figurativa, troviamo molto del patrimonio artistico di un Magritte: vediamo, così, compenetrarsi queste due tendenze poetiche in un continuo sperimentalismo di tecniche, molte erano in uso tra i surrealisti; altrettanto molte quelle attuate da Leonora Carrington, che morirà a Città del Messico, a 94 anni, nel maggio 2011, abituata sempre a incedere e procedere in una produzione estetica volta a riprendere quell’intensità vibrante immaginifica e introspettiva. Si legge, inevitabile non oltrepassare quel delicato limite posto, una venatura di simbolismo, ossia quell’ispirazione continua che trova suggerimento da elementi naturali, reali, veri, tangibili, percepiti e percepibili dalla mente umana, alimentando, soprattutto per occhi attenti e preparati, la considerazione su messaggi che interrogano il nostro inconscio, la nostra parte recondita, magma vitale di nuove rappresentazioni, di mondi inesplorati, di panorami mai raggiunti, riflettuti, osservati.
È meglio rimanere in un linguaggio visivo nella descrizione delle opere di Leonora Carrington, in quanto l’impatto, quasi impressionismo di seconda generazione, sulle nostre visioni è fortemente incisivo. La mera visività supera la dimensione del reale per inoltrarsi in un ginepraio incontrollato, e incontrollabile, dove si gioca tutta la portata del concetto culturale del surrealismo, che è l’essenza per eccellenza di quell’ideismo, il flusso incontrastabile e perpetuo di idee, immagini mentali ed emotive, di quello che potrebbe essere iden- tificabile come quel sogno folle, che aiuta a superare la realtà tangibile, emancipando l’individuo da convenzioni e pregiudizi, da conformazioni indotte e tramandate. L’amore è il perno che porta a trovare quella mano di poeticità utile e funzionale a dare sviluppo a una produzione artistica sempre protesa a ricercare, e cercare, senza mai accontentarsi di un obiettivo raggiunto o, semplicemente, scorto. L’autrice inglese riprenderà dal simbolismo quella carica notevole, quasi prevaricante, mai invadente, mai oscurante, di soggettivismo, significante artistico e poetico, lirico, rappresentativo, che diventa significato onirico, quindi proprio dell’inconsapevole inconscio, del subconscio liberato e recondito, scoperto attraverso la liberazione dei sensi, nella loro conducibilità in un alveo di disinibita scoperta del sé. Sarebbe opportuno, per esemplificare pensieri che potrebbero apparire troppo concettuali e, appunto, astratti, fare riferimento ad alcune opere in particolare, sarebbe da dedicare un’intera monografia all’autrice, ripercorrendone la poetica attraverso le basi fondanti del surrealismo, anche se della Carrington tutto può essere detto, ma non essere stata autrice accademica e pedissequa seguace di una corrente.
Animali quasi mitologici, a volte visioni quasi spettrali, si propongono in atmosfere indeterminate, pennellate che danno una visione eterea, impalpabile, imprendibile, evanescente, confusa nei contorni, per donarci quella sensazione di onirica visione in cui ci intro-duciamo, magicamente trasportati, qui si spiega la carica di pennellate delicate dai colori tenui, addolciti, molte sono le tinte scure, mai appesantite, offrendoci proprio quel senso di liberazione dei sensi e delle idee nel loro fluire, in una dimensione intima, inconscia, inattesa. Alcune rappresentazioni inquietano, funzional- mente alla dimensione di evanescente panorama sospeso tra un reale e un sogno, quasi stato precosciente. “Il reale funzionamento del pensiero” in quello che nel manifesto si
definisce essere “automatismo psichico puro” per concedere, questo
elemento è vivo nella produzione della pittrice, particolarmente in queste
opere, quel significante che diventa significato di uno stato irrazionale, in
quanto dalla ragione, controllo e filtro delle pulsioni del nostro inconscio,
del pensiero in noi intrinseco, ci si vuole liberare.
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Nulla è dato alla preoccupazione di una dimensione, quasi logica, convenzionale, dell’estetica, nel suo concetto etimologico e letterale: tutto non ha una morale, ma evocazioni continue ci portano, assemblando immagini vive e reali, in qualcosa di non concepibile dalla mente umana desta, ricercando, e iniziando a trovare, senza mai esserne esausti, altri significati, a noi ignoti, presenti in potenza nel nostro animo.
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Alessandro Rizzo
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