Codice ISSN: 2281-9223 - Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XII mese di Ottobre, 2013 - Anno II
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La poesia e l’editoriale di apertura del numero di Passparnous di questo mese, entrambi dell’amico Francesco Panizzo, trattano un argomento che ancora è avvolto dai dubbi di mille domande e adatto a imbastire discorsi fatti di troppi se e di troppi ma.
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Il bianco e il nero
- Until the end of the world - Testo di Davide Ostinatumtempo Faraon |
Sfortunatamente, alle guerre degli anni novanta, che devastarono tutta la zona dei Balcani, sono concessi ben pochi se o ma. Molte persone hanno avute grosse responsabilità per aver fatto si che città come Mostar, Srebrenica e Višegrad ora risultino tristemente famose; e responsabilità hanno avute molte persone per molto altro ancora. Difficile sopportare senza provare un brivido, che a due passi dall’Italia, alle porte dell’Europa e, sopprattutto, alle porte del terzo millennio, si sia permessa la peggiore barbarie dai tempi del nazismo. Una pandemia d’odio e di follia, dove le peggiori bassezze furono compiute da uomini, e con molta difficoltà li chiamo tali, senza scrupoli. I nomi dei vari Mladic, Arkan, Karadžić, solo per citarne alcuni, ancora risuonano in maniera macabra. Imperdonabili le pulizie etniche, i genocidi e i massacri compiuti anche sotto gli occhi di chi nulla fece per prevenirli. Imperdonabile l’intento di distruggere una cultura millenaria fatta di integrazioni e convivenze.
Tuttora mi chiedo come sia stato possibile che gli eventi si siano svolti in tale modo.
Gli anni novanta passarono all’ombra di queste guerre. Le notizie arrivavano continue e recidive le immagini trasmesse dalle TV, tra l’indifferenza iniziale dell’occidente, contrapposta alle tante azioni di singoli cittadini o di associazioni umanitarie che cercarono in tutti i modi di portare aiuti e sostentamenti, o cercarono di sottrarre a quella mattanza chi più poterono.
Non ci credo ora e non ci credevo allora all’esistenza di un amaro destino per i balcani, il destino inevitabile della “Polveriera d’Europa”. Come non credo che queste guerre siano germinate per questioni etnico/religiose, altresì come in tutte le guerre, a farla da padrone è sempre e solo il denaro.
...ripensavo a questo guardando il paesaggio, fumando appoggiato al finestrino del treno che lentamente, mi stava portando a Sarajevo. Neppure venti anni erano passati da tali eventi. Mi ridestai sentendo il treno rallentare e mi sporsi per leggere in quale stazione si stesse fermando, lessi Vinkovci e segnai il punto sulla cartina. Mi trovavo a pochi chilometri da Vukovar, città anch’essa divenuta tristemente famosa. Spensi la sigaretta, l’avrei dovuto fare già qualche chilometro addietro, in Croazia è vietato fumare in treno.
Tuttora mi chiedo come sia stato possibile che gli eventi si siano svolti in tale modo.
Gli anni novanta passarono all’ombra di queste guerre. Le notizie arrivavano continue e recidive le immagini trasmesse dalle TV, tra l’indifferenza iniziale dell’occidente, contrapposta alle tante azioni di singoli cittadini o di associazioni umanitarie che cercarono in tutti i modi di portare aiuti e sostentamenti, o cercarono di sottrarre a quella mattanza chi più poterono.
Non ci credo ora e non ci credevo allora all’esistenza di un amaro destino per i balcani, il destino inevitabile della “Polveriera d’Europa”. Come non credo che queste guerre siano germinate per questioni etnico/religiose, altresì come in tutte le guerre, a farla da padrone è sempre e solo il denaro.
...ripensavo a questo guardando il paesaggio, fumando appoggiato al finestrino del treno che lentamente, mi stava portando a Sarajevo. Neppure venti anni erano passati da tali eventi. Mi ridestai sentendo il treno rallentare e mi sporsi per leggere in quale stazione si stesse fermando, lessi Vinkovci e segnai il punto sulla cartina. Mi trovavo a pochi chilometri da Vukovar, città anch’essa divenuta tristemente famosa. Spensi la sigaretta, l’avrei dovuto fare già qualche chilometro addietro, in Croazia è vietato fumare in treno.
Balcani Occidentali
Andare nella Jugoslavia, la che fu, era atto dovuto.
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Questa cartolina sonora inizia a Belgrado. Salgo intorno alle 19:45 alla stazione di Venezia, sull’ultimo vagone di un treno diretto a Budapest, con un biglietto fino al confine sloveno, dato che non riesco ad acquistare, in nessuna stazione ferroviaria della mia zona (Venezia, Mestre, Treviso), un biglietto unico per questa città. |
Le informazioni che riesco ad avere sul da farsi sono ben poche. Un mistero al quale vengo difficilmente a capo, esprimendomi a fatica, a gesti e con disegni sul finestrino, stilizzati fra me e il viaggio che scorre fuori dal treno per comunicare a un vecchio controllore serbo a treno già partito.
.... i biglietti li avrei acquistati in treno a varie ore della notte e a seconda dei confini varcati, quindi un biglietto in Slovenia, uno in Croazia e uno in Serbia. La notte da passare, prevedibile, in dormi veglia, svegliato di continuo dai controllori per i biglietti e dalle guardie per il controllo dei documenti.
La cosa è tale ed enfatizza ancor più il mio arrivo a Belgrado. La grande e bianca Belgrado, affascinante e lunatica, capace di baciarti per poi schiaffeggiarti. Il suo popolo fiero è lì, dove i palazzi in stile Neoclassico o Art Nouveau si alternano a quelli in cemento armato dell’epoca sovietica, monumenti ormai grigi testimoniano un passato dai molteplici avvenimenti. Le belle aiuole del centro accompagnano tutta la via pedonale sino ad arrivare alla fortezza, adagiata dove la Sava incontra il Danubio. Il parco di Kalemegdan offre l’ombra degli alberi ai vecchi che passano i pomeriggi giocando a scacchi tra bambini instancabili e mamme con carrozzine, dona l’intimità alle copiette che in disparte si baciano e ridono o a chiunque desideri rilassarsi in una giornata di sole.
Il 99 fu l’anno degli aerei e dei bombardamenti. Ingiusti. Criminali. Ancora visibili i colpi.
Da lì un lungo sferragliare di rotaie fino a Sarajevo. Le due città distano poco più di 300 km una dall’altra, ma il tragitto in treno è lungo, lunghissimo. Fantastica e nevralgica Sarajevo, martoriata e in cerca di un nuovo futuro. Ancora segnata da quei tre lunghi anni di assedio con quel ricordo ancora vivo delle fiamme che fuoriescono dal tetto della grande biblioteca. Toglie il fiato la distesa di lapidi che si arrampica per la collina.
Amo questa città, la sua storia, la sua gente. Città dalle mille librerie e dalle mille sfacettature, dove le moschee si alternano alle chiese cattoliche, alle chiese ortodosse e alle sinagoghe. Ricordo di essere stato colto da un inspiegabile piacere semplicemente leggendo, sotto agli alberi lungo La Miljacka, il libro che avevo con me. Sarajevo è magica.
E poi nuovamente in treno, lungo la gola della Neretva, impetuoso fiume, per arrivare arrivare a Mostar, la custode del ponte. Qui chiamato Stori Most, una luna pietrificata, brutalmente abbattuto vent’anni fa. Ora si presenta binchissimo, ricostruito seguendo le tecniche antiche, ma le immagini della sua caduta sono sconvolgenti. Ancora i tuffatori, dalla cima del ponte si lanciano, facendoti trattenere il fiato, temendo tu per loro. Mostar, dove il campanile della Chiesa Francescana sembra voler fare a gara in altezza con i minareti delle moschee.
Ermin e sua madre gestiscono un accogliente ostello a due passi dal ponte. La madre, purtroppo non ricordo il nome, mi racconta della sua roccambolesca fuga verso l’Italia con il bambino ancora piccolo in quei violenti anni novanta e delle telefonate in piena notte da parte della Croce Rossa, per metterla in contatto col marito rimasto a Mostar. Mi parla di una città del Sud Italia dove un tempo venne accolta a braccia aperte e per la quale, entrambi, provano ancora un devoto amore. Di amici presi e mai più ritrovati. E poi, per lei ci fu il ritorno in una Mostar ricoperta di macerie, ma non importava, c’era la voglia di ricominciare. Entusiasta mi racconta della ricostruzione del ponte e del centro della città, non mancando di fermarsi su mille dettagli, termina parlandomi della festa d’inaugurazione e dell’ incredibile folla che allora vi partecipò.
La cartolina sonora prosegue verso Spalato, Split per i croati. Un mare meraviglioso ti accoglie e l’odor di lavanda invade l’aria. Per sbollire i pensieri dei giorni precedenti, trovo piacevole e di utile necessità, perdermi tra le callette del palazzo di Diocleziano o passeggiare lungo il molo ascoltando la risacca del mare e il brusio di tante persone per poi scoprire i resti di una antica città, Salona, a due passi dal centro e traversare l’Adriatico a bordo di un traghetto.
.... i biglietti li avrei acquistati in treno a varie ore della notte e a seconda dei confini varcati, quindi un biglietto in Slovenia, uno in Croazia e uno in Serbia. La notte da passare, prevedibile, in dormi veglia, svegliato di continuo dai controllori per i biglietti e dalle guardie per il controllo dei documenti.
La cosa è tale ed enfatizza ancor più il mio arrivo a Belgrado. La grande e bianca Belgrado, affascinante e lunatica, capace di baciarti per poi schiaffeggiarti. Il suo popolo fiero è lì, dove i palazzi in stile Neoclassico o Art Nouveau si alternano a quelli in cemento armato dell’epoca sovietica, monumenti ormai grigi testimoniano un passato dai molteplici avvenimenti. Le belle aiuole del centro accompagnano tutta la via pedonale sino ad arrivare alla fortezza, adagiata dove la Sava incontra il Danubio. Il parco di Kalemegdan offre l’ombra degli alberi ai vecchi che passano i pomeriggi giocando a scacchi tra bambini instancabili e mamme con carrozzine, dona l’intimità alle copiette che in disparte si baciano e ridono o a chiunque desideri rilassarsi in una giornata di sole.
Il 99 fu l’anno degli aerei e dei bombardamenti. Ingiusti. Criminali. Ancora visibili i colpi.
Da lì un lungo sferragliare di rotaie fino a Sarajevo. Le due città distano poco più di 300 km una dall’altra, ma il tragitto in treno è lungo, lunghissimo. Fantastica e nevralgica Sarajevo, martoriata e in cerca di un nuovo futuro. Ancora segnata da quei tre lunghi anni di assedio con quel ricordo ancora vivo delle fiamme che fuoriescono dal tetto della grande biblioteca. Toglie il fiato la distesa di lapidi che si arrampica per la collina.
Amo questa città, la sua storia, la sua gente. Città dalle mille librerie e dalle mille sfacettature, dove le moschee si alternano alle chiese cattoliche, alle chiese ortodosse e alle sinagoghe. Ricordo di essere stato colto da un inspiegabile piacere semplicemente leggendo, sotto agli alberi lungo La Miljacka, il libro che avevo con me. Sarajevo è magica.
E poi nuovamente in treno, lungo la gola della Neretva, impetuoso fiume, per arrivare arrivare a Mostar, la custode del ponte. Qui chiamato Stori Most, una luna pietrificata, brutalmente abbattuto vent’anni fa. Ora si presenta binchissimo, ricostruito seguendo le tecniche antiche, ma le immagini della sua caduta sono sconvolgenti. Ancora i tuffatori, dalla cima del ponte si lanciano, facendoti trattenere il fiato, temendo tu per loro. Mostar, dove il campanile della Chiesa Francescana sembra voler fare a gara in altezza con i minareti delle moschee.
Ermin e sua madre gestiscono un accogliente ostello a due passi dal ponte. La madre, purtroppo non ricordo il nome, mi racconta della sua roccambolesca fuga verso l’Italia con il bambino ancora piccolo in quei violenti anni novanta e delle telefonate in piena notte da parte della Croce Rossa, per metterla in contatto col marito rimasto a Mostar. Mi parla di una città del Sud Italia dove un tempo venne accolta a braccia aperte e per la quale, entrambi, provano ancora un devoto amore. Di amici presi e mai più ritrovati. E poi, per lei ci fu il ritorno in una Mostar ricoperta di macerie, ma non importava, c’era la voglia di ricominciare. Entusiasta mi racconta della ricostruzione del ponte e del centro della città, non mancando di fermarsi su mille dettagli, termina parlandomi della festa d’inaugurazione e dell’ incredibile folla che allora vi partecipò.
La cartolina sonora prosegue verso Spalato, Split per i croati. Un mare meraviglioso ti accoglie e l’odor di lavanda invade l’aria. Per sbollire i pensieri dei giorni precedenti, trovo piacevole e di utile necessità, perdermi tra le callette del palazzo di Diocleziano o passeggiare lungo il molo ascoltando la risacca del mare e il brusio di tante persone per poi scoprire i resti di una antica città, Salona, a due passi dal centro e traversare l’Adriatico a bordo di un traghetto.
Linea editoriale
del mio viaggio -
Mi premeva dire che sul filmato del numero precedente, ho avuto dei problemi con i diritti d’autore della canzone Like a Rolling Stone di Bob Dylan. Ho dovuto, seppur a malincuore, sostituirla con la stessa canzone reinterpretata da Jimmy Hendrix. Penso che il filmato non ne perda.
Detto questo, confermo che anche in questa cartolina sonora le musiche sono risultate importantissime e scelte con cura. Ho utilizzato nel montaggio, dei filmati tratti da Youtube, opportunamente contraddistinti.
Il filmato si apre con la canzone Pattins dei CSS, un gruppo brasiliano che mescola elettronica e indie rock ad altre tipologie di arte, come cinema e design, alla quale segue Do You Love Me di Nick Cave and the Bad Seeds, entrambe perfette a mio avviso per rappresentare Belgrado, giovane e in pieno fermento, città che in ogni dove ti grida di amarla. Miss Sarajevo cantata da Luciano Pavarotti insieme agli U2 accompagna il viaggio verso Sarajevo. Mi piace l’attacco di Pavarotti sulla vista della città. Non potevo non pensare alla canzone Cupe Vampe dei CSI visitando la Biblioteca e passeggiando per quelle vie, in ogni dove martoriate. Chi ha guardato il film Underground di Emir Kusturica musicato da Goran Bregovic, non può non aver amato quel triste e meraviglioso tango in cui i protagonisti ballano sotto i bombardamenti. Per il viaggio lungo la meravigliosa gola cristallina della Neretva ho scelto Splendido Amore di Moltheni, musicista indipendente che stimo tantissimo. La canzone si conclude con le parole “nascerà un nuovo mondo, gentile e imperfetto, ma immune da tutto” che hanno per me un forte valore, contrapposte alle immagini dello Stori Most che cade alzando onde altissime e seguita dalla commovente e triste Hallelujah di Jeff Buckley. Per Spalato e il suo mare ho desiderato cambiar registro con Bubamara, un’allegra canzone tratta da un altro divertente film di Emir Kusturica e sempre composta dal maestro Goran Bregovic. La chiusa finale spetta a Dance of the Little Swans tratta da Swan Lake Suite, Op. 20 del grande Pyotr Tchaikovsky.
Per concludere vorrei ringraziare l’amico Francesco Koske Callearo detto DJK e il suo MicroDub Studio, per l’aiuto che mi presta nella registrazione della mia voce e successivo mixaggio con le canzoni d’apertura.
Per questa uscita ho scelto Cherry Blossoms dei Tindersticks, band inglese.
Rinnovo la speranza che il filmato, diviso in due parti per motivi tecnici, vi aggradi dunque, come la scorsa volta, non mi resta che augurarvi buona partenza.
Andare per luoghi vuole dire conoscere persone,
aprire mondi con un sorriso,
condividere storie.
No Man Is an Island
Le solite necessità lasciano il posto ad altre necessità...
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Con infinito piacere
Davide Ostinatumtempo Faraon HomePlate 07/09/13 |
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