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Dietro ai
candelabri
Un film di Steven Soderbergh
Articolo di Daniel Montigiani
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Con Dietro i candelabri Soderbergh sceglie il percorso del film biografico, svolgendo il potenzialmente interessante, o perlomeno stimabile, lodevole compito di descrivere gli ultimi anni di vita dell’americano Wladziu Valentino Liberace (conosciuto normalmente e più semplicemente come Liberace e qui interpretato da Michael Douglas), cantante, pianista, compositore che è riuscito ad attraversare ben quattro decenni di musica fra registrazioni, concerti, con qualche incursione anche in angoli cinematografici e televisivi. Liberace è però stimolante anche come personaggio, per motivazioni che hanno niente o poco a che fare con la dimensione musicale.
L’artista omosessuale ha infatti costituito una fertile, crescente e combattuta “zona umana” (o disumana), ad esempio, per i gender studies. Liberace, nato nel 1919 e morto di Aids nel 1987, è stata la prima star mondiale a rendere pro- tagonista il pacchiano ma fondamentale carisma di un’eccentricità anche creativamente spinta, a indossare abiti e comportamenti a dir poco esuberanti e fuori dalla norma, decisioni scin- tillanti queste che hanno ispirato personaggi scandalosi e debordanti come Elton John, Boy George e Grace Jones. Ma, in parte parados-salmente, nonostante tutta questa femminea, sana e liberatoria esposizione, Liberace non ha mai dichiarato la propria omosessualità, anzi, in rari ma sensibili casi è stato persino abbastanza poco corretto da arrivare a rilasciare interviste per parlare male proprio di questi argomenti, creando non poca confusione e polemica nella comunità gay.
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Il film di Soderbergh si concentra in
particolare non solo (e non tanto) su Liberace come presenza di
stravagante uomo di spettacolo, ma anche, in particolare, sulla nascita,
il rapido e incalzante sviluppo, il deterioramento e la fine della
relazione nascosta al pubblico fra il bizzarro artista e Scott Thorson
(un Matt Damon quasi irriconoscibile, come buffamente ringiovanito), il quale, quasi improvvisamente e un po’ per caso, diviene prima il suo autista, segretario, poi amante e confidente. Soderbergh si reca dunque narrativamente dietro i candelabri, appunto, dietro le grandi luci che, per quanto limpide e fortissime, hanno come il compito di nascondere il doppio segreto della vita intima di Liberace (della sua sessualità, della sua storia d’amore); i candelabri dunque, come delicato quanto difficile simbolo della spinta volontà di Liberace della sua verità nascosta, come nascondiglio dettato dalla non totale accettazione di sé.
Le parole, i concetti principali che possono venire in mente per quest’ultimo film di Soderbergh possono essere amore, spettacolo, sessualità, eccesso, musica, narrazione limpida, lineare che si muove in avanti per raccontarsi ma anche per dare vita alla commozione e al senso della fine dopo la luminosità anche sguaiata del successo, della fama e del potere.
Ma è Kitsch, soprattutto, la parola-concetto-filosofia che Soderbergh prova a imporre per tutta la durata del film, grazie soprattutto al continuo “sparpagliamento” della presenza, delle abitudini, della casa e dei luoghi di Libera- |
race e della tendenza dell’artista a “obbligare” gli altri al suo stile, Scott, soprattutto.
Ma Soderbergh, per quanto interessante nelle intenzioni, fa scoppiare
in silenzio una vistosa dico- tomia che, a modo suo, potrebbe persino
essere vista come un “talento” (piuttosto sui generis).
Ovvero: tanta presentazione, esposizione ed esplosione di kitsch e camp per un film nel complesso perfettamente piatto. Soderbergh, appunto, espone il kitsch e camp del film, il kitsch emanato dall’aria e aura di Liberace, ma il suo lavoro è assolutamente banale, aggettivo che, in genere, si trova dalla parte opposta di, appunto, camp. Con una regia di un classico che tocca quasi sempre la noia dell’ovvietà e del senso del piatto e del televisivo, Soderbergh tenta di far emergere un impasto “totale” di kitsch e camp, un impasto visivo-concettuale: la scena che mostra la prima volta in cui i due si trovano nella grande e ovviamente bizzarra camera da letto di Liberace, vediamo un primo piano di un confuso, stordito Scott che, dopo un’appassionata fellatio, guarda verso l’alto. L’inquadratura successiva, tramite raccordo di sguardo, mostra proprio un dettaglio osservato dal coprotagonista, una porzione di affresco finto elegante di sante sul soffitto.
Ovvero: tanta presentazione, esposizione ed esplosione di kitsch e camp per un film nel complesso perfettamente piatto. Soderbergh, appunto, espone il kitsch e camp del film, il kitsch emanato dall’aria e aura di Liberace, ma il suo lavoro è assolutamente banale, aggettivo che, in genere, si trova dalla parte opposta di, appunto, camp. Con una regia di un classico che tocca quasi sempre la noia dell’ovvietà e del senso del piatto e del televisivo, Soderbergh tenta di far emergere un impasto “totale” di kitsch e camp, un impasto visivo-concettuale: la scena che mostra la prima volta in cui i due si trovano nella grande e ovviamente bizzarra camera da letto di Liberace, vediamo un primo piano di un confuso, stordito Scott che, dopo un’appassionata fellatio, guarda verso l’alto. L’inquadratura successiva, tramite raccordo di sguardo, mostra proprio un dettaglio osservato dal coprotagonista, una porzione di affresco finto elegante di sante sul soffitto.
Tramite il filmico e
la narrazione, dunque, si prova qui ad applicare un piccolo esempio di kitsch,
ma il regista non sembra abbastanza originale per affrontare una serie di
inquadra- ture come queste di certo non particolarmente originali, nemmeno per
quanto riguarda il de- siderio di suscitare anche la più piccola risata qui data
dalla vistosa opposizione sesso/sante.
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Quello a cui Soderbergh alla fine
dà origine in questo film è un kitsch e un camp fatti di sola cartilagine,
senza, cioè, un vero corpo, delle vere ossa, un’autentica struttura che trasmetta
l’eterogeneo, peculiare eccesso dell’artista americano, limitandosi alla fine a
sfociare in una sorta di eccentricità innocua e di plastica da Barbie e Ken.
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Daniel Montigiani
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Scrivono in PASSPARnous: k
Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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