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Philomena Un film di Stephen Frears
Articolo di Daniel Montigiani |
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Il nuovo film di Frears, presentato con un buon successo di critica all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, è perlopiù perennemente caratterizzato e irrobustito da due fondamentali macroaree, ciascuna delle quali è formata da almeno tre aree principali: la prima è quella della tragedia, o meglio del dramma mescolato a un senso della riflessione e all’ironia; la seconda, invece, ha a che fare con un continuo accostamento, avvicinamento di presente, passato e dunque ricordo (tre aree, quest’ultime, che, almeno inizialmente, vengono anche mescolate da un punto di vista visivo, con un intreccio di inquadrature appartenenti sia al presente che al passato di Philomena).
Il regista inglese dimostra per tutta la durata del film un’indubbia capacità di maneggiare e spar- gere la prima fondamentale macroarea, quella del dramma che si getta pesante in un senso di riflessione, i quali, quasi da subito, vengono rag- giunti e parzialmente “sciacquati” dall’ironia, dallo scherzo, dal lancio “allentante” della battuta. Ma Frears, in realtà, ha una capacità salottiera di spargere per il film un forte intreccio di, appunto, dramma/senso della riflessione ed elementi mar- catamente ironici (questi ultimi azionati soprat- tutto da Philomena) e, dunque, questo dovrebbe in realtà significare che tale abilità di Frears è sol- tanto apparente.
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Qui, infatti, il non indifferente
problema di base ha proprio a che fare con un continuo “salotto
metaforico” cinematografico, insomma, Frears, che lo sappia o meno,
anche forse a causa di una fotografia poco interessante e discretamente scontata, ha fatto un “film-salotto”, salottiero, appunto, un’atmosfera da esteso, arido e involontario bon bon: una pellicola, insomma, a volte un po’ borghesuccia sia per quanto riguarda le immagini (da salotto, appunto, inquadrature queste che, probabilmente, un cinefilo inglese amante di cinema più “esploratore”, più “osante” potrebbe chiamare “provinciali”) che per l’intreccio, per le situazioni che vengono a crearsi.
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto è certamente vero che la sceneggiatura, che può vantare un premio all’ultima mostra del Cinema di Venezia, da un semplice seppur delicato punto di partenza è capace di giungere a varie, talvolta inaspettate zone narrative. Infatti, dalla decisione come dettata dal destino o dal caso di una madre che abita a Londra (Philomena/Judi Dench) di cercare con un giornalista della BBC che ha perso da poco il lavoro il figlio che tantissimi anni prima era stato venduto in tenerissima età a una famiglia da un collegio di suore in Irlanda dove la donna si trovava si riesce a giungere a territori come l’Aids, alcuni aspetti della politica statunitense degli anni Ottanta, l’omosessualità, la famiglia. Ma tale quasi stimabile “incastro” non pare davvero sufficiente a rendere il film davvero interessante. Frears, insomma, girando questa pellicola ha come aperto perfettamente a metà qualsiasi suo aspetto (attori compresi) per inserirvi con cura silenziosa un elemento di furbizia, trasformando l’opera – senza dubbio non del tutto priva di pregi – in un grande, apparentemente delicato spettacolo un po’ ammiccante e ruffiano, soprattutto nella volontà quasi spinta di voler commuovere con metodi abbastanza pacchiani, giungendo in questo caso a picchi di banalità (Philomena che, ovviamente toccata, assiste a vari pezzi di filmati del figlio ormai adulto nel corso dei vari anni, il tutto accompagnato da una scontata musica extradiegetica che scortica indubbiamente un po’ la sensibilità dell’occhio, della lacrima).
Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto è certamente vero che la sceneggiatura, che può vantare un premio all’ultima mostra del Cinema di Venezia, da un semplice seppur delicato punto di partenza è capace di giungere a varie, talvolta inaspettate zone narrative. Infatti, dalla decisione come dettata dal destino o dal caso di una madre che abita a Londra (Philomena/Judi Dench) di cercare con un giornalista della BBC che ha perso da poco il lavoro il figlio che tantissimi anni prima era stato venduto in tenerissima età a una famiglia da un collegio di suore in Irlanda dove la donna si trovava si riesce a giungere a territori come l’Aids, alcuni aspetti della politica statunitense degli anni Ottanta, l’omosessualità, la famiglia. Ma tale quasi stimabile “incastro” non pare davvero sufficiente a rendere il film davvero interessante. Frears, insomma, girando questa pellicola ha come aperto perfettamente a metà qualsiasi suo aspetto (attori compresi) per inserirvi con cura silenziosa un elemento di furbizia, trasformando l’opera – senza dubbio non del tutto priva di pregi – in un grande, apparentemente delicato spettacolo un po’ ammiccante e ruffiano, soprattutto nella volontà quasi spinta di voler commuovere con metodi abbastanza pacchiani, giungendo in questo caso a picchi di banalità (Philomena che, ovviamente toccata, assiste a vari pezzi di filmati del figlio ormai adulto nel corso dei vari anni, il tutto accompagnato da una scontata musica extradiegetica che scortica indubbiamente un po’ la sensibilità dell’occhio, della lacrima).
L’interpretazione di Judi Dench,
indubbiamente eccellente, è il movimento Re che dà origine al meccanismo
del film, come succedeva con Helen Mirren per il suo The Queen. Ma in The Queen Frears, pur coltivando sempre sul terreno del film un clima qua e là (negativamente) salottiero e televisivo, era comunque riuscito a trasformare Helen Mirren in una continua interpretazione di una regina in perenne stato di calma kitsch, ambigua. Qui, invece, la Philomena di Judi Dench, per quanto da una parte costituisca il pregio maggiore del film, dall’altra contribuisce a renderlo provinciale, salottiero, con il suo personaggio abbastanza scontato di signora un po’ noiosa e appiccicosa ma fondamentalmente buona, che non ha niente contro gli omosessuali pur essendo involontariamente capace di avere degli stereotipi perfino “teneri” nei loro confronti, che rilascia battute un po’ scontate e inutili su certe condizioni di viaggio che si mostra donna onesta e perbene ma che sa dotarsi di dimensioni anche un po’ “verbalmente scandalose”.
Dispiace, ad esempio, che Frears,
pur nei suoi limiti, non abbia voluto approfondire gli aspetti
stilistici-espressivi del rapporto fra il presente e il passato della donna, di
certe immagini, di certe inquadrature che hanno il fine di tradurre visivamente
la produzione del ricordo doloroso da parte di Philomena di alcuni periodi
cruciali della sua giovinezza.
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In una delle prime sequenze, ad esempio, un intenso primo piano della protagonista è improvvisamente seguito da una suggestiva inquadratura di uno specchio di una porzione di
giostra che riflette in maniera sgradevolmente deformata quelle che presto
scopriremo essere le sagome della donna e del suo compagno durante i loro anni
della gioventù, pochi mesi prima di La
visione, certamente non nuova, è comunque efficace nella sua semplicità, in
primis perché giunge inaspettata per lo spettatore, contribuendo così alla
creazione di un riuscito montaggio alternato; ma soprattutto perché esprime con
sintesi seccamente aggressiva la distorsione della tristezza del doloroso
ricordo della donna, la sgradevolezza quasi labirintica del futuro (non)
rapporto fra lei e il figlio che le verrà portato via. Frears, insomma, senza
necessariamente sistemarsi in atmosfere particolarmente grottesche e
inquietanti, e senza per forza tornare ai tempi cupi e morbosi del comunque non
eccelso Mary Reilly, avrebbe potuto
cercare di sfruttare e sviluppare questa relazione fra dolore e confusione del
ricordo della protagonista e potenza de formatrice, deformante e deformata
dell’immagine, magari evitando così di dare vita a una pellicola simile a un
oggetto da tenere e contemplare con partecipazione sulla mensola di un borghese
tè delle cinque.
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Daniel Montigiani
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Scrivono in PASSPARnous: k
Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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