Sezione Ecosofia Alphaville Sezione diretta da Viviana Vacca e Silverio Zanobetti
Rubrica Interventi critici
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. Per una Ecosofia del futuro
Il quattordicesimo numero della rivista PASSPARnous
per la “Sezione Ecosofia”.
per la “Sezione Ecosofia”.
Un gesto, un
atto, una performance promuovono vettori che svitano o avvitano,
direzionano, secondo queste due modalità composizionali. Si tratta di due categorie interpretative che discendono da una premessa fondamentale: il piano di immanenza come piano di consistenza, alludendo, con questa preliminare posizione del problema, a quel modulo essenziale che determina una germinazione simultaneamente discreta e continua – anzi, discreta poiché continua. Mi riferisco alla ripetizione dell’uguale come Ritorno: univocità dell’essere nelle spire di una pullulazione creativa in un infinito a getto istantaneo – e non escatologico.
Pensare su tavola o su mappa non deve intanto indurci in errore. La tavola e la mappa non sono luoghi estrinseci, recipienti vuoti, supporti inerti e indifferenti. In quanto categorie che discendono dalla posizione del piano di immanenza, che abbiamo accolto come avvio, esse non funzionano se non intese in quanto spazi dalla natura molto particolare: mezzi che fanno ciò che rendono, che concorrono fattivamente, cioè, alla attualizzazione di una virtualità possibile. Spazi e mezzi sono strumenti di qualificazione intrinseca e, pertanto, sostanzialmente espressiva. Modi intrinseci, esplicano l’implicito, rendendo visibile un qualcosa a sua volta coglibile attraverso i tratti diagrammatici tracciati. |
Agire su tavola e
su mappa, quindi, è agire con: articolarsi e disarticolarsi seguendo
“viabilità” caratterizzanti. In queste partnership si costruisce, in
work in progress, la doppia natura, attiva e passiva, del patire, in una
danza quasi inarrestabile, eppure sempre compiuta, satura ed esausta. Tavola e mappa – tavola o mappa.
Si è oscillato. In realtà, assumendo la logica composiziole presupposta, non esclusiva e non trascendente, è chiaro non si voglia alimentare dicotoicotomie categoriali per giunta imperniate su assiologie simmetriche (positivo-negativo/bello-brutto). Non è contemplato aut-aut. La tavola e la mappa si compongono come due caosmosi di plissettature possibili. Cosa sono, dunque, la tavola e la mappa, dopo che ne abbiamo fissato le coordinate geo-filosofiche? E quali applicazioni possiamo immaginare e vedere?
Si è oscillato. In realtà, assumendo la logica composiziole presupposta, non esclusiva e non trascendente, è chiaro non si voglia alimentare dicotoicotomie categoriali per giunta imperniate su assiologie simmetriche (positivo-negativo/bello-brutto). Non è contemplato aut-aut. La tavola e la mappa si compongono come due caosmosi di plissettature possibili. Cosa sono, dunque, la tavola e la mappa, dopo che ne abbiamo fissato le coordinate geo-filosofiche? E quali applicazioni possiamo immaginare e vedere?
Nel breve intervento intitolato “al bor- derline della profilazione”, si è tentato di cogliere questo inconscio macchinico in una tavola il cui quadro figurava com- posto di più disegni.
Nessuno meglio di Michaux ha rac- contato cosa una tavola sia e nessuno meglio di Deleuze e Guattari l’ha saputo porre su piano di immanenza (coordinate geofilosofiche), rispetto alla natura essen-zialmente desiderante dell’inconscio come macchina, realizzando la matrice costi-tutiva di un possibile giudizio estetico: |
la tavola come
quadro, inteso sia come composto di immagini “fisse”, sia come composto
di immagini “in movimento” – si pensi al quadro cinematografico con
l’aggiunta di una dimensione ulteriore, prodotta dalle immagini “tempo”. La grafica dell’artista V. Vertone ci era parsa, a questo scopo, emblematica; egli afferma, del resto, di produrre questi lavori assecondando una distrazione dal progetto-quadro e una compulsiva voluttà espressiva. Da quell’intervento riprendiamo la citazione descrittiva chiave: “Non appena la si era notata, continuava a occupare la mente. Continuava anche non so cosa, i casi suoi certamente… Ciò che colpiva era che, non essendo semplice, non era nemmeno veramente complessa, complessa d’acchito o d’intenzione o d’un piano complicato. Piuttosto desem-plificata via via che veniva lavorata… Così com’era, era una tavola con aggiunte, come furon fatti certi disegni di schizofrenici detti inzeppati, ed era terminata solo in quanto non v’era più modo di aggiungere alcunché, tavola che era divenuta sempre più ammucchiamento, sempre meno tavola… Non era adatta ad alcun uso, a niente di ciò che ci si aspetta da una tavola. Pesante, ingombrante, era appena trasportabile. Non si sapeva come prenderla (né mental-mente, né manualmente). Il piano, la parte utile della tavola, progressivamente ridotto, scompariva, essendo così poco in relazione con l’ingombrante intelaiatura, che non si pensava più all’insieme come a una tavola, ma come a un mobile a parte, uno strumento ignoto di cui non si fosse conosciuto l’uso. Tavola disumanizzata, senza alcuna comodità, che non era borghese, non rustica, non di campagna, non di cucina, non da lavoro. Che non si prestava a nulla, che si difendeva, che si sottraeva al servizio, alla comunicazione. In essa qualcosa di atterrato, di pietrificato. Avrebbe potuto far pensare a un motore fermo”.
Gli elementi caratterizzanti ci sono sembrati consistere in questa pullulazione di “casi suoi”, più e più continuazioni discrete: progressive differen-ziazioni diagrammatiche rappresentative di unità figurative diverse, su scene in moltiplicazioni di piani di profondità eppure delineate a seguito di una stessa linea di congiunzione. Quindi, seguendo lo stesso filo, proseguire in una disgiunzione surlineare rispetto al punto – aleatorio – di par- tenza. Inoltre, il dato derivante di un “am- mucchiamento”, di un “inzeppamento”, tale per cui la tavola si trova a essere finita perché non c’è modo di aggiungere altro: esaustione e saturazione per eccesso. Il fatto di non “sapere come prenderla” rende bene l’idea del labirinto in cui incappa lo sguardo che tenta di percorrere questi diagrammi: non c’è inizio come non c’è fine.
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Potrebbe iniziare
da qualunque punto: ogni punto di linea è germinale e virtualmente
tanto carico da piovere in più gocce espressive. Se
la tavola, allora, consiste in questo affollamento senza un centro
(significativa l’opera di Kurt Schwitters visibile in figura 2), oppure
in una immagine dove, al limite, il coefficiente policentrico può essere
reso mediante rifrazio- ni cromatiche segmentazioni che aprono scene dentro le scene indovinando improbabili acri chiarità giallognole oltre una trama di pioggia verde – quasi un’alba nella rete di lacrime orizzontali, cui si accosta la verticalità di un nero innaturalmente notturno (fig 1, Andreja Hojnik Fisic), la mappa, per essere colta e applicata, richiede si introducano altri importanti riferimenti.
La mappa è una carta, serve all’orientamento. Lascia vedere ciò che si è già visto. È nel tentativo/tentazione del contro-tempo della instaurazione del soggetto: restituisce il piano A nel piano B. Potremmo dire che consiste nello spostamento, nel mascheramento della tavola. Cartografare è l’arte ultima della mappa. La mappa non fa il calco: “è una carta che ha molteplici entrate, contrariamente al ‘calco’ che ritorna sempre sullo stesso” (G. D. e F. G., Millepiani).
Per comprendere ancora meglio questa distinzione tavola-mappa e approfondire il funziona- mento della seconda, è utile riportare la differenza tra spazio liscio e spazio striato presente in Millepiani, fermandoci però al modello definito “tecnologico”, in relazione ai tessuti. Lo spazio liscio è detto “nomade”, quello striato “sedentario” – con le corrispettive caratterizzazioni politiche, per cui il nomade produce una “macchina da guerra” mentre il sedentario assoggetta la “macchina da guerra” a un regime fisso, lo Stato. Ora, in merito al modello del tessuto, si può notare come questo si presenti mediamente in quanto spazio striato: ordito e trama compongono una rete, determinando un dritto e un rovescio. L’anti-tessuto del feltro, invece, offre una composizione alternativa: groviglio di fibre ottenute per follatura. “Un tale sistema di intrico non è per nulla omogeneo: tuttavia è liscio, e si oppone punto per punto allo spazio del tessuto (è infinito di diritto, aperto o illimitato in tutte le direzioni, non ha né rovescio né diritto né centro, non assegna ruoli fissi e mobili, ma distribuisce piuttosto una variazione continua)” (Millepiani).
Il punto è che liscio non vuol dire omogeneo e striato non vuol dire modulato da distinzioni per negazione. Piuttosto, si possono cogliere regole alternative di modulazione e rimodulazione dello spazio e della “macchina da guerra” – e tessuti di varia natura.
La mappa è una carta, serve all’orientamento. Lascia vedere ciò che si è già visto. È nel tentativo/tentazione del contro-tempo della instaurazione del soggetto: restituisce il piano A nel piano B. Potremmo dire che consiste nello spostamento, nel mascheramento della tavola. Cartografare è l’arte ultima della mappa. La mappa non fa il calco: “è una carta che ha molteplici entrate, contrariamente al ‘calco’ che ritorna sempre sullo stesso” (G. D. e F. G., Millepiani).
Per comprendere ancora meglio questa distinzione tavola-mappa e approfondire il funziona- mento della seconda, è utile riportare la differenza tra spazio liscio e spazio striato presente in Millepiani, fermandoci però al modello definito “tecnologico”, in relazione ai tessuti. Lo spazio liscio è detto “nomade”, quello striato “sedentario” – con le corrispettive caratterizzazioni politiche, per cui il nomade produce una “macchina da guerra” mentre il sedentario assoggetta la “macchina da guerra” a un regime fisso, lo Stato. Ora, in merito al modello del tessuto, si può notare come questo si presenti mediamente in quanto spazio striato: ordito e trama compongono una rete, determinando un dritto e un rovescio. L’anti-tessuto del feltro, invece, offre una composizione alternativa: groviglio di fibre ottenute per follatura. “Un tale sistema di intrico non è per nulla omogeneo: tuttavia è liscio, e si oppone punto per punto allo spazio del tessuto (è infinito di diritto, aperto o illimitato in tutte le direzioni, non ha né rovescio né diritto né centro, non assegna ruoli fissi e mobili, ma distribuisce piuttosto una variazione continua)” (Millepiani).
Il punto è che liscio non vuol dire omogeneo e striato non vuol dire modulato da distinzioni per negazione. Piuttosto, si possono cogliere regole alternative di modulazione e rimodulazione dello spazio e della “macchina da guerra” – e tessuti di varia natura.
Lo spazio striato corrisponde alla mappa: ordina un dritto e un rovescio, funge da griglia di orientamento. Si potrebbe dire che se la tavola è lo sforzo, perfino voluttuoso, di installarsi nella félure, la faglia creativa, la mappa tenta, invece, di studiare questa in- crinatura come un sismografo, producendo diagrammi riflessivi. La tavola si installa ed è mobile, la mappa cartografa e istituisce.
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Ma in definitiva, in ogni caso il tremulo, in superficie, si rafferma. Lo
stare della mappa è uno stare che, però, non perde il contatto con la
pelle sotto la maschera – benché la pelle sia maschera anch’essa di
strati infinitesimali di mondo. Le mappe, inoltre, sono più frequenti delle tavole. Ne possiamo vedere per esempio nelle figure proposte (dalla 3 alla 5).
Deleuze e Guattari parlano allora dell’arte nomade, immaginando una creazione per “affetti”. Il punto è che su piano di immanenza, ogni attacco della “macchina da guerra” (prima ancora inconscio macchinico) è delirio sociale e politico: concatenamento trasversale di più pezzi di mondo in grado di trascinamento complessivo e riconfigurazione di catene e filamenti di nuovi grumi tra organico e inorganico – onirico, ideale, reale a più dimensioni. Non c’è un’opposizione effettiva tra arte nomade e arte sedentaria – se volessimo pensare a un’arte sedentaria come a un’arte riflessiva, che cerca il suo soggetto e lo rappresenta: fissa il suo centro e de-centra o ri-centra come a corteggiare un Essere da declinare in svariate desinenze. Questa arte sedentaria mima l’ipotesi dell’Essere ma in realtà è in contagio continuo e discreto con la macchina da guerra – un congegno pluriaffettivo di tenaglie e lame per tagliare e ritagliare (bocche aperte/chiuse che segmentano anche l’aria in piccoli sorsi). Sicché, il discrimine passa per l’arte viva e l’arte smorta - così come il discrimine passa attraverso istituzioni vive e istituzioni morte e mortificanti.
Deleuze e Guattari parlano allora dell’arte nomade, immaginando una creazione per “affetti”. Il punto è che su piano di immanenza, ogni attacco della “macchina da guerra” (prima ancora inconscio macchinico) è delirio sociale e politico: concatenamento trasversale di più pezzi di mondo in grado di trascinamento complessivo e riconfigurazione di catene e filamenti di nuovi grumi tra organico e inorganico – onirico, ideale, reale a più dimensioni. Non c’è un’opposizione effettiva tra arte nomade e arte sedentaria – se volessimo pensare a un’arte sedentaria come a un’arte riflessiva, che cerca il suo soggetto e lo rappresenta: fissa il suo centro e de-centra o ri-centra come a corteggiare un Essere da declinare in svariate desinenze. Questa arte sedentaria mima l’ipotesi dell’Essere ma in realtà è in contagio continuo e discreto con la macchina da guerra – un congegno pluriaffettivo di tenaglie e lame per tagliare e ritagliare (bocche aperte/chiuse che segmentano anche l’aria in piccoli sorsi). Sicché, il discrimine passa per l’arte viva e l’arte smorta - così come il discrimine passa attraverso istituzioni vive e istituzioni morte e mortificanti.
Come si può vedere, la questione non è arte astratta o arte figurativa, bensì: “La linea astratta è l’affetto di uno spazio liscio, come la rappresentazione organica è il sentimento che presiede allo spazio striato”. Una tavola è costruzione intensiva estroflessa, una mappa è organizzazione della tavola interiore. Due momenti diversi. Si potrebbe dire che F. Bacon producesse cartografie di diagrammi intensivi.
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Rosella Corda
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Le Rubriche di Alphaville
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Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faron, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Guseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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