_Codice ISSN: 2281-9223 Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XII mese di Ottobre, 2013 - Anno II
Il Metodo Manfrediano traspare come linea formativa e performativa nell’arte di Nicolas Regnier, autore olandese, la cui data di nascita sembra incerta: alcuni documenti parlano del 1591 altri del 1588, altri ancora individuano diverse date, tutte precedenti al 1593. Incerte sono anche attribuzioni di opere, mentre alcune sue sono disperse, soprattutto dopo il secondo conflitto mondiale. È chiara, comunque, la sua formazione che, come dicevamo, si rifà a un metodo poco conosciuto, ma che ha caratterizzato gran parte della produzione artistica del XVII secolo: quella prassi e quella tecnica che sono riconducibili alla figura di Bartolomeo Manfredi, uno dei discepoli di un caravaggismo di seconda maniera. Il naturalismo è un patrimonio che Regnier prende da questa corrente e dal suo capostipite lombardo autorevole: le figure acquistano una loro dimensione, una loro corporeità, una propria sostanza, un volume, quasi stessero per uscire dal quadro, andando oltre a quel limite che ogni pittore avverte nella sua produzione: il quadro nella sua superficie.
Il contenuto è caratterizzato da scene che, spesso, non hanno uno sfondo, risultando, comunque, principali nell’insieme del dipinto, spiccando, fuori uscendo ed evidenziandosi nel contesto. Il gioco e la forte attenzione alla calibratura delle luci e delle ombre, frutto di un sapiente lavoro di ricerca e di studio, porta a dare plasticità alle figure che vengono rappresentate, in un’ottica che diventa tridimensionale. |
Regnier studierà molto sotto la direzione del maestro Abraham Janssens ad Anversa, città che vedeva esplodere in quel periodo i primi bagliori di una scuola artistica che ha caratterizzato per diversi secoli il territorio fiammingo, diventando punto di riferimento di una letteratura internazionale. La classicità quasi neoclassica si evidenzia in ciò che si propone come tema, quasi unitario, nelle opere di Janssens, il maestro, e in gran parte in quelle di Regnier, suo discepolo la mitologia vista ed elaborata sotto una chiave allegorica, inoltrandosi nel tema religioso, nelle rappresentazioni sacre di figure bibliche della storia.
Le tonalità e le pennellate, sicure, definite, determinate, non incerte di una mano non indugiante, sono chiare e donano quella lucentezza che impressiona e che coinvolge lo spettatore in una tridimensionalità, viva e palpabile, del contesto pittorico. La luce, ed è qui l’eredità caravaggesca, risulta essere radente.
Il chiaroscuro caratterizzerà Regnier in tutte le sue opere, dando quella venatura di forte realismo: prima a Parma, poi a Roma, l’autore olandese troverà e conoscerà, contaminandosi e proseguendo nella sua formazione, altri autori e artisti, tra cui l’attiva collaborazione con David de Haen e Dirk Baburen. Ed è in questo periodo che si inserisce quella che viene considerata essere una rivisitazione del caravaggismo, andando oltre all’accademismo puro, e procedendo verso una sperimentazione sempre presente e sempre prolifica di nuove visioni, poetiche, immaginazioni dell’arte.
Le tonalità e le pennellate, sicure, definite, determinate, non incerte di una mano non indugiante, sono chiare e donano quella lucentezza che impressiona e che coinvolge lo spettatore in una tridimensionalità, viva e palpabile, del contesto pittorico. La luce, ed è qui l’eredità caravaggesca, risulta essere radente.
Il chiaroscuro caratterizzerà Regnier in tutte le sue opere, dando quella venatura di forte realismo: prima a Parma, poi a Roma, l’autore olandese troverà e conoscerà, contaminandosi e proseguendo nella sua formazione, altri autori e artisti, tra cui l’attiva collaborazione con David de Haen e Dirk Baburen. Ed è in questo periodo che si inserisce quella che viene considerata essere una rivisitazione del caravaggismo, andando oltre all’accademismo puro, e procedendo verso una sperimentazione sempre presente e sempre prolifica di nuove visioni, poetiche, immaginazioni dell’arte.
I suoi due San Sebastiano sono la testimonianza di una poetica delicata e molto intrigante, viva di una fisicità armonica ed equilibrata, tale da renderne evidente le venature di un’espressività accogliente e coinvolgente, lo studio anatomico diventa fortemente centrale, senza scadere nell’esercizio scientifico, ma dandogli quella vibrazione e quella vitalità umana, tale da essere definibile come “poetica della seduzione” o il “caravaggista della seduzione”. La naturalità espressiva del soggetto rappresentato è la base principale di una sensualità che promana dalla persona raffigurata, senza alterarne la portata dei lineamenti e delle forme del proprio corpo, quindi non incedendo in quella caricatura quasi espressionista di tanti caravaggisti del Nord Europa, con cui Regnier si pone in opposizione.
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Le scene che si presentano nelle opere di Regnier sono piuttosto continue e costanti, andando dalle scene di predizioni e di inganno a visioni di insieme, di gruppo, di frotte di soldati, fino a giungere alle divertenti e scanzonate rappresentazioni di una scena di carnevale.
Il periodo romano caratterizza la pittura di Regnier in ciò che può essere liquidata come ritrattistica: modelli di cui non si conoscono le generalità, se non in rari casi, molto probabilmente afferenti alle cerchie di amicizie dell’autore fiammingo. Alcuni suoi quadri vengono acquistati dal Mazzarino, cosa che fa intravvedere una sua fase di produzione basata su commissioni prestigiose rilasciategli dal sovrano. |
Il caravaggismo non di maniera è vivo e presente nel dipinto dedicato alla figura di Gabriel Naudè. Regnier si pone nell’alveo caravaggesco, anche se ne esce con una sua autonomia poetica e tecnica, tale da renderlo indipendente nello stile e nella tecnica affrontata: ed è qui che si inseriscono le diverse Allegorie delle Stagioni, ma anche una produzione fatta su commissione, per mezzo di Vincenzo Giustiniani, La cena di Emmaus. A Venezia, infine, Regnier opererà in piena autonomia, affermandosi come uno dei principali artisti del suo secolo: troveremo, così, il già citato “Scena del carnevale di Varsavia”, “Maria Maddalena penitente”, custodito al Museo Kunsthistorisches di Vienna; “Il Battesimo di Cristo” proveniente dalla chiesa di San Salvatore a Venezia, “Amnon e Tamar” presente a Stoccarda e, infine, “La giovane donna alla Toilette” custodita a Lione. Non dimentichiamoci l’opera che sembra essere stata ritrovata, dispersa in Germania, durante la guerra, “Omero, cieco che suona il violino”. I due San Sebastiano, come dicevamo, possono essere visti come soggetti rappresentativi di quella chiave di volta che si pone nella lunga produzione artistica di Regnier: da una pedissequa soggezione allo stile e alla tecnica
del grande riferimento lombardo, l’artista fiammingo inizia a evolversi verso
una padronanza di un proprio stile e di una propria tecnica, affrontando gli
stessi temi che caratterizzano le produzioni della sua epoca, ma procedendo
verso una rappresentazione ricca di un gioco di luci, che risaltano quella
corporeità e fisicità naturale, viva, pulsante, palpitante e risaltante la
semplicità, quindi la sensualità, dell’espressione del soggetto raffigurato.
Niente è lasciato nelle rappresentazioni di Regnier al non detto, al non
visibile, al non raffigggiruato. Esiste una certa trasparente onestà
raffigurativa in Regnier, che lo rende quasi pre- cursore di ciò che sarà,
posteriormente, la poetica di tanti impressionisti: l’ideismo puro, quasi
criptico, da inter-pretare, non ha spazio e il tratto, la pennellata, il segno
rendono espressione di ciò che si vuole raffigurare.
L’immaginazione cresce e accresce nel momento in cui si attendono quelle emo-zioni e sensazioni che sorgono dalla mera contemplazione del dato reale, visivo.
L’immaginazione cresce e accresce nel momento in cui si attendono quelle emo-zioni e sensazioni che sorgono dalla mera contemplazione del dato reale, visivo.
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Alessandro Rizzo
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