Lo sconosciuto del lago
Un film di Alain Guiraudie
Articolo di Daniel Montigiani
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Un punto del sud della Francia più o meno sempre accompagnato da un piacevole sole; un bel lago; una spiaggia; una piccola foresta: una somma di luoghi questa che nel film di Guiraudie rappresenta una zona di battuage e relax per soli uomini, perlopiù nudi.
Il giovane e attraente protagonista Franck è proprio uno di questi: persona semplice, sor- ridente e autenticamente gentile, frequenta il luogo da un po’ di tempo. Lo vediamo da principio fare amicizia con un uomo esteticamente affatto memorabile ma affidabile nel suo essere disilluso, timidamente e prudentemente pronto al dialogo. Dopo qualche rapporto sessuale fra le ombre degli alberi, Franck si invaghisce fortemente di un affascinante uomo, Michel, il quale, però, nonostante l’interesse, ha una sorta di partner. L’omicidio dell’occasionale partner da parte di Michel, però, comincerà a cambiare le cose e gettare una densa, diffusa seppur sottile oscurità sul luogo.
Il film del finora almeno in Italia poco conosciuto Alain Guiraudie – miglior regia al Certain Regard di Cannes 2013 e Queer Palm - soprattutto a causa dei suoi contenuti, ha creato una specie di gonfia e confusa atmosfera intorno a sé, ha come generato una sorta di non enorme ma comunque fastidiosa “cittadella” di lamentele, tristi battute e fraintendimenti che, in sintesi, riguardano soprattutto due aree principali, ovvero la pornografia e la lentezza dell’opera (tradotto in termini più secchi, la noia).
Il giovane e attraente protagonista Franck è proprio uno di questi: persona semplice, sor- ridente e autenticamente gentile, frequenta il luogo da un po’ di tempo. Lo vediamo da principio fare amicizia con un uomo esteticamente affatto memorabile ma affidabile nel suo essere disilluso, timidamente e prudentemente pronto al dialogo. Dopo qualche rapporto sessuale fra le ombre degli alberi, Franck si invaghisce fortemente di un affascinante uomo, Michel, il quale, però, nonostante l’interesse, ha una sorta di partner. L’omicidio dell’occasionale partner da parte di Michel, però, comincerà a cambiare le cose e gettare una densa, diffusa seppur sottile oscurità sul luogo.
Il film del finora almeno in Italia poco conosciuto Alain Guiraudie – miglior regia al Certain Regard di Cannes 2013 e Queer Palm - soprattutto a causa dei suoi contenuti, ha creato una specie di gonfia e confusa atmosfera intorno a sé, ha come generato una sorta di non enorme ma comunque fastidiosa “cittadella” di lamentele, tristi battute e fraintendimenti che, in sintesi, riguardano soprattutto due aree principali, ovvero la pornografia e la lentezza dell’opera (tradotto in termini più secchi, la noia).
Con tutto il rispetto (o, se si preferisce, con tutta l ‘indifferenza) per i contenuti e l’estetica dell’hard, Lo sconosciuto del lago non è un film porno. Gli spettatori che a termine della visione del film hanno sostenuto ciò sono probabilmente vittime di una “malvisione”: forse troppo distratti dalla più o meno perfezione dei corpi nudi di Franck e Michel, non si sono resi conto che in questo film le scene di sesso esplicito (con dettaglio di un’eiaculazione, sesso orale e anale) sono numericamente inferiori a quelle “normali” (e funzionali alla psicologia del protagonista, Franck) e che la massiccia, praticamente fissa presenza di diversi corpi nudi (organo sessuale compreso, ovviamente) che si sparge per quasi tutto il film non fa certo di questo un porno.
L’abile ma pacchianamente malizioso motore del marketing ha fatto passare (nel 2013....) o ha sperato di far passare questo film per una visione scandalosa quando, in realtà, quest’opera può risultare senza dubbio disturbante, ma non certo per le scene di sesso, bensì per i meccanismi sottili degli ambigui rapporti fra i protagonisti principali e per i due omicidi.
L’altra area principale proveniente dalla cosiddetta cittadella di lamentele e fraintendimenti riguarda la “lentezza” del film. Ci si lamenta qua e là del fatto che quest’opera è lenta, noiosa, ripetitiva. Affermazioni del genere, con tutto il rispetto, sembrano a quanto pare provenire da spettatori i cui muscoli dell’atto di vedere, dell’atto di porsi nei confronti di un’esperienza cinematografica sono piuttosto poco allenati. Di fronte a tali (legittime, ovviamente) opinioni, infatti, sarebbe forse il caso di domandarsi che cosa direbbero questi “spettatori annoiati” di autori come, ad esempio, Antonioni, Sokurov, Weerasethakul, De Oliveira, le cui opere sono spesso scandite da una ipnotica e quasi benefica lentezza (questa sì, davvero!) non apprezzata da tutti.
L’abile ma pacchianamente malizioso motore del marketing ha fatto passare (nel 2013....) o ha sperato di far passare questo film per una visione scandalosa quando, in realtà, quest’opera può risultare senza dubbio disturbante, ma non certo per le scene di sesso, bensì per i meccanismi sottili degli ambigui rapporti fra i protagonisti principali e per i due omicidi.
L’altra area principale proveniente dalla cosiddetta cittadella di lamentele e fraintendimenti riguarda la “lentezza” del film. Ci si lamenta qua e là del fatto che quest’opera è lenta, noiosa, ripetitiva. Affermazioni del genere, con tutto il rispetto, sembrano a quanto pare provenire da spettatori i cui muscoli dell’atto di vedere, dell’atto di porsi nei confronti di un’esperienza cinematografica sono piuttosto poco allenati. Di fronte a tali (legittime, ovviamente) opinioni, infatti, sarebbe forse il caso di domandarsi che cosa direbbero questi “spettatori annoiati” di autori come, ad esempio, Antonioni, Sokurov, Weerasethakul, De Oliveira, le cui opere sono spesso scandite da una ipnotica e quasi benefica lentezza (questa sì, davvero!) non apprezzata da tutti.
Detto questo, al di là del sesso tranquillamente mostrato anche nei suoi angoli più intimi e dei corpi maschili privi di qualsiasi velo, il film di Guiraudie dovrebbe in primis essere ben notato per il talento che il regista (di)mostra nel rap- presentare in maniera perfetta, ambigua il “microcosmo” del lago (della zona del lago), quasi come se questo fosse una misteriosa microcittà abitata spesso o occasionalmente dai suoi bagnanti nudi che cercano rapporti fra gli alberi o che, più semplicemente, nuotano e prendono il sole.
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Attraverso lo strumento invisibile ma potente di un minimalismo evocativo il regista fa emergere con naturalezza da inquadrature o scene essenziali una lieve e apparentemente insospettabile potenza disturbante. Ma è soprattutto proprio tramite questa capacità di minimalismo evocativo che egli sembra riuscire a trasformare un microcosmo tutto sommato banale, semplice, quasi “neutro” in una zona metaforica, in una zona, ovvero, mentale, o, comunque, più appartenente alla mente che alla realtà, caratteristica questa esaltata anche dal fatto che per tutto il film non si vede niente che non appartenga, appunto, al microcosmo del lago (l’acqua, la spiaggia, gli alberi, al massimo il parcheggio con le macchine fra gli alberi), come se al di fuori di questo non esistesse nient’altro.
Ambiguo e ottimo è anche l’uso della soggettiva, in particolare quella del protagonista Franck, stilema che esprime con secca perfezione la condizione ambivalente di questo: da una parte, infatti, la soggettiva del ragazzo incarna il suo punto di vista assolutamente attivo, padrone, partecipante, persino dominante (e, ovviamente, di conseguenza su un altro livello, dello spettatore, rendendolo un voyeur), attraverso la quale assistiamo al suo punto di vista che osserva, “perlustra”, cerca i corpi, ma, allo stesso tempo, in particolar modo quando egli getta il suo sguardo dalle instabili acque del lago verso i corpi nudi maschili sulla spiaggia, è proprio la sua soggettiva, la soggettiva che incarna il suo punto di vista a farsi passiva, poiché anche egli è da altri corpi nudi osservato, perlustrato, padroneggiato, visto il contesto in cui il ragazzo si trova; la soggettiva di Franck, insomma, appare importante non soltanto perché, proprio prima di tutto visivamente, vediamo che il ragazzo è sia osservatore attivo e padroneggiante che osservatore che subisce in maniera strisciante lo sguardo degli altri bagnanti in cerca di corpi, ma anche perché questo stilema – la soggettiva, appunto – ben rappresenta la condizione di assoluta incertezza del protagonista, descrive ed esprime il pericolante percorso verso il quale egli sta andando incontro: dalla semplice frequentazione del luogo per soddisfare desideri sessuali, per salutare gli amici, per innamorarsi alla involontaria scoperta di un omicidio messo in atto proprio da colui di cui lui si è invaghito, alla bugie dette al severo detective per difendere Michel pur temendolo, al sangue finale.
Ambiguo e ottimo è anche l’uso della soggettiva, in particolare quella del protagonista Franck, stilema che esprime con secca perfezione la condizione ambivalente di questo: da una parte, infatti, la soggettiva del ragazzo incarna il suo punto di vista assolutamente attivo, padrone, partecipante, persino dominante (e, ovviamente, di conseguenza su un altro livello, dello spettatore, rendendolo un voyeur), attraverso la quale assistiamo al suo punto di vista che osserva, “perlustra”, cerca i corpi, ma, allo stesso tempo, in particolar modo quando egli getta il suo sguardo dalle instabili acque del lago verso i corpi nudi maschili sulla spiaggia, è proprio la sua soggettiva, la soggettiva che incarna il suo punto di vista a farsi passiva, poiché anche egli è da altri corpi nudi osservato, perlustrato, padroneggiato, visto il contesto in cui il ragazzo si trova; la soggettiva di Franck, insomma, appare importante non soltanto perché, proprio prima di tutto visivamente, vediamo che il ragazzo è sia osservatore attivo e padroneggiante che osservatore che subisce in maniera strisciante lo sguardo degli altri bagnanti in cerca di corpi, ma anche perché questo stilema – la soggettiva, appunto – ben rappresenta la condizione di assoluta incertezza del protagonista, descrive ed esprime il pericolante percorso verso il quale egli sta andando incontro: dalla semplice frequentazione del luogo per soddisfare desideri sessuali, per salutare gli amici, per innamorarsi alla involontaria scoperta di un omicidio messo in atto proprio da colui di cui lui si è invaghito, alla bugie dette al severo detective per difendere Michel pur temendolo, al sangue finale.
Inoltre, la parte luminosa di Franck si piega ed è in buona parte oscurata anche da certe espressioni del suo volto (si noti il primo piano quasi nel buio fra lo spiritato e il terrorizzato mentre mente al detective che gli fa domande sull’omicidio), ma anche, di nuovo dal suo rapporto con Michel: Franck, innamorandosi comple-tamente di colui che è stato autore di quell’omicidio, sembra farsi meno pars construens e, al contrario, forse, pare far emergere una sorta di indiretto desiderio di autodistruzione. Forse.
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Un film che, visto da lontano, può apparire persino semplice ma che in realtà mostra in maniera magistrale come le profondità del lago possano negativamente stuzzicare quelle dell’animo umano facendo emergere inedite e scioccanti oscurità.
Daniel Montigiani
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