Bling Ring
Un film di Sofia Coppola
Articolo di Daniel Montigiani
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Lussuose ville di attrici, attori, di famosi modelli e modelle, di “vip”, ville alla moda e quasi finte ben radicate a Hollywood e nei quartieri più esclusivi della “mitica”, “incredibile”, “very cool” Los Angeles: un insieme questo di soleggiate visioni che, per molti, soprattutto per i cosiddetti teenager, costituisce un più che seducente mosaico che li frusta e li stuzzica a distanza di sogni, spesso portandoli a desiderare di possedere in pieno il lifestyle di coloro che abitano quelle “ultra-abitazioni”. Per quanto questi più o meno attori/attrici, più o meno modelle e più o meno vip si espongano maniacalmente al pubblico tramite il gossip volontario e involontario, i vari canali offerti dal maniacalmente utilizzato internet, lo schermo televisivo e le interviste, il loro è un mondo che, ai bassi e palpitanti occhi dei più, appare come una sorta di “utopia” appartata, miracolosamente posta, apparsa sulla terra; ma proprio perché tale mondo è da molti visto come tale, non può che essere perlopiù inaccessibile.
Pensiamo, ad esempio, proprio alle ville, a questi scrigni sotto forma di case che racchiudono questi vip, che fungono da loro abitazioni: verrebbe naturalmente da dire che si tratta di posti, di luoghi praticamente inarrivabili, inaccessibili, appunto, che quasi devi soltanto pagare per guardarli nella loro imponenza. E invece no. Ecco che la Coppola mostra da subito quella che può essere vista come una delle (tante) contraddizioni di Los Angeles e degli Stati Uniti in generale: accanto a un quasi eccesso di sicurezza (ben visibile tramite il perfetto e vasto spargimento di forze dell’ordine)
è paradossalmente presente una clamorosa scarsità di sicurezza. Certo, perché, almeno in diversi casi, non è affatto vero che le tanto sognate e invidiate ville dei vip sono luoghi così lontani e inaccessibili.
Un gruppo di teenager di Los Angeles, ad esempio, scopre che Paris Hilton, quando è fuori casa, lascia le chiavi sotto lo zerbino. |
O che per fare ingresso nella villa di una famosa modella basta far passare da una finestra semiaperta in basso il piccolo e magro corpo della sorellina di una del gruppo.
La Coppola, attraverso una sintesi efficace, giocando con sorridente e discretamente spietata precisione a fare la minimal-grottesca, mostra la (triste) “evoluzione” di questo insieme di teenager appassionati di ville e di stili di vita dei famosi; un evento macroscopico questo che ha in realtà un’origine piuttosto microscopica: un ragazzo dalla solitudine alla fine anche tenera cambia scuola e si affeziona ad una ragazza che, in maniera occulta, si approfitta della sua condizione di solo e, con metodi da squallida e “acarismatica” femme fatale, lo porta con progressiva naturalezza prima ad aprire gli sportelli delle macchine degli altri per poi passare insieme ad altre ad entrare nelle ville di Paris Hilton, Orlando Bloom etc.. etc.., luoghi in cui si comportano come se fossero di loro proprietà per, infine, andarsene rubando qualche cosa di medio o enorme valore, tanto questi vip hanno tanti di quegli oggetti che nemmeno se ne accorgono.
Ma il loro vanto, questo loro vanto è troppo alto e troppo vasto per rimanere in silenzio e dunque, nel corso di varie feste “cool”, raccontano le loro prodezze ai vari “amici”. E così, anche a causa di qualche telecamera di sorveglianza e del passaparola involontario e non alla polizia, il gruppetto di ladri e intrufolatori finisce in carcere. Ma anche in quel caso, dopo lo shock iniziale, con la parziale eccezione del ragazzo, usando il loro magistrale squallore luccicante sapranno spettacolarizzare la loro nuova condizione per autopromuoversi.
La Coppola, con apparente nonchalance e altrettanto apparente invisibilità di giudizio, mostra le vite in realtà secche e aride del gruppetto che vive passando da un “oh yeah” a un “cool”, che attraversa un “this is crazy” per approdare continuamente a un tanto squillante quanto sterile “oh my God”.
Ma il loro vanto, questo loro vanto è troppo alto e troppo vasto per rimanere in silenzio e dunque, nel corso di varie feste “cool”, raccontano le loro prodezze ai vari “amici”. E così, anche a causa di qualche telecamera di sorveglianza e del passaparola involontario e non alla polizia, il gruppetto di ladri e intrufolatori finisce in carcere. Ma anche in quel caso, dopo lo shock iniziale, con la parziale eccezione del ragazzo, usando il loro magistrale squallore luccicante sapranno spettacolarizzare la loro nuova condizione per autopromuoversi.
La Coppola, con apparente nonchalance e altrettanto apparente invisibilità di giudizio, mostra le vite in realtà secche e aride del gruppetto che vive passando da un “oh yeah” a un “cool”, che attraversa un “this is crazy” per approdare continuamente a un tanto squillante quanto sterile “oh my God”.
Allo stesso tempo è però proprio in queste “zone” che la regista sembra far involontariamente emergere il principale punto debole del film: la Coppola, infatti, probabilmente presa da qualche piccola estasi di sopravvalutazione e forse obnubilata dai laccati finanziamenti provenienti da lussuosi brand della moda, mostra talvolta in maniera fin troppo evidente, fin troppo marcata l’arida pacchianeria della “gang” e il compor- tamento grottesco di alcuni dei loro famigliari, quasi come se temesse di non far capire agli spettatori la tristezza kitsch-trash che sta alla base del comportamento di questi ragazzi e di chi hanno intorno. Ad ogni modo la regista, almeno per una significativa manciata di secondi, ben riesce almeno a livello puramente della visione a sin- tetizzare la più o meno febbricitante inutilità di questi ragazzetti scaltri ladri: il secondo furto all’interno della lussuosa abitazione di una famosa
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modella, infatti, viene
mostrato non attraverso una scontata scena a base di semplice
montaggio, bensì tramite un piano-sequenza in campo lunghissimo,
un’immagine al cui centro è visibile in lontananza la villa e le
piccole figurine semoventi dei ragazzi, che vanno da un piano all’altro
per osservare, curiosare e soprattutto derubare.
Questa inquadratura è rimarchevole non soltanto perché rappresenta una visione-opzione hitchockiana (dell’Hitchcock voyeur della Finestra sul cortile), ma anche perché, mostrando i ragazzi aggirarsi come formiche sbraitanti e indaffarate, la Coppola finisce per farli intellettualmente assomigliare proprio a questi insetti.
Un altro pregio di certo non indifferente del film è quello di mostrare come la mancanza di cultura, l’ignoranza e lo zuccherato trash di molti di questi vip (sigla che, in questo caso, potrebbe stare non per “very important person” ma per “very important poison”) rendano il lusso (di queste ville, in questi casi) un campo teorico e pratico dell’estetica squallido, opprimente e coloratamente vomitevole, persino, se vogliamo un po’ esagerare, più squallido del più bieco degrado (un esempio in tal senso è ben rappresentato dalle scene girate nella più che pacchiana villa di Paris Hilton).
Questa inquadratura è rimarchevole non soltanto perché rappresenta una visione-opzione hitchockiana (dell’Hitchcock voyeur della Finestra sul cortile), ma anche perché, mostrando i ragazzi aggirarsi come formiche sbraitanti e indaffarate, la Coppola finisce per farli intellettualmente assomigliare proprio a questi insetti.
Un altro pregio di certo non indifferente del film è quello di mostrare come la mancanza di cultura, l’ignoranza e lo zuccherato trash di molti di questi vip (sigla che, in questo caso, potrebbe stare non per “very important person” ma per “very important poison”) rendano il lusso (di queste ville, in questi casi) un campo teorico e pratico dell’estetica squallido, opprimente e coloratamente vomitevole, persino, se vogliamo un po’ esagerare, più squallido del più bieco degrado (un esempio in tal senso è ben rappresentato dalle scene girate nella più che pacchiana villa di Paris Hilton).
Daniel Montigiani
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