Rivista d’arte diretta da F. Panizzo e V. Vacca - Codice ISSN: 2281-9223 - Numero XII mese di Ottobre, 2013 - Anno II
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Sezione Filosofia Alphaville Sezione diretta da Viviana Vacca e Silverio Zanobetti
. Per una Ecosofia del futuro
Il dodicesimo numero della rivista PASSPARnous presenta la “Sezione Filosofia”.
Le considerazioni e le informazioni che seguono, per la parte che non dipendono dal sottoscritto, sono fondate sulla lettura di un libro di Reinhard Brandt edito in Italia da Bruno Mondadori e intitolato Filosofia nella pittura, da Giorgione a Magritte. Si tratta di un libro a metà strada tra la storia delle idee e l’indagine iconografica che si sofferma in particolare su come sono stati raffigurati i filosofi in età moderna, a partire da La Scuola di Atene di Raffaello per arrivare fino alle avanguardie del Novecento. Intendo occuparmi in particolare della rappresentazione tradizionale di Democrito come filosofo che ride, chiarire le origini classiche di questa iconografia e le successive reinterpretazioni medievali e moderne che ne furono date alla luce della teoria ippocratica dei quattro umori.
Quante volte non abbiamo sentito pronunciare questa frase, che i più grandi comici, i più inesauribili intrattenitori teatrali o cinematografici del passato, fossero in realtà, nella loro vita privata, degli spiriti melanconici, dei tristi solitari, quando non addirittura dei depressi clinici, dipendenti da superalcolici o psicofarmaci (nei casi più fortunati da entrambi allo stesso tempo)? E certo con questa osservazione sembra che si voglia dare espressione a una specie di ironia del destino che vuole che proprio chi è dotato in massimo grado del dono di far ridere gli altri manchi poi della capacità di ridere o di sorridere dei fatti vari e forse amari della propria esistenza. Quale che sia la fondatezza di una simile osservazione, essa sembra metterci sotto gli occhi qualcosa di apparentemente contraddittorio e cioè che il riso, o il sorriso, possono nascere come manifestazioni di una visione sconsolata e sostanzialmente pessimistica del destino umano, non meno che da una visione allegra, edulcorata e pubblicitaria dello stesso.
Quante volte non abbiamo sentito pronunciare questa frase, che i più grandi comici, i più inesauribili intrattenitori teatrali o cinematografici del passato, fossero in realtà, nella loro vita privata, degli spiriti melanconici, dei tristi solitari, quando non addirittura dei depressi clinici, dipendenti da superalcolici o psicofarmaci (nei casi più fortunati da entrambi allo stesso tempo)? E certo con questa osservazione sembra che si voglia dare espressione a una specie di ironia del destino che vuole che proprio chi è dotato in massimo grado del dono di far ridere gli altri manchi poi della capacità di ridere o di sorridere dei fatti vari e forse amari della propria esistenza. Quale che sia la fondatezza di una simile osservazione, essa sembra metterci sotto gli occhi qualcosa di apparentemente contraddittorio e cioè che il riso, o il sorriso, possono nascere come manifestazioni di una visione sconsolata e sostanzialmente pessimistica del destino umano, non meno che da una visione allegra, edulcorata e pubblicitaria dello stesso.
In età classica e poi in età moderna vi fu un filosofo che venne tradizionalmente rappresentato come ‘il filosofo che ride’: Democrito di Abdera. La fonte letteraria su cui pare fondarsi questa iconografia risale a una delle Epistulae di Orazio in cui il poeta latino, dopo aver elencato tutta una serie di spettacoli in cui trova distrazione e diletto la plebe, scrive che si foret in terris, rideret Democritus (Epist., II, I, 194), cioè che se fosse sulla terra, se fosse ancora vivo, di queste cose riderebbe Democrito. Altra fonte, forse ancora più rilevante nello stabilire una tradizione iconografica distinta, ma a questa stret-tamente intrecciata – quella di Democrito filosofo sorridente contrapposto a Eraclito filosofo piangente – diffusa già in età classica per poi essere ripresa in epoca medievale e moderna, è il De tranquillitate animi di Seneca, là dove si legge che “dobbiamo, dunque, ripiegare sul non trovare odiosi, ma ridicoli, i vari vizi del volgo e sull’imitare piuttosto Democrito che Eraclito: questo, ogni vol-
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volta che usciva in pubblico, piangeva, quello rideva: all’uno tutte le nostre azioni parevano miserie, all’altro stupidaggini. Dobbiamo, dunque, dar poco peso a tutto e sopportare tutto con indulgenza: è più da uomini ridere della vita che piangerne” (De tranquillitate animi, XV, 2-3). Secondo la tradizionale dottrina ippocratica degli umori, la cui rilevanza culturale e iconografica sembra aver di molto superato, almeno in termini cronologici, quella medica, le caratteristiche psicosomatiche e lo stato di salute di una persona sarebbero da spiegarsi ipotizzando l’esistenza di quattro fluidi (il sangue, la bile, la bile nera o atrabile e la flemma) distribuiti in modo ineguale nei diversi individui. Il prevalere di uno di questi elementi e le loro diverse combinazioni determinerebbero la varietà dei tipi umani; ogni umore è infatti associato a pianeti, stagioni, colori, organi corporei, caratteristiche psicologiche. È interessante come il nostro vocabolario conservi ancora tracce di simili credenze: il tipo sanguigno è gioviale e ridanciano, il tipo in cui prevale la bile è invece collerico, nel melanconico sono dominanti la bile nera e il pianeta Saturno, mentre il flemmatico è dominato da Venere. Stando a questi tipi puri il filosofo è stato spesso raffigurato come il melanconico per eccellenza e ancora oggi la più tipica – e forse scontata – rappresentazione del pensatore è proprio quella del solitario dalla fronte corrugata, seduto a un tavolo o su qualche altro tipo di supporto che funga alla bisogna, con lo sguardo abbassato o perso nel vuoto, che porta la mano alla testa come per sostenerla da troppo ardite e lugubri meditazioni. Brandt ci spiega che questa postura, detta gestus melancholicus, è una delle rappresentazioni più antiche e al tempo stesso più iconograficamente standardizzate e perciò facilmente riconoscibili dell’arte occidentale: la ritroviamo in pratica identica sia su reperti etruschi e greci in cui sono raffigurati Penelope e Odisseo, sia nel ritratto che Van Gogh fece del medico Paul Ferdinand Gachet alla fine dell’Ottocento.
Dato questo punto di partenza non può risultare strano che la rappresentazione di Democrito come filosofo che ride creasse, con la sua apparente contraddittorietà, qualche increspatura nel mondo altrimenti simmetrico della dottrina ippocratica e delle sue figurazioni pittoriche. La questione da chiarire era in sostanza questa: come può un filosofo ridere? E, se proprio intende ridere, di cosa ride esattamente? Che questo riso sia un segno di pazzia? Il troppo studio può averne minato la salute mentale? Di fronte a questi interrogativi la teoria ippocriatica poteva accampare la risposta che, quando parliamo dei quattro tipi psicolo-
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gici, a loro volta determinati dal prevalere dei diversi umori, stiamo parlando in realtà di tipi puri, ma che questi tipi possono poi ricombinarsi gli uni con gli altri in misura maggiore o minore fino a generare una quantità molto ampia di profili e caratteri. Democrito rappresenterà allora proprio uno di questi tipi composti,
spurii, in cui il tipo del pensatore, dominato da Saturno e dalla melanconia,
si sovrappone e si mescola a quello del sanguigno, dominato da Giove e dal riso,
rappresenterà cioè il tipo del melancholicus
sanguineus. Democrito ride sì, ma non perché stimi in modo diverso il
valore della commedia umana rispetto ad altri suoi colleghi più seriosi e
compassati, ride di fronte al niente, come nella rappresentazione che ne dà
Josè de Ribera, ride di fronte a un libro dalle pagine bianche, senza
caratteri. Ride di questo non-senso e diventa così il patrono ideale dei grandi
comici, ma anche delle maschere della commedia dell’arte, dei fool shakespeariani, degli arlecchini e
di chiunque si provi nelle diverse circostanze a castigare ridendo mores.
Marco Bachini
Le Rubriche di Alphaville
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Previsto per il mese di ottobre..
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Dislocare lo sguardo,
aprire il paesaggio Articolo di Natalia Anzalone Democrito, o
del filosofo che ride Articolo di Marco Bachini |
Al borderline
della profilazione Articolo di Rosella Corda |
Scrivono nella rivista: .
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