La vita di
Adele Un film di Abdellatif Kechiche
Articolo di Daniel Montigiani
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Sono semplicemente memorabili quei film (specialmente forse le cosiddette pellicole “queer”) che riescono con studiata naturalezza a far emergere una ben azionata compresenza di bellezza, importanza stilistica e “presenza” sia sociologica che psicologica. Insomma, quei film che, un po’ in maniera spontanea e un po’ con volontaria spinta da parte del regista, oltre ad essere esteticamente di alto livello, eccellenti da un punto di vista filmico, si possono permettere allo stesso tempo di rappresentare in maniera ottimale, altrettanto eccellente uno “spaccato” sociologico dell’ambiente e psicologico dei personaggi (un primo esempio cinematografico a caso che può venire in mente è quello più che lussuoso di Edoardo II di Derek Jarman).
Con Vita di Adele Kechice aveva forse tale ambizione o si trovava nei dintorni di essa, ma non dà l’impressione di essere del tutto riuscito a farla funzionare sotto tutti gli aspetti. La – chiamiamola brevemente così – rappresentazione sociologica, insomma, il contesto all’interno del quale nasce, si sviluppa e si svolge il rapporto sentimentale fra due ragazze, ovvero fra Adele (timida, non colta, non dichiaratamente bisessuale) ed Emma (più diretta, dalla sessualità assolutamente libera, spavalda studentessa di Belle Arti e pittrice) non pare particolarmente originale o rilevante, o, comunque, Kechice non riesce bene del tutto a rappresentare in maniera significativa e personale argomenti e situazioni come questi ormai davvero ampiamente affrontati nel cinema e nella letteratura. Si prenda la sequenza durante la quale emergono con una crudeltà semplice e diretta le differenze fra le due protagoniste: in un momento della festa di fidanzamento organizzata dalle due ragazze viene mostrata una porzione del microcosmo delle amicizie di Emma; quest’ultima, in presenza di Adele, discute animatamente di pittura – in particolare di Schiele e Klimt -, ed è proprio qui che Adele, possedendo scarsissime nozioni di storia dell’arte, prova un disagio isolante non indifferente di fronte all’animata e sfacciata cultura della compagna e degli amici al tavolo.
Di conseguenza, risultano sinceramente abbastanza scontati alcuni momenti che mostrano la naturale (e destinica?) forza del rapporto amoroso fra le due ragazze nonostante le loro differenze. Ma anche sul piano estetico sono forse proprio le scene e sequenze “collettive”, “generali” ad essere colpite dal morbo del poco riuscito e dello spietato deja vu, in genere accompagnate da più o meno scatenate riprese con la macchina in spalla, immagini in movimento che è possibile vedere praticamente negli ovunque meno interessanti. Il personaggio di Emma appare più volte dai contorni insopportabilmente stereotipati (la studentessa di Belle Arti alternativa - almeno in teoria - dai capelli improbabilmente blu corti che fa la pittrice complicata e tormentata), ma è vero che la cosa più o meno riuscita in questo film è la costruzione del personaggio, del corpo e del volto di Adele, presenza assolutamente presente che si porta dietro e diffonde dalla sua piccola prospettiva un’abbondante atmosfera di isolamento e assonnata malinconia quasi simile alla celebre frase di Baudelaire: «Il me semble que je serais toujours bien là où je ne suis pas», affermazione che ben esprime la sicura impressione di essere felici dove non si è (condizione questa di Adele forse in parte dovuta alla parziale o totale non accettazione della sua sessualità, al suo contesto familiare all’oscuro del suo fidanzamento, alle già discusse differenze fra lei e la sua compagna).
Kechiche cerca con discreto successo di riprendere Adele come se fosse simile a una grande pelle vivente, una carne rivestita di neuroni, come se l’organo principale della ragazza fosse la sua epidermide.
Del resto, il film, per quanto tutt’altro che privo di ingombranti difetti, talvolta in modo così sgradevole da risultare quasi disgustoso, in diverse situazioni cerca di essere sinceramente presente dal punto di vista della pelle, del primo piano, del dettaglio, della sineddoche per il tutto.
Del resto, il film, per quanto tutt’altro che privo di ingombranti difetti, talvolta in modo così sgradevole da risultare quasi disgustoso, in diverse situazioni cerca di essere sinceramente presente dal punto di vista della pelle, del primo piano, del dettaglio, della sineddoche per il tutto.
Daniel Montigiani
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