Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Codice ISSN: 2281-9223 - Numero di Settembre, 2013 - Anno II
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Sezione Filosofia Alphaville Sezione diretta da Viviana Vacca e Silverio Zanobetti
. Per una Ecosofia del futuro
L’ undicesimo numero della rivista PASSPARnous presenta la “Sezione Filosofia”.
Ognuno ha i propri autori di riferimento. Ognuno deve cercare di venirne fuori. L’immagine del pensiero, l’immagine che esso si dà di cosa significhi pensare, usare il pensiero, orientarsi nel pensiero, è un dispositivo che si presenta senza incrinature all’interno di quasi tutto il pensiero filosofico occidentale.
Lavorare l’immagine del pensiero significa quindi lavorare l’immagine del potere attraverso una decostruzione dei nostri autori preferiti per mostrare ciò che non hanno visto. Per far questo c’è bisogno di pluralità e di relazioni.
Innanzitutto penso alle relazioni che si possono intessere tra studiosi distinti da percorsi teorici diversi, come quelli riunitisi nel Laboratorio filosofico (Critica della Ragion Creativa) all’interno del Festival Crisalide Filosofia e Performance (www.crisalidefestival.eu).
Innanzitutto penso alle relazioni che si possono intessere tra studiosi distinti da percorsi teorici diversi, come quelli riunitisi nel Laboratorio filosofico (Critica della Ragion Creativa) all’interno del Festival Crisalide Filosofia e Performance (www.crisalidefestival.eu).
Uno degli elementi venuti fuori in modo preponderante durante il laboratorio è stata il legame intrinseco tra poteri e relazioni. I poteri non possono essere disgiunti dalle relazioni tra gli individui. Su questo aspetto si sono concentrate le interessanti conferenze di Alessia Solerio (a partire dall’analisi del testo di Enzo Melandri La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia; Alessia Solerio si è concentrata anche sull’antropoiesi della percezione di Francesco Remotti e il processo di individuazione di Simondon nella lettura di Stefania Consigliere), di Eleonora De Conciliis sulla natura comparativa dell’uomo (a partire dal suo testo Il potere della comparazione, Mimesis, 2012), di Vincenzo Cuomo (sulla natura relazionale del biotecno-capitalismo contemporaneo e sulla sfruttabilità dell’attività vitale altrui, a partire dal suo ultimo articolo su Kainos, Start up, classe creativa e capitalismo delle relazioni). Se il desiderio non è puramente umano ma passa attraverso macchine estetiche e se la nostra relazione con il mondo passa sempre attraverso un medium immaginale[1], si è rivelato necessario, in un circolo che va dall’economia politica all’estetica e da quest’ultima all’economia politica, analizzare l’ambito dei visual studies per consentire una gestione del potere delle immagini all’interno dell’odierna comunicazione prevalentemente iconocentrica. A partire dalle analisi di Mitchell e Ricouer Alberto Martinengo si è concentrato sulle immagini visuali come mediatori sociali e sulla necessità di conoscere la loro logica autonoma: il “pictorial turn” studia il rapporto tra immagine e linguaggio e lavora contro la grande rimozione contemporanea che ha per oggetto il supporto materiale inteso come condizione per la sopravvivenza dell’immagine stessa.
Se fosse possibile descrivere con una sola frase il rapporto della creazione con la relazione dovremmo far riferimento a Simondon nel momento in cui scrive che il vivente può inventare proprio per il fatto che esso è un essere individuale che porta con sé il suo ambiente associato[2]. Il principio di individuazione non spiega l’individuo: al contrario, l’individuazione collettiva è condizione di possibilità dell’individuo. |
In questo senso dovremmo descrivere un circolo virtuoso i cui tre elementi sono: il preindividuale, l’individuazione collettiva e l’individuo vivente. L’individuazione psichica è sempre individuazione collettiva perché l’individuo iè immersoiin un ambiente associato, anche se oggi, proprio in tempi di concorrenza spietata (non è più un “correre insieme”), lo è, purtroppo, sempre meno. Il tema delle relazioni, insomma, non può sfociare in un’etica intersoggettiva. In un biotecnocapitalismo in cui, per dirla con Vincenzo Cuomo, si quotano stili di vita e segni come prodotto della fabbrica della creatività (intrecciata con la fabbrica dell’uomo indebitato che induce ad un lavoro estenuante su di sé caratterizzato da dinamiche di assoggettamento laddove la cura di sé ha a che fare invece con dinamiche di autocostruzione di sé) e delle relazioni sociali, si tratta forse di abbandonare la dialettica del riconoscimento (la continua e ossessiva necessità di riconoscimento presente sui social network) per ritrovare nell’amore (e forse in molti altri situazioni…) qualcosa di impersonale, l’impersonalità di una lacrima che non può diventare “bene comune” oggetto di appropriazione capitalistica.
Uscendo dal caso dell’amore si tratta di capire come entrare in relazione macchinica con gli oggetti tecnici transindividuali (di cui il linguaggio è solo l’esempio più evidente) per sottrarre alla captazione del valore alcuni beni comuni particolari, come la velocità (per avvicinarci ad un autore come Virilio).
Se il capitalismo ci rende stupidi lo fa sottraendoci dallo choc della differenza e cioè dalla possibilità di affrontare la bestialità, di accusare uno choc della differenza[3]:
Uscendo dal caso dell’amore si tratta di capire come entrare in relazione macchinica con gli oggetti tecnici transindividuali (di cui il linguaggio è solo l’esempio più evidente) per sottrarre alla captazione del valore alcuni beni comuni particolari, come la velocità (per avvicinarci ad un autore come Virilio).
Se il capitalismo ci rende stupidi lo fa sottraendoci dallo choc della differenza e cioè dalla possibilità di affrontare la bestialità, di accusare uno choc della differenza[3]:
L’intelligenza non risponde alla bestialità [bêtise], alla stupidità: è la bestialità già vinta, l’arte categoriale di evitare l’errore. Lo studioso è intelligente. Ma è il pensiero che s’affronta alla bestialità, col suo sguardo immerso in questo cranio senza candela. È la sua propria testa di morto, la sua tentazione, il suo desiderio, forse, il suo teatro catatonico. Al limite, pensare sarebbe contemplare intensamente, da molto vicino, e quasi fino a perdervisi, la bestialità; e la stanchezza, l’immobilità, una grande fatica, un certo cocciuto mutismo, l’inerzia formano l’altra faccia del pensiero - o meglio il suo accompagnamento -, l’esercizio quotidiano e ingrato che lo prepara e che subito esso dissolve. [...] [Il filosofo] deve essere inoltre di “umore cattivo” tanto quanto basta per restare di fronte alla bestialità, per contemplarla senza un gesto, sino alla stupefazione, per avvicinarsi ben bene a essa e mimarla, per lasciarla montare lentamente in sé (è forse questo che si traduce eufemisticamente: essere assorbito nei propri pensieri), e attendere, al termine mai bissato di questa preparazione accurata, lo choc della differenza: la catatonia muove il teatro del pensiero, una volta che il paradosso abbia rovesciato il quadro della rappre-sentazione…[4]
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Un’altra indicazione fondamentale del laboratorio si è concentrata sul carattere produttivo del potere, concetto ripreso da Eleonora De Conciliis, i cui autori di riferimento rimangono Foucault, Bourdieu e Baudrillard. Siamo immersi in ambienti di vita mediatici che ci controllano attraverso ciò che ci consentono di fare, non attraverso ciò che ci vietano. |
La creatività commerciale intesa come stato di immaginazione eccitata si caratterizza per l’idea che siamo “liberi di creare”, laddove la vera creazione partirebbe dalla necessità. I media agiscono come agenti di formattazione dell’esperienza ed operano attraverso quella che Benjamin chiamava innervazione collettiva. Riprendendo Foucault De Conciliis parla del potere pastorale come base della governamentalità moderna: l’anima del singolo è un prodotto di questo potere che, quindi, non si caratterizza certo per una rinuncia a sé. La governamentalità moderna crea libertà immettendo contemporaneamente delle dipendenze: si dà agli “inferiori” il codice per riconoscere la superiorità di chi parla e ai superiori la piena padronanza del codice. Per codici si possono intendere codici semiotici, regimi percettivi, regimi di enunciazione e visibilità. A questo punto si prospettano situazioni di servitù volontaria, per riprendere il celebre testo di Étienne de La Boétie[5]. Contro l’odierno “fondamentalismo dell’uguaglianza”, è necessario far emergere con Max Weber che ogni condotta umana è inintenzionalmente riferita agli altri. Nel corso della storia della filosofia occidentale la comparazione interindividuale è stata rimossa con la comparazione tra soggetto e oggetto fisico; in campo teorico speculativo il filosofo ha sempre inteso misurarsi con i colleghi senza entrare mai veramente nel confronto, senza mettere in gioco il suo essere un fascio di relazioni comparative[6]; insomma, ha sempre cercato di occultare il modo in cui attraverso i saperi (e non solo…) è possibile dirigere la condotta dell’altro, influenzare il campo del possibile dell’altro.
Ai fini del laboratorio era necessaria una genealogia della soggettivazione che mostrasse la genealogia dei dualismi della modernità a partire dal dualismo individuo/gruppo. Riccardo Baldissone, esploratore dei processi di rimozione delle molteplicità nel pensiero occidentale, ha cercato di ripercorrere i rapporti tra sapere e autorità sviluppatisi nel corso di tutto il pensiero occidentale. Da un logos preplatonico raccontato dalle donne (era il mito ad essere raccontato dagli uomini in quanto avevano l’autorità per rendere più credibili i miti), allo scioccante caso di Socrate che viene ucciso dalla città: un buon modo per evitare il ripetersi di tale assurdità è stata proprio la nascita di un’epistemologia che distaccasse il logos dall’autorità personificata in una persona. La genealogia proposta da Baldissone tende tra le altre cose a dimostrare come noi non abbiamo ancora imparato a dire Noi, visto che nella modernità i soggetti collettivi sono solo entità individuali scritte a caratteri cubitali. Quel Noi costituisce forse l’obiettivo del laboratorio pensato da Paolo Vignola: la costruzione di un piano transindividuale, lo sbloccaggio dei circuiti di transindividuazione sempre più bloccati; proprio su questo piano si gioca la nostra capacità di regolare le nostre percezioni e la velocità del nostro corpo in un campo d’azione.
Alla genealogia deve accompagnarsi una sintomatologia in vista di una salute collettiva, una sintomatologia che non curi il sintomo ma costruisca a partire da esso e dalla genealogia di cui abbiamo detto. Facendo il verso (ma con differenze sostanziali) alla sintomatologia della décadence di Nietzsche del 1888, alla sintomatologia della società capitalistica di Deleuze e Guattari, alla sintomatologia di una civiltà nella Dialettica dell’Illuminismo, Paolo Vignola cerca di pensare il disagio collettivo della società in rete prendendosi cura del logos attraverso il pathos.
L’obiettivo è trasformare i sintomi in questioni teoriche da affrontare; partire dal sintomo e dalla stupidità delle tecnologie del controllo per riuscire a fare filosofia oggi. In questo breve excursus ho preferito lavorare ai margini del testo di Paolo Vignola: nel prossimo numero di Alphaville sarà approfondita l’arte della sintomatologia presente in L’attenzione altrove. Sintomatologie di quel che ci accade, Orthotes, 2013.
Ai fini del laboratorio era necessaria una genealogia della soggettivazione che mostrasse la genealogia dei dualismi della modernità a partire dal dualismo individuo/gruppo. Riccardo Baldissone, esploratore dei processi di rimozione delle molteplicità nel pensiero occidentale, ha cercato di ripercorrere i rapporti tra sapere e autorità sviluppatisi nel corso di tutto il pensiero occidentale. Da un logos preplatonico raccontato dalle donne (era il mito ad essere raccontato dagli uomini in quanto avevano l’autorità per rendere più credibili i miti), allo scioccante caso di Socrate che viene ucciso dalla città: un buon modo per evitare il ripetersi di tale assurdità è stata proprio la nascita di un’epistemologia che distaccasse il logos dall’autorità personificata in una persona. La genealogia proposta da Baldissone tende tra le altre cose a dimostrare come noi non abbiamo ancora imparato a dire Noi, visto che nella modernità i soggetti collettivi sono solo entità individuali scritte a caratteri cubitali. Quel Noi costituisce forse l’obiettivo del laboratorio pensato da Paolo Vignola: la costruzione di un piano transindividuale, lo sbloccaggio dei circuiti di transindividuazione sempre più bloccati; proprio su questo piano si gioca la nostra capacità di regolare le nostre percezioni e la velocità del nostro corpo in un campo d’azione.
Alla genealogia deve accompagnarsi una sintomatologia in vista di una salute collettiva, una sintomatologia che non curi il sintomo ma costruisca a partire da esso e dalla genealogia di cui abbiamo detto. Facendo il verso (ma con differenze sostanziali) alla sintomatologia della décadence di Nietzsche del 1888, alla sintomatologia della società capitalistica di Deleuze e Guattari, alla sintomatologia di una civiltà nella Dialettica dell’Illuminismo, Paolo Vignola cerca di pensare il disagio collettivo della società in rete prendendosi cura del logos attraverso il pathos.
L’obiettivo è trasformare i sintomi in questioni teoriche da affrontare; partire dal sintomo e dalla stupidità delle tecnologie del controllo per riuscire a fare filosofia oggi. In questo breve excursus ho preferito lavorare ai margini del testo di Paolo Vignola: nel prossimo numero di Alphaville sarà approfondita l’arte della sintomatologia presente in L’attenzione altrove. Sintomatologie di quel che ci accade, Orthotes, 2013.
Note:
[1] Su questi temi O. Meo, Due sviluppi recenti della teoria dell’immagine: il Pictorial turn e l’Ikonische Wende, nel testo di prossima pubblicazione A. Bruzzone, P. Vignola (a cura di), Margini della filosofia contemporanea, Orthotes, Salerno 2013. [2] G. Simondon, Dumode d’existence des objects techniques, Paris, Aubier, 1989, p. 55. [3] «La sensibilità “choccata” è base indispensabile per un’attività di pensiero capace di comprensione nei confronti del “nuovo” […]» in U. Fadini, Sul principio arcipelago. Appunti attorno ai motivi della scrittura e della morale in Gilles Deleuze in Aa. Vv., How shall I act? Per una filosofia della realtà. Giornata di Studi, a cura di S. Baranzoni, Kainós Edizioni, p. 53. [4] G. DELEUZE, Differenza e ripetizione, trad. it. di G. Guglielmi, Raffaello Cortina, Milano 1997. [5] É. de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria, Chiarelettere, 2011. [6] Per comprendere la reale portata di questi temi rimando al saggio presente nel sito di Kainos: http://www.kainos-portale.com/index.php/percorsi-ricerca/46-forme-della-soggettivazione/239-l-evoluzione-delle-differenze |
Silverio Zanobetti
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Le Rubriche di Alphaville
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Interviste e discussioni
Previsto per il mese di ottobre..
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Scrivono nella rivista: .
Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Silverio Zanobetti, Fabio Treppiedi, Roberto Zanata, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Natalia Anzalone, Enrico Ratti, Marco Bachini, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Francesco Panizzo.
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