La gabbia
dorata Un film di Diego Quemada-Diez
Articolo di Daniel Montigiani
|
|
Tre adolescenti provenienti dai luoghi più poveri del Guatemala decidono fermamente di intraprendere un viaggio verso gli Stati Uniti sperando di andare incontro a una vita e a un futuro migliori. Nel corso del loro pericoloso e pericolante cammino, i tre conoscono l’indigeno Chauk, con il quale affronteranno i momenti più drammatici e inaspettati di questo loro percorso verso la luminosa illusione delle stelle e strisce. La gabbia dorata, opera prima di Quemada-Diez già assistente di registi come Loach, Stone e Inarritu, si getta immediatamente negli occhi, come se volesse avvertire quasi in maniera brusca del ritmo tristemente teso, concitato. Il regista parte mostrando con la macchina in spalla inquadrature barcollanti, agitate all’interno delle quali vediamo da una parte uno dei due piccoli protagonisti correre verso una piccola stanza appartata per cambiarsi velocemente e, dall’altra, l’altrettanto piccola cooprotagonista avviarsi svelta verso un bagno, dove si “trasforma”, si camuffa da ragazzo tagliandosi i capelli e fasciandosi i seni, una scena indubbiamente stimolante, soprattutto perché pare uscire da sé stessa per assumere quasi una specie di tensione da thriller.
Detto questo, sarebbe forse il caso di continuare dicendo subito che il film d’esordio di Diez, che scalpita giustamente da un punto di vista etico (anche) per denunciare lo sfruttamento dei popoli in difficoltà da parte degli Stati Uniti, per quanto non sia privo di interesse, galleggia perlopiù in una formalina che sosta semimmobile in una zona fra il poco riuscito e un prodotto (quasi) medio.
|
Poiché il materiale, la materia narrativa e cinematografica non è nuova, il regista avrebbe dovuto cercare di far camminare il film se non necessariamente in maniera particolarmente originale, almeno da un punto di vista discretamente inedito. Eppure, nei primi venti minuti circa, Diez era più o meno riuscito a dimostrare in qualche modo il suo tentativo e la sua capacità di farlo: in questa primissima parte, infatti, oltre al riuscito, concitato montaggio alternato “trafitto” da una tensione thriller, il regista lascia che sia il silenzio - il silenzio delle immagini, il silenzio all’interno delle immagini - a occuparsi della pellicola, a far sì che nessuno dei personaggi parli, lasciando che dalle inquadrature traspaiano solamente i rumori naturali del luogo, dei luoghi. L’inizio del viaggio che i ragazzini cominciano a intraprendere è coperto, accompagnato da una totale assenza di dialoghi, un silenzio questo capace di liberare intorno a sé un’atmosfera del luogo nella cui pericolosa e incerta vastità sono inclusi, imprigionati i protagonisti. Durante questa primissima parte allo spettatore, nonostante l’assenza di dialoghi, non è permesso di annoiarsi o di distrarsi proprio grazie a questo silenzio, a questo “mutismo della parola” che, a causa del suo essere dispensatore di incertezza che intensifica lo squallido senso dell’avventura, accresce la tensione data dalla situazione passiva e succube dei tre ragazzini.
Ma quasi paradossalmente, quando il discreto e abbastanza riuscito “incantesimo” (storto, teso, torto) del silenzio si interrompe e viene lasciato spazio all’arrivo agitato e pacchiano dei dialoghi e degli avvenimenti che si presentano in maniera tragicamente esponenziale la discreta qualità data dall’incipit e dai minuti successivi viene scacciata.
|
Quando, insomma, Diez passa dalle tecniche da cinema moderno “dell’elogio del silenzio” e dell’elevazione dell’atmosfera attraverso cui scandire la storia a quelle più classiche, più “normali” e lineari il film si fa noioso, diviene vittima della sterile circolarità di un girare intorno a se stesso.
L’attesa degli eventi che caratterizzava il principio della prima parte è molto più efficace, meno scontata e più tesa degli avvenimenti stessi in fieri. Anche dal punto di vista delle riprese i già citati primi venti minuti in quanto a qualità “vincono” abbondantemente su tutto il resto dell’opera: se, infatti, nella primissima parte l’idea della passività tragica, pura e indifesa dei piccoli protagonisti è ben incarnata dalla soggettiva stilistica di uno di questi che vede arrivare impaurito un minaccioso treno nero, negli ultimi minuti del film la soggettiva del ragazzino che sta per attraversare il tunnel in fondo al quale vede la luce del fuori, dell’Esterno, dell’America come metafora della salvezza, del passaggio dal buio del suo paese di origine e del Viaggio subìto alla luminosità salvifica del pensiero degli Stati Uniti è di una banalità purtroppo non indifferente.
L’attesa degli eventi che caratterizzava il principio della prima parte è molto più efficace, meno scontata e più tesa degli avvenimenti stessi in fieri. Anche dal punto di vista delle riprese i già citati primi venti minuti in quanto a qualità “vincono” abbondantemente su tutto il resto dell’opera: se, infatti, nella primissima parte l’idea della passività tragica, pura e indifesa dei piccoli protagonisti è ben incarnata dalla soggettiva stilistica di uno di questi che vede arrivare impaurito un minaccioso treno nero, negli ultimi minuti del film la soggettiva del ragazzino che sta per attraversare il tunnel in fondo al quale vede la luce del fuori, dell’Esterno, dell’America come metafora della salvezza, del passaggio dal buio del suo paese di origine e del Viaggio subìto alla luminosità salvifica del pensiero degli Stati Uniti è di una banalità purtroppo non indifferente.
|
Daniel Montigiani
|
Scrivono in PASSPARnous: k
Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
Sezione
Revue Cinema diretta da Daniel Montigiani Sezione
Trickster diretta da Alessandro Rizzo Sezione
Reportages diretta da Davide Faraon |
Sezione
Psychodream Review diretta da Enrico Pastore e Francesco Panizzo Sezione
Apparizioni diretta da Martina Tempestini Sezione
Archivio diretta dalla redazione di PASSPARnous |
Sezione
Musikanten diretta da Roberto Zanata Sezione
Witz diretta da Sara Maddalena Sezione
Eventi diretta dalla redazione di PASSPARnous |
|
Vuoi diventare pubblicista presso la nostra rivista?
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall’immagine sottostante.
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall’immagine sottostante.
Click here to edit.
Psychodream Theater - © 2012 Tutti i
diritti riservati