Sezione Filosofia Alphaville Rubrica diretta da Viviana Vacca e Silverio Zanobetti
Rubrica Interventi critici
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. Per una Ecosofia del futuro
Il nono numero della rivista PASSPARnous presenta la “Sezione Ecosofia”.
Intervento tenuto durante l’Evento Filosofia.
Di alcuni motivi in Gilles Deleuze e Michel Foucault
tenutosi al Gabinetto Viesseux di Firenze il 12 settembre 2012
di Silverio Zanobetti
Di alcuni motivi in Gilles Deleuze e Michel Foucault
tenutosi al Gabinetto Viesseux di Firenze il 12 settembre 2012
di Silverio Zanobetti
L’ultimo saggio del nostro testo, Il secolo che verrà, delinea, a partire da Il Freddo e il crudele, una figura di immoralista masochiano che trova nel disconoscimento un’arma affilata. Quella che Deleuze attua attraverso una rilet- tura di Masoch e Sade, è una vera e propria impresa di salute che consiste nel captare nuove forze, nuovi regimi di segni in un momento di controllo “imperiale”, di svuotamento dei processi di soggettivazione. |
L’attenzione
di Deleuze a Masoch non può essere riducibile ad un mero interesse da
salotto letterario, ad una fascinazione per una strana perversione; tale
interesse nasce piuttosto da un’esigenza ancestrale che risale
all’inizio del suo percorso intellettuale.
Il libro su Hume e Istinti e istituzioni stano lì a dimostrare l’interesse per le «creazioni collettive più che le rappresentazioni», per le istituzioni. In tutta la ricerca deleuziana la critica del contratto e della legge in Masoch e Sade rappresentano un elemento propedeutico e di continuità rispetto all’interesse per le istituzioni.
Scrive Deleuze: «Dapprincipio mi interessavo più al diritto che alla politica. Ciò che anzi mi piaceva in Masoch e Sade era la loro concezione affatto distorta del contratto (Masoch) e dell’istituzione (Sade), in relazione alla sessualità. […] Col Maggio ‘68, nella misura in cui prendevo contatto con problemi precisi, grazie a Guattari, a Foucault, a Elie Sambar, ho attuato per mio conto una sorta di passaggio alla politica. L’anti-Edipo è stato, da cima a fondo, un libro di filosofia politica».
Allo stesso tempo, però, è sbagliato cercare una concezione politica deleuziana, altrimenti ci troveremmo di fronte alla “totalizzazione della teoria o della pratica”. La celebre conversazione con Foucault nel ‘72 sui rapporti teoria pratica spiega chiaramente cosa si intenda per “filosofia politica”. Convenendo con Foucault, Deleuze spiega: la pratica non è «un’applicazione della teoria» e non è quella che deve «ispirare la teoria. […] La pratica è un insieme d’elementi di passaggio da un punto teorico a un altro, e la teoria il passaggio da una pratica a un’altra. Nessuna teoria può svilupparsi senza incontrare una specie di muro ed è necessaria la pratica per sfondarlo». Da questo confronto si evincono altre due cose:
- La teoria è sempre locale e può avere la sua applicazione in un campo lontano da quello per cui è pensata la teoria.
E quindi il rapporto di applicazione non è somiglianza.
- Le cose da evitare sono due: che non si totalizzi la pratica e neanche la teoria.
Il libro su Hume e Istinti e istituzioni stano lì a dimostrare l’interesse per le «creazioni collettive più che le rappresentazioni», per le istituzioni. In tutta la ricerca deleuziana la critica del contratto e della legge in Masoch e Sade rappresentano un elemento propedeutico e di continuità rispetto all’interesse per le istituzioni.
Scrive Deleuze: «Dapprincipio mi interessavo più al diritto che alla politica. Ciò che anzi mi piaceva in Masoch e Sade era la loro concezione affatto distorta del contratto (Masoch) e dell’istituzione (Sade), in relazione alla sessualità. […] Col Maggio ‘68, nella misura in cui prendevo contatto con problemi precisi, grazie a Guattari, a Foucault, a Elie Sambar, ho attuato per mio conto una sorta di passaggio alla politica. L’anti-Edipo è stato, da cima a fondo, un libro di filosofia politica».
Allo stesso tempo, però, è sbagliato cercare una concezione politica deleuziana, altrimenti ci troveremmo di fronte alla “totalizzazione della teoria o della pratica”. La celebre conversazione con Foucault nel ‘72 sui rapporti teoria pratica spiega chiaramente cosa si intenda per “filosofia politica”. Convenendo con Foucault, Deleuze spiega: la pratica non è «un’applicazione della teoria» e non è quella che deve «ispirare la teoria. […] La pratica è un insieme d’elementi di passaggio da un punto teorico a un altro, e la teoria il passaggio da una pratica a un’altra. Nessuna teoria può svilupparsi senza incontrare una specie di muro ed è necessaria la pratica per sfondarlo». Da questo confronto si evincono altre due cose:
- La teoria è sempre locale e può avere la sua applicazione in un campo lontano da quello per cui è pensata la teoria.
E quindi il rapporto di applicazione non è somiglianza.
- Le cose da evitare sono due: che non si totalizzi la pratica e neanche la teoria.
In
un contesto bioeconomico le nostre facoltà si fanno sempre più
tecnologicamente mediate e un discorso di filosofia politica non può non
riguardare le metamorfosi dell’esperienza a livello soggettivo che ognuno di noi vive. Il
rapporto tra l’essere umano e la macchina acquista in questo senso un
ruolo rilevante perché, come scrive Ourednik in un suo saggio,
rintracciabile nell’ultimo numero della rivista Millepiani,
«trasmettendosi alle nostre abitudini, le cose si imprimono di nuovo nel
mondo» e si riproducono per via antropica: «ogni istituzione impone ai
nostri corpi, perfino nelle strutture involontarie, una serie di modelli
e fornisce alla nostra intelligenza un sapere, la possibilità di
prevedere e di progettare». La saracinesca della colonia penale, le
frontiere, le macchine burocratiche, le prese in carico istituzionali si
appropriano dei corpi umani, imprimendo la loro legge, fino a
scorticarli. L’unico modo per evitare tutto ciò, spiega Ourednik, è
considerarli essi stessi come delle superfici da imprimere al fine di
instaurare un altro rapporto tra natura o società politica. Il tasso di
politicità de Il freddo e il crudele consiste nel
fatto che la ricerca filosofica diventa subito pratica che traccia vie
di fughe creative non DALLA macchina, bensì pratiche di liberazione
DELLA macchina stessa.
Insomma il carattere inventivo-istituzionale di una macchina punitiva non solo ci mostra l’impronta delle cose nell’uomo, ma, all’inverso, la liberazione nell’uomo stesso di forze impersonali. Il vivente è un essere individuale che porta sempre con sé il suo ambiente; per dirla con Simondon, l’individuo è il risultato parziale e provvisorio di una serie di operazione di individuazioni che avvengono nella dimensione collettiva. Proiettando tutto ciò sulle macchine masochiane studiate da Deleuze, direi che le vesti e gli oggetti muovono il desiderio, le cose diventano umori. Le posizioni emotive dei personaggi acquistano un senso solo attraverso le vesti e gli oggetti con cui vengono a con- catenare. Wanda o Severin assumono un umore diverso secondo gli oggetti che toccano e il modo con cui si concatenano col mondo degli oggetti. Questo significa tornare a dare importanza alle pratiche che mettono in atto condizioni di esistenza in cui l’affettività e la salute tornano ad avere un ruolo importante nel rapporto dell’essere umano e del suo “fare macchina” con l’ambiente circostante. Masoch ci aiuta nel riconsiderare il territorio come un processo continuo dell’agire umano sull’ambiente, come un qualcosa che ha sempre anche una valenza affettiva.
Le macchine da guerra di Masoch hanno proprio la funzione di creare un ambiente medium, che permette di rilevare in superficie i processi intensivi; hanno l’obiettivo di portare in superficie i regimi invisibili che regolano gli incroci tra corpi.
Insomma il carattere inventivo-istituzionale di una macchina punitiva non solo ci mostra l’impronta delle cose nell’uomo, ma, all’inverso, la liberazione nell’uomo stesso di forze impersonali. Il vivente è un essere individuale che porta sempre con sé il suo ambiente; per dirla con Simondon, l’individuo è il risultato parziale e provvisorio di una serie di operazione di individuazioni che avvengono nella dimensione collettiva. Proiettando tutto ciò sulle macchine masochiane studiate da Deleuze, direi che le vesti e gli oggetti muovono il desiderio, le cose diventano umori. Le posizioni emotive dei personaggi acquistano un senso solo attraverso le vesti e gli oggetti con cui vengono a con- catenare. Wanda o Severin assumono un umore diverso secondo gli oggetti che toccano e il modo con cui si concatenano col mondo degli oggetti. Questo significa tornare a dare importanza alle pratiche che mettono in atto condizioni di esistenza in cui l’affettività e la salute tornano ad avere un ruolo importante nel rapporto dell’essere umano e del suo “fare macchina” con l’ambiente circostante. Masoch ci aiuta nel riconsiderare il territorio come un processo continuo dell’agire umano sull’ambiente, come un qualcosa che ha sempre anche una valenza affettiva.
Le macchine da guerra di Masoch hanno proprio la funzione di creare un ambiente medium, che permette di rilevare in superficie i processi intensivi; hanno l’obiettivo di portare in superficie i regimi invisibili che regolano gli incroci tra corpi.
Si tratta di saper leggere i “sintomi”
del territorio e, nel momento in cui la pelle non è più il confine del
corpo e il corpo diventa territorio (corporeo) a causa delle tecnologie
molecolare pervasive e invasive che inter-vengono negli interstizi della
vita stessa, ecco che le macchine da guerra di Masoch disin-nescano i
meccanismi di securizzazione dei territori urbani e fanno della
sintomatologia e dell’intelligenza corporea un elemento di creatività
politico-istituzionale.
Silverio Zanobetti
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Scrivono nella rivista: .
Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Silverio Zanobetti, Fabio Treppiedi, Roberto Zanata, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Francesco Panizzo.
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