Marie Claire Guyot inaugura con l’esposizione postuma delle sue opere la Galleria milanese, da poco aperta, Maroncelli12, in un intento, quale quello del contesto in cui si inserisce, la galleria appunto, che vuole dare voce all’Art Brut in Italia. È definibile questa corrente moderna come “arte grezza”, così come definito dal pittore Jean Dubuffet nel 1945 nel considerare quelle opere realizzate e prodotte da non professionisti, clienti degli ospedali psichiatrici, proponenti produzioni fuori da ogni norma e regola estetico compositiva, rispondendo al flusso spontaneo, quanto interiore, della propria ispirazione. Parliamo di flussi interiori e di ispirazioni libere: in Marie Claire Guyot, nella rassegna esposta a cura di Antonia Jacchia, direttrice della galleria, queste componenti si percepiscono nella loro dirompenza e nel loro impeto visivo. Nelle opere esposte vediamo la stessa autrice proporsi in contesti differenti, vari, dove in una ripetizione quasi seriale, nell’ossessione di narrare il suo dramma interiore e psicologico vissuto, l’autrice si rappresenta in varie circostanze e tempi della propria vita ed esistenza: dall’infanzia alla maternità, all’adolescenza fino a giungere al periodo adulto, coprendo anche propri concetti e sentimenti più interiori, abbandonandosi in rappresentazioni vive e inquietanti, significanti di alfabeti poetico interiori che si esplicano attraverso la forza e la lettura dei colori, delle tinte, delle pennellate, decise e sicure nella loro definizione. Nelle prospettive quasi oniriche da flusso di coscienza tumultuoso, Marie Claire Guyot utilizza la cromaticità, rossa tendente allo scuro, quasi fosse sangue rappreso, quasi fosse esplosione di inquietudini e di ansie, quasi fosse gabbia di un’interiorità irrequieta, dove esistono solamente un figurativo autoritrattistico, il viso digrignante dell’autrice, i denti di bocche, sempre la sua, che gridano le proprie ansie, pezzi di corpi che si insediano sulla tela, invadendola, significanti di moti d’animo interni e indomabili. Marie Claire Guyot nasce a Parigi nel 1937, si sposa con Bruno Colombo, ponte di conoscenza dell’Italia, dove trascorre la sua vita coniugale, facendo, però, ritorno spesso nella sua casa in Borgogna, la casa di famiglia, dove l’autrice vive la propria infanzia e gioventù insieme alla sorella, Elizabeth, che la cresce. L’arte di Marie Claire è arte simbolista, in quanto ogni soggetto ed elemento sparso nelle sue tele dalla cromaticità intensa quanto penetrativa, singolare e unica, risulta originale e concede una connotazione personale e autodeterminata alla stessa autrice, sia esso animale, sia esso una porzione del fisico umano, un ventre, le labbra, le braccia, le mani, sia esso parte di un oggettistica spesso domestica, diventa espressione di un significato intrinseco, interiore, intimo quanto inconscio. La produzione di Marie Claire Guyot si compone anche di una parte scultorea, quasi strutture composite e complesse, assemblamento di una narrazione di una solitudine e di un’isolazione desolante e individuale dal contesto generale sociale, proprio per un rifiuto di una banalità e di una superficialità imperanti, e che trova l’utilizzo di materiali che hanno composto l’infanzia e la gioventù dell’autrice, attaccamento a una memoria, visiva quanto psicologica, tesori di un io narrante che vengono riscoperti, fatti rivivere, nella ricerca ossessiva di riferimenti sicuri e certi di una propria storia, in uno smarrimento contingente, forte, quanto sconfortante. Spontaneità informale si legge in un alfabeto di oggetti e di elementi che diventano parti integranti di quell’ossessione intima che attanaglia l’autrice, trovando nell’arte l’espressione più sincera e diretta di questo tumulto. Marie Claire è sempre stata gelosa della propria produzione, custode unica delle segretezza emotive che si esplicano sia nelle tele, vive e incisive grazie alla molteplicità delle tecniche espresse, dall’olio ai pastelli fino a giungere alle installazioni, utilizzate in modo funzionale in quanto l’artista vuole esprimere e rappresentare di quel l’universo ormai finito, cessato, ma ancora presente e trepidante nell’intimo dell’autrice, tanto da esplodere attraverso veri e propri guizzi visionari e immaginifici, una composita idea e prospettiva di un mondo che vive internamente all’autrice, essendo la stessa presente in modo pervasiva nella produzione che offre e propone.
Alessandro Rizzo
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