Ogni tanto mi piace respirare un’aria diversa da quella dei festival e dei teatri italiani e questo con due scopi primari: vedere cosa succede fuori dai confini e riportare esperienze che potrebbero essere vitali alla scena italiana. L’anno scorso raccontai il Festival de La Bâtie a Ginevra e il Performa Festival nella Svizzera Ticinese, quest’anno invece, insieme al direttore Francesco Panizzo, ho visitato il Festival TNT di Terrassa nei pressi di Barcellona.
Ogni festival ha una sua anima. Per quanto tutti nella pratica, più o meno, si assomiglino, possiedono tutti un tratto distintivo che fa apparire un’intenzione che li distingue. Il TNT ha una certa spiccata tendenza a privilegiare il lavoro dei giovani, anche perché la sua attività si affianca al CAET, il Centro di Arte Scenica di Terrassa, che sviluppa in loco l’attività didattica. E in effetti molti sono i lavori presentati da artisti poco più emergenti sulla scena catalana e iberica. È doveroso segnalare il lavoro della compagnia Los Moñekos che hanno presentato Susurrando a los caballos. Una performance di teatro-danza concepita come uno scena western ma che immediatamente sfugge alla sua propria intenzione creando una sequenza di quadri surreali ed esilaranti in cui il tema è l’amore in tutte le sue possibili declinazioni dal mieloso al perverso, dal commerciale all’intimo. Il lavoro è stato presentato incompleto, nel suo divenire. Diverse residenze, di cui una italiana, hanno scandito le varie fasi della creazione che attende ancora una suo definitiva decantazione. L’esito parziale fa bene sperare benché in alcune fasi si tentenni di fronte alle scelte radicale ripiegando verso effetti più facili e di sicuro impatto. Una menzione anche il lavoro di Mariona Naudin, Una Familia balla, in cui tre generazioni di una famiglia locale si raccontano attraverso il ballo. Il processo creativo si è svolto su un arco di varie settimane con cinque membri di una famiglia e il racconto che ne deriva è tenero e ingenuo. Si sarebbero potute sicuramente percorrere strade un poco più ardue rendendo il lavoro veramente pregnante. Un certo spirito pasoliniano accompagna il lavoro ma senza prendere le sue strade decise. Assolutamente da biasimare il lavoro Nazario Diaz Vertebro. Il suo Oro è un ricettacolo di arroganza inconcludente. Ci si sente un po’ presi in giro a star lì a parlar di niente con questo artista che sembra sbeffeggiare la pazienza del suo pubblico. Altro discorso è da fare per il giovane galiziano Pablo Fidalgo. Il suo Habras de ir a la guerra che empieza hoy, benché sia di stampo molto classico e ben poco una nuova tendenza, possiede una forza che ne travalica i difetti, rendendo quest’opera una piacevole sorpresa tanto da convincermi a dedicargli una recensione completa smentendo le mi e spiccate tendenze a demolire i lavori di teatro di testo. Una doverosa menzione anche per Entre tazas della compagnia Electrico 28 e Alina Stockinger. Un lavoro site specific costruito in quattro settimane in cui a un numero ridotto di spettatori si propone un percorso narrativo per le strade e i negozi di Terrassa, esperendo il paesaggio e la storia in maniera diversa, ironica e intelligente. Il pubblico e sia spettatore che attore in un contesto dove vita quotidiana e azioni performate si mischiano e compenetrano. I segnali stradali e i nomi dei negozi diventano segni di una narrazione, la storia locale, nel caso specifico una inondazione, diventano esperienza per lo spettatore che si trova a rivivere una tragedia con leggerezza e intelligenza. Il finale di questo percorso in un bar quasi relitto di un’epoca precedente dove in una situazione da 6 personaggi in cerca d’autore una drammaturga cerca di far vivere i propri personaggi che prendono vita nel locale insieme ai clienti abituali. La realtà dei personaggi inventati spaventa la giovane drammaturga costretta a fuggire di fronte al prendere corpo delle proprie fantasie. Non riuscito e pretenzioso anche il lavoro di Dimitri Ialta La coronaciò di Barbarella. Un lavoro un po’ stucchevole sul femminismo e il ruolo della donna dove a prevalere sono i luoghi comuni e il prendersi un po’ troppo sul serio pretendendo di fare un discorso sociologico senza averne gli strumenti. Una pratica importante che anche i nostri festival dovrebbero accogliere è quella che è stata denominata Carovana de tràilers. Con grande ironia si prende in giro la pratica invalsa per la ricerca di fondi e produttori di inviare video, teaser e trailer, invitando 6 giovani compagnie catalane a costruire dal vivo un trailer di cinque minuti di una propria creazione in via di sviluppo. Questi trailer sono stati presentati a un pubblico in gran parte di operatori del settore e il migliore votato verrà prodotto dal festival il prossimo anno. Non solo. Si invitavano produttori e operatori dei vari festival nazionali e internazionali presenti a partecipare alla produzione delle opere votate indicando in quale modo avrebbero potuto aiutare gli artisti e lasciando i propri contatti. Così, quasi per gioco, si cerca di invitare alla produzione e al supporto dei giovani. Un bell’esperimento. Diverse le occasioni di scambio tra operatori e artisti, fondamentali queste pratiche per la conoscenza e lo sviluppo di nuove opere e collaborazioni. Ce ne dovrebbero essere di più in ogni festival.
Oltre ai giovani però anche compagnie più affermate che già si sono affacciate sulla scena internazionale. Su tutti la compagnia El conde de Torrefiel, presente in Italia quest’anno al festival di Terni, a cui dedicheremo recensioni apposite e riporteremo anche un’intervista con la regista Tanya Beyeler. In questa carrellata vogliamo segnalare su tutti due progetti molto interessanti: Compra’m! di Insectotròpics lavoro interamente prodotto in Catalunya da Festival TNT e Fira Terraga, le due realtà più importanti nella regione per lo sviluppo di realtà nuove e indipendenti. Lo spettacolo è un flusso di video, immagini dal vivo e musica live. Un complesso dispositivo audiovisuale che affronta il tema della felicità. Due anime femminili sulla scena, quasi un cigno nero e un cigno bianco, a navigare su un lago di immagini digitali attorniate da maschere e figure di scena un poco inquietanti. Una festa visuale, una sorta di rito sciamanico che evoca percorsi digitali dell’anima sempre a un passo dall’abisso dell’eccesso.
In fine Rios do Sono della compagnia portoghese Circolando. Uno spettacolo costruito con attori non professionisti. Una umanità in corsa, spaesata,senza progetto, compressa tra natura e cultura senza trovar precisa collocazione. Un viaggio della vita con performers di tutte le età che condividono delle pratiche d’azione in un contesto evocativo e sempre mutevole. Il finale è un inno alla vita, in cui questa tribù danza ed esce dal teatro traboccando dalla scena. Di fronte al mistero e alla tragedia della vita si risponde con gioia alla sfida, si danza, si balla, si condivide questo spazio di scena che è il mondo in quell’ora di spettacolo che ci è concessa dal nostro apparire e sparire.
Non solo spettacoli nei luoghi tradizionali al TNT anche performance di strada, che cercano nuovi spazi e nuovi contatti con il pubblico. La più attesa quella di Jordi Galì e Arrangement provisoire dal titolo Maibaum. Sei danzatori-performers costruiscono uno spazio fatto di corde in una piazza di Terrassa. Tre ore di lavoro certosino, silenzioso. Se non fosse per un certo ritmo, e certe coordinazioni l’agire sarebbe quasi indistinguibile dal lavoro normale degli operai. Un’organizzazione ferrea del lavoro, ingegneristicamente impeccabile di cui però sfugge un poco il senso. La gente comune passa frettolosa e scambia spesso la costruzione e il lavoro dei performers per lavoro abituale benché un poco strano. Chi si ferma a osservarne delle fasi si sente un poco come i vecchi che guardano il lavoro altrui non avendo altro da fare. Sembra un poco una fabbrica del vuoto nonostante le filosofiche argomentazioni che si trovano sul sito.
Il finale del processo, a struttura ultimata è un invito al pubblico a condividere lo spazio creato e a chiedere spiegazioni sull’azione svolta. Credo che poche volte sono stato così perplesso di fronte a un agire performativo. Di fatto si condivide uno spazio-tempo e un’esperienza che possiamo dire, senza tema di essere fraintesi, inutile. Non è un agire commerciale e utilitaristico. Si costruisce uno spazio come un mandala di sabbia, per viverlo qualche minuto e poi smontarlo nuovamente. Un intrecciar di fili e di percorsi che una volta creata la ragnatela vengono dissolti nel nulla. Interessante l’intenzione ma non posso negare la sensazione di trovarmi di fronte a un processo fine a se stesso autogiustificantesi. In generale l’esperienza catalana è stata interessante. Vedere come in un paese per certi versi molto simile al nostro (crisi economica, poca attenzione verso la creazione contemporanea e alla cultura in generale, corruzione e movimenti popolari a contrastare i partiti tradizionali), cerchi e sviluppi soluzioni diverse per la diffusione dei linguaggi contemporanei. Un invito il mio ad artisti e operatori italiani a scoprire questa realtà. Creare relazioni coproduttive con un paese vicino e affine mi sembra che possa essere una fonte di respiro per entrambe le realtà gravate da una crisi di sostegno e di attenzione.
Enrico Pastore
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