URGENZE
FUTURISTE Articolo di Enrico Pastore «Politica dannata politica no no no non potrai uccidere l’arte non devi uccidere l’arte»
- Filippo Tommaso Marinetti - «Il Futurismo non poteva nascere che in Italia, paese volto al passato nel modo più assoluto ed esclusivo e dove è d’attualità solo il passato» - Aldo Palazzeschi - |
«Che importa se le nostre orme vengono continuamente cancellate da coloro che ci seguono?»
- Filippo Tommaso Marinetti - |
Il 18 maggio 1910 a Palermo avviene un fatto di sangue. Lo studente Riccardo Li Donni riceve una pessima pagella. Disperato cerca di far cambiare idea al professore. Le sue proteste restano inascoltate. Così, senza un attimo di esitazione, davanti a i propri compagni, estrae una pistola, fredda il professore e si suicida con un colpo alla testa.
Il fatto di cronaca rimbalza su tutti i giornali dell’epoca suscitando vive reazioni, indignazione, moti di pietà. In mezzo al chiacchiericcio mondano e al vaniloquio dei vari opinionisti che già allora infestavano con il loro volgare commento la stampa nazionale, una voce si inserì violenta e cristallina: «Quando si finirà di castrare gli spiriti che devono creare l’avvenire? Quando si finirà di insegnare l’abbruttente adorazione del passato insuperabile ai ragazzi che si vogliono ridurre ad altrettanti piccoli cortigiani sgobboni? Affrettiamoci a rifare ogni cosa!». Queste parole incendiarie, che fremono di urgenza affinché ai giovani venga garantita la possibilità di esplicare il proprio talento in un paese già immobile, queste parole fecero esplodere un’ovvia polemica suscitando uno scandalizzato fuoco di reazioni indignate. Come si poteva difendere un gesto tanto efferato? Come si poteva difendere il gesto di uno studente tanto ribelle da giungere a uccidere? Chi poteva sfruttare in maniera tanto indegna una simile tragedia? Chi poteva osare tanto? Filippo Tommaso Marinetti, l’artista che più di tutti cercò di scuotere l’inerzia culturale di questo paese e con il suo genio cercò di illuminare e rinnovare un’Italia altrimenti votata a un deprimente provincialismo bottegaio. Marinetti, il nostro più grande genio artistico del Novecento insieme a Carmelo Bene, prende avvio dal tragico gesto di Li Donni, che viene usato come estremo limite, per denunciare un fenomeno che già un secolo fa ammorbava l’Italia: il sistematico soffocamento di ogni spirito giovane, innovativo, riformatore e rivoluzionario nell’arte come nella società. Pochi giorni fa in una nota trasmissione televisiva su La7, Vittorio Sgarbi si indignava, con la veemenza che gli è solita, contro gli orribili gazebo dell’Expo eretti davanti al Castello Sforzesco di Milano. Sgarbi si domandava con rabbia perché mai quei milioni di euro dilapidati in un’opera orribile e inutile, non fossero stati impiegati per promuovere il patrimonio artistico della città: i Mantegna, i Tiepolo, i Leonardo. Con tristezza ho constatato che quella giusta indignazione contro gli sprechi efferati di uno Stato allo sbando non fosse indirizzata verso una richiesta di finanziamento del lavoro di giovani artisti italiani, loro sì bisognosi di promozione non solo all’estero ma anche nel loro proprio paese nel quale sono costretti a mendicare le briciole che il denaro pubblico e bancario destina loro o a emigrare verso lidi più felici. Mantegna o Leonardo non hanno bisogno di alcuna promozione, egregio dott. Sgarbi, ce l’hanno bisogno gli artisti giovani e privi di mezzi che magari hanno idee feconde e illuminanti ma non hanno i mezzi per realizzare e promuovere le proprie opere. E magari l’Expo che già tanti soldi ha fagocitato in maniera più o meno lecita, potrebbe essere usato come veicolo di promozione per chi oggi, e non cinquecento anni fa, crea opere d’arte. Invece questo non viene in mente a nessuno. Tutti bravi a difendere Pompei o la Scala, mai nessuno che osa ergersi a difensore degli artisti italiani che provano con coraggio eroico a promuovere il proprio lavoro. Nessuno scommette sui giovani, non i teatri di sicuro, non le istituzioni. L’argomento giovani serve solo a partiti e populismi vari come argomento per racimolare il voto in più che crea potere, ma nessuno si sogna di agire. Oggi ci sarebbe ancora bisogno di un Marinetti che con l’audacia di un missionario dell’arte urlasse in televisione: «Noi ci proponiamo di combattere energicamente e di distruggere il culto del passato, ed obbediamo in ciò all’istintivo bisogno di difendere le forze vive che vogliono liberamente e interamente esplicarsi prima di estinguersi […] Si uccide un poeta giovane e forte, scaraventandogli addosso la mummia cartacea di un grande poeta morto da cinquecent’anni. Gli editori cestinano i manoscritti di un genio affamato, per prodigare il loro denaro nella ristampa di capolavori d’epoche lontane […] E perciò che noi, nell’arte, come nella politica e, insomma, in ogni manifestazione di vita, combattiamo brutalmente la religione del passato e il rispetto di tutto ciò che è antico […] Disprezziamo e combattiamo tutte le forme di obbedienza, di docilità, d’imitazione, i gesti sedentari e glorifichiamo invece i nomadi, i refrattari e le grandi belve libere». Quello di andare contro i capolavori del passato non è, ricordiamolo, un vezzo ignorante ma un bisogno di disancorarsi dal peso di un retaggio glorioso ma scomodo, che impedisce lo sforzo del presente di protendersi verso un futuro. Ma non solo. Rappresenta l’urgenza di svecchiamento di un paese che già più di cento anni fa era decrepito. John Cage si chiedeva amareggiato come fosse possibile che la gente ricercasse senza paura il nuovo modello di televisione o di frigorifero ma fosse sempre costantemente irritata e terrorizzata dalle nuove forme e manifestazioni artistiche. Questa tendenza al conservatorismo culturale è in Italia ancora più tenace che negli Stati Uniti d’America e fu costantemente avversata dal movimento futurista che, come afferma giustamente Luciano de Maria, fu: «il primo movimento di avanguardia provvisto di un’ideologia globale, artistica ed extra artistica, abbracciante i vari campi dell’esperienza umana, dalla letteratura alle arti figurative e alla musica, dal costume alla morale e alla politica ». Ideologia del nuovo attraverso una vera e propria mistica del fare e del divenire: «il divenire! … Ecco l’unica religione!... Quando rimpiangete qualcosa, avete già in voi il germe della morte!». Queste la parole del vampiro Ptiokarum nel Re Baldoria, dramma marinettiano pieno di feroce umorismo. Ptiokarum, vampiro evocato da Santa Putredine, è l’unico personaggio che resta indifferente al banchetto orgiastico e cannibale dei Citrulli animati da cieca fame e tesi solo al soddisfacimento dei desideri del proprio ventre. Nonostante sia passato un secolo il paese dei Citrulli continua a preoccuparsi solo del proprio ventre e si dimentica che la sua anima sta morendo, e i Citrulli restano pronti solo a farsi manovrare da nuovi cuochi della felicità universale che pieni di slogan populistici inneggiano a un benessere futuro dimenticandosi di creare le condizioni per programmare e preparare un tale futuro. In questo Paese dei Citrulli ogni sforzo teso a riformare e a sbloccare linfe nuove e vitali che rinnovino dalla base una nazione geriatrica e immobile, viene costantemente avversato, impedito, demolito con scientifica precisione. Un paese che si affida alla sola cultura del passato senza cercare di produrre nuovi valori culturali che rappresentino l’epoca del proprio presente, è un paese che non avrà futuro, e dove si affermerà solo il cieco ed egoistico utilitarismo. Marinetti vera anima e motore elettrico del Futurismo si dedicò invece, con una tenacia incrollabile ed eroica, a demolire i pregiudizi culturali di un paese dominato dall’incapacità di guardare avanti e programmare un futuro: «siamo imprenditori di demolizioni, ma per ricostruire. Sgombriamo le macerie per andare più avanti». E per fare ciò usa ogni mezzo possibile e quando mancano ne inventa di nuovi. Un esempio: Catania 6 ottobre 1913. Serata futurista al Teatro Bellini. Gli inviti saranno stampati su carta rossa ma... la tipografia non riesce a stampare. Come risolvere il problema. I futuristi inondano Catania di cartoline rosse e la sera del debutto un grande telo rosso copre la facciata del teatro. Pubblicità silenziosa ed efficacissima. Il primo caso. La serata fu un successo. Come al solito con risse e interventi della polizia. L’invenzione di mezzi nuovi supplì all’incidente e alla carenza di mezzi. L’invenzione inventò nuovi mezzi, padroneggiò il presente scoprì nuove strategie. L’innovazione ricercata sempre al fine di sottomettere il presente e lanciarlo verso il futuro. Divenire costantemente senza adagiarsi di fronte alle icone consolidate del passato: fosse pure Venezia ammirata dal mondo intero ma per Marinetti: “letto sfondato da carovane di amanti, semicupio ingemmato per cortigiane cosmopolite” oppure la Divina Commedia “verminaio di glossatori”. Esagerazioni certo, ma esagerazioni necessarie. Nel Buddismo Zen è famoso l’aforisma: «Se incontri il Buddha, uccidilo! Se incontri tuo padre, uccidilo!», che non è ovviamente uno sprone agli assassini, ma un invito estremo a superare tutto ciò che ci lega, che ci ancora all’abitudine e ci impedisce di cercare ciò che ci può salvare, fosse pure il Buddha. Così se Dante ci impedisce di progettare altri viaggi fantastici, bruciamo la Divina Commedia, se la Traviata o la Boheme impediscono a giovani compositori di accedere alla Scala o alla Fenice, ebbene chiudiamo questi teatri! Ecco perché ciò a cui Marinetti si dedicò con maggior fervore fu proprio la difesa degli spiriti giovani e viventi contro capolavori ammirati e ammirabili ma inerti, difesa non solo diretta verso i giovani di allora ma anche verso i giovani che verranno. Marinetti spera abbiano il coraggio di ucciderli una volta che verranno considerati maestri acclamati: «I più anziani tra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio per compiere l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili – Noi lo desideriamo!» Così nel primo manifesto del 20 febbraio 1909. Parole che intristiscono pensando che viviamo in un paese dove gli ottantenni restano ancorati a plurimi incarichi alla faccia di giovani pieni di volontà di riformare e cambiare questa nazione. Quello che intristisce ancor di più è che un genio tanto innovativo da essere acclamato vivente in molti paesi d’Europa sia stato accantonato e dimenticato perché stette dalla parte sbagliata della barricata. Marinetti e i futuristi non sono il fascismo, furono il tentativo eroico di cambiare la nazione, di portarla al livello più alto nell’arte, nella letteratura, nel teatro, nella musica e per raggiungere quell’altezza non ebbero paura di infrangere ogni regola, ogni pregiudizio e consuetudine. Il loro esempio dovrebbe spronare l’azione di ogni artista in questo paese a non abbassarsi, a non subire, a non piegarsi alle mode e alle abitudini di un paese culturalmente morente. Oggi bisognerebbe divenire nuovi Marinetti! Enrico Pastore
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