Lanciare uno spettacolo su un personaggio realmente esistito come Kurt Cobain, che ha fatto storia, che è diventato culto, icona, mito, è sempre un rischio. Tante possono essere le aspettative, mescolate a un pizzico di innocente egoismo, da parte dello spettatore, di voler vedere sulla scena una figura che ha amato, magari, fino all’ossessione. |
Ivano Capocciama, regista di 2013’s Kurt, prima del sipario avvisa: questo non è un omaggio a Kurt Cobain ma un lavoro sulla solitudine. La prospettiva cambia e di molto. L’attore, che ha il difficile compito di incarnare la star maledetta, è Federico Pellegrini, cantante, da poco attore, anche se a vederlo recitare non si direbbe.
Kurt racconta gli ultimi sessanta minuti della sua vita, in una stanza fuori dal tempo, cosparsa di fogli e lattine.
Deliri ipnotici e visioni psichedeliche vengono lanciate con rabbia e sofferta delicatezza. Kurt ama il suo dolore, il suo sentirsi perso, in una società d’inganni in cui l’amore si manifesta con un colpo di pistola alla tempia.
Kurt racconta gli ultimi sessanta minuti della sua vita, in una stanza fuori dal tempo, cosparsa di fogli e lattine.
Deliri ipnotici e visioni psichedeliche vengono lanciate con rabbia e sofferta delicatezza. Kurt ama il suo dolore, il suo sentirsi perso, in una società d’inganni in cui l’amore si manifesta con un colpo di pistola alla tempia.
L’ironia e il gioco, sottolineati anche da una scelta musicale stravagante e inaspettata, danno leggerezza, cambian- do le carte in tavola. Il tutto si regge su un equilibrio tra consapevolezza e follia. La ricerca del regista mira a un connubio tra santità e perdizione, senza cadere nei cliché, studiando pose plastiche che ricordano i corpi dei dipinti di Cara- vaggio, accentuate anche da un accura- to studio sulla luce di scena.
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La solitudine e il rito della droga diventano un atto sacro e irripetibile. I cambi di costume non hanno mero aspetto funzionale perché sembrano una vera e propria danza. Barcollanti, esitanti, oscillanti, in una azione del corpo naturale e mai forzata. L’innocenza scenica del neo attore, la cui sagoma nuda riluce come un San Sebastiano crocifisso, crea magia, senza scadere in una recitazione narcisistica e auto celebrativa che farebbe perdere l’interesse del personaggio stesso. 2013’s Kurt è un lavoro contro tendenza, in cui non ci sono ruffiani piagnistei politici, né ammiccamenti strategici per comprarsi il pubblico. È un lavoro di pancia, che nasce dalla semplice esigenza di raccontare una vita al margine, perché le storie, quelle che ti regalano la seconda pelle, non esistono più. Forse.
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Mariella Soldo
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Scrivono nella rivista o
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Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico
Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faron, Martina Tempestini, Fabio
Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Francesco Panizzo.
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