EP: Il vostro intervento a Electro Camp era previsto nel contesto del contenitore denominato Racconto Solido. Uno spazio dato in cui eravate invitati ad agire. In che modo avete cercato di abitare questo spazio e quali sono i temi che hanno ispirato il vostro agire in questo contesto?
IC: Abbiamo cercato di riflettere sulla situazione attuale, politica. Abbiamo deciso di improntare il lavoro sul territorio e sul confine astraendo la tematica dal punto di vista del movimento e dell’immagine. AF: C’è da dire che il lavoro prevedeva un intervento di improvvisazione. In relazione al cubo abbiamo lavorato con dei listelli, delle linee quindi in relazione geometrica con l’elemento principale. A livello di movimento abbiamo cercato un po’ di ironizzare la ricerca, l’utilizzo delle linee ma a un livello un po’ frivolo, kitsch. IC: la tematica è stata un po’ un punto di partenza. Il lavoro non è stata un’analisi o una riflessione profonda, è stato più un gioco, un’impressione su quello che, secondo noi, è un po’ l’umore attuale. Non volevamo relazionarci al cubo solo a livello di forma o di movimento puro. EP: Qual è la situazione attuale con cui avete cercato di mettervi in relazione? AF: Attualmente in Italia la questione di territorio, di appartenenza, di identità è vista sempre più in relazione alla repulsione più che all’accettazione. C’è un clima di paura rispetto a questi temi. Si insiste sulla paura, sul conflitto, si alimenta il terrore anziché assorbire, imparare a relazionarsi in maniera costruttiva. Si scegli sempre più di respingere piuttosto che lasciarsi contaminare. Quando nella performance tiriamo un filo rosso, si delimita in sezioni lo spazio, si riprende l’idea di sezionare il territorio, un luogo che abbiamo deciso di condividere con lo spettatore e facendo sì che fossero loro a tenere il filo, compiendo loro la scelta se tenerlo, e quindi ripartire lo spazio, oppure lasciarlo andare e scegliere uno spazio condiviso. In maniera molto semplice abbiamo parlato del rischio e quanto sei disposto a correrlo. Una semplice tensione visiva che attraversa lo spazio, una tensione tra ciò che accade e lo spettatore. IC: L’idea era anche quella di creare attraverso la performance una istallazione che rimanesse, una istallazione che era composta da questo filo rosso, dal cubo che in qualche modo è stato dissacrato dalla bandiera e dalle scritte a terra. In realtà non abbiamo pensato che lo spazio veniva reinterpretato in un secondo momento e quindi l’istallazione non è veramente rimasta se non nell’immediato. L’idea era comunque che attraverso la performance si costruisse qualcosa che rimanesse e che il pubblico potesse guardare e fruire al di là della nostra azione. AF: Inoltre nel finale era presente l’idea di catastrofe. Questa capannina fatta di niente che viene travolta, decostruita. Sono elementi embrionali, semplici immagini che si susseguono. EP: Questo è una base per un lavoro futuro o è stato un intervento estemporaneo? IC: in realtà no. Solo i temi coinvolgono un nostro progetto. In questo momento stiamo lavorando con tre nordafricani su una performance di 20 minuti. E vogliamo continuare a relazionarci con le realtà dell’immigrazione, dei senza tetto. Il tema dell’identità non va a toccare solo gli immigrati che arrivano, il tema dell’identità va a toccare chiunque sia diverso da te, è qualcosa che coinvolge tutti. AF: E questo lo stiamo facendo cercando di riflettere su quali elementi contaminano il tuo spazio e come questi possano diventare un valore, un elemento che possa farti accrescere come persona. Noi non crediamo molto alle radici, al fatto di appartenere a un territorio, siamo un po’ tutti dei nomadi. Siamo convinti che sia solo tutto da guadagnarci dalle sostanze ibride. EP: Secondo voi qual è la funzione della Live Art oggi? O nel caso, se ci sia bisogno di rifondarne una... AF: L’ignoranza produce danno. So che in qualche modo è molto banale. È dare forza alla ricerca, al questionare dei pensieri, delle situazioni, delle pratiche che non si fossilizzino e incancreniscono un gruppo sociale. Le Live Arts sono un sistema ibrido che ti permette di rivedere in continuazione il tuo percorso: cos’è la performance? Cosa vuol dire fare una performance? Cos’è il suono? Che relazione può esserci tra le diverse cose? E tutto questo senza lasciare che le cose abbiamo uno status di modello al quale tu devi riferirti ma cercando sempre di riformulare il tuo pensiero. Enrico Pastore
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