Di solito non frequento mai gli stabili. È difficile che in quei luoghi si scorga il nuovo o, perlomeno, qualcosa che vi assomigli. Questa volta ho fatto un’eccezione. Non andavo alla ricerca del contemporaneo. Volevo vedere e ascoltare ancora una volta Giovanna Marini dal vivo che insieme a Umberto Orsini, interpretava La ballata del carcere di Reading di Oscar Wilde al teatro India di Roma, lo scorso 17 aprile.
La Ballata del carcere di Reading è opera struggente, commovente. I versi di Wilde ti catturano, ti inchiodano con il loro saper evocare con ritmo e immagini l’immane dolore che impregna il mondo carcerario. La ballata è un abile intreccio tra la storia di Charles Thomas Wooldridge, soldato della guardia, giubba rossa assassino della moglie, condannato a morte per impiccagione, e le sofferenze dei carcerati tra cui lo stesso Wilde. Tra il poeta, in galera perché condannato per comportamento contrario alla morale pubblica, e il soldato assassino si crea un filo sottile di compassione, nato proprio dal patire insieme il “giorno coperto di vergogna”, come “due navi in tempesta”. l’ E così che il patire di Wooldridge diventa quello di tutti i condannati, che non vedendolo, comprendono che per lui è arrivato l’ultimo giorno, e attendono con lui, vegliano con lui, in silenzio, pregando, sperando per la pace dell’anima sua. Solo chi patisce, comprende. Solo chi ha vissuto l’orrore del carcere può comprendere e andare al di là del giudizio cogliendo: “che ogni Legge/ creata dall’uomo per l’Uomo, dal tempo/ che il primo Uomo assassinò suo fratello/ ed ebbe inizio la pazzia del mondo,/ rende paglia il frumento e tiene in vita/gli sterpi: allora si ingigantisce il male”. La giustizia non elimina il male. Si limita a punirlo. E il castigo fomenta la rabbia, quella dei giusti e quella dei puniti. Si crea un circolo di vendetta. Solo il perdono lava i peccati. Ma in questa ballata non vi è solo il carcere, vi è anche l’emersione di una potente e alquanto triste intuizione: “ogni uomo uccide ciò che ama”. Non solo Wooldridge. Ogni uomo. L’eredità di Caino che grava sulle nostre spalle. Ma non è solo l’assassinio, è il fenomeno costante di allontanarsi da ciò che ci renderebbe felici, soffocando in noi e negli altri la fiamma ardente che illumina la parte migliore di noi. I carcerati non sono più colpevoli degli uomini liberi e onesti. Wooldridge è in ognuno di noi, giace sepolto nell’ombra della nostra anima e ci ricorda che siamo tutti fratelli nel peccato e nella vergogna. E non c’è bisogno di uccidere la propria amata per esser simili alla giubba rossa, Anche un sorriso nasconde una lama, persino un bacio che dovrebbe saper d’amore. E così che la vicenda del carcere, diventa la vicenda di noi tutti, condannati tra queste quattro mura stupefatte di spazio, a convivere, peccatori e mai giusti, nel giorno coperto di vergogna. Questa è la ballata, che viene cantata da Giovanna Marini, con la sua energia capace sempre di cogliere la voce dei sentimenti degli oppressi e degli umili. E per farlo non esita a comporre le musiche che accompagnano i versi magnifici di Wilde, seguendo la stessa strada del poeta che, all’inglese più raffinato, mescola termini del gergo delle carceri. E così la Marini passa da toni classici elevati a un pop che ricorda le ballate di Dylan e di Tim Buckley. A lei si accompagna Umberto Orsini che legge la ballata in italiano, facendo da controcanto alla Marini che usa l’inglese originario. Orsini e la Marini danno vita dunque a un reading commovente, fatto di parole e musica, un momento di alta poesia eseguito da due grandi interpreti. Più che a uno spettacolo si è assistito a uno stupendo concerto di voci altissime. Un duetto di voce e canto che materializza la poesia di Wilde, facendo scaturire suoni ed immagini che evocavano il tremendo carcere e la vicenda tristissima del soldato assassino. Un canto e un dire che a volte diventa preghiera, a volte trasmuta in grido di rabbia e dolore, più spesso si fa pensiero sulla vita e sulla morte. Per quanto questo sia uno spettacolo che rappresenta un teatro che non è più, gli interpreti che gli hanno dato vita sono riusciti a essere sguardo che crea mondo, sono riusciti a far vivere i versi, a farli diventar parola concreta e pensante, allargando le nostre visioni, permettendoci di con-patire insieme a Wilde e Wooldridge la tragedia infinita della vita. Enrico Pastore
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