Come si fa a fare uno spettacolo sull’intero Vecchio Testamento? Uno, a dirla così, si immagina qualcosa di potentemente corposo, pesante come tutti i libri che lo compongono, un qualcosa di estremamente serioso, oppure violentemente dissacrante. Ci si aspetterebbe di tutto tranne quello che si vede incontrando l’opera di questo variegato collettivo austriaco.
I rabbini dediti alla Temurah, la pratica mistica che ricombina le parole della Bibbia al fine di scoprirne e sondarne il significato mistico nascosto, rimarrebbero sorpresi, e forse ammirati, per l’ironia sottile con cui The Loose Collective, ricombina versetti e frasi dell’antico testamento. A volte gli effetti comici sono potenti, a volte le combinazioni sono evocative e commoventi. E le parole acquistano senso e potenza anche e soprattutto per il divenir canto e musica. Quasi un’opera rock, decisamente sperimentale per il modo di trattare il materiale d’origine. I linguaggi in questo lavoro indiscutibilmente atipico si mescolano e si incontrano: danza, musica, teatro, poesia. Un formato leggero che nasconde una profonda ricerca, una composizione attenta che sarebbe probabilmente piaciuta a Filippo Tommaso Marinetti, così affascinato dalle sorprese del teatro di varietà, anche se in questo caso non si tratta di un genere ma di una pratica: un sapiente uso di toni e ritmi diversi che si combinano con le frasi estrapolate dal sacro libro facendone esplodere i significati in un caleidoscopio totalmente inaspettato. Unico difetto evidente il finale. Una semplicistica animazione da villaggio turistico con tanto di macchina del fumo e invito al pubblico ad applaudire e cantare la canzone finale. Forse era inteso come gesto dirompente, un po’ come i comici tibetani che irrompono nella sacralità del rito, ricordando che nulla è sacro e intoccabile. Quale che fosse l’intenzione questo finale rovina l’insieme in maniera un po’ troppo grossolana. Forse in un’operazione così intrigante il difficile era proprio trovare un finale, visto che non c’è narrazione, solo ludico gioco combinatorio, che potrebbe continuare all’infinito. Il materiale è estrapolato dal contesto, le parole utilizzate con estrema libertà a formare nuovi concetti, anche se rigorosamente a ogni utilizzo ne vengono indicati, nei sottotitoli, i riferimenti a libro e versetto. Un ulteriore effetto ironico, benché forse un po’ insistito. Gli stili musicali passano dal lirico, all’elettronica da discoteca, al punk rock, al blues. La coreografia è forse un aspetto un po’ in minore, rispetto a un lavoro potentemente sinfonico, che coniuga anime dissimili e artisti con stili e provenienze altrettanto diverse. Un lavoro nel complesso di eccezionale interesse, sicuramente da esperire, benché dopo l’impatto emotivo del momento, uno si chieda in fondo quale fosse la funzione di un esperimento di tale natura, quale il fine di questa ricerca, a cosa possa condurre. Forse a volte bisognerebbe soprassedere. Forse bisognerebbe solo godersi lo spettacolo. Enrico Pastore
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