“I chicchi si aggiungono ai chicchi e all’improvviso c’è un mucchio... un piccolo mucchio... l’impossibile mucchio” Queste le parole di Clov all’inizio di Finale di Partita di Beckett, parole che potrebbero ben descrivere cosa accade nella performance di Ramona Nagabzcynska.
Nel lavoro di questa giovane ma già affermata coreografa polacca, non vi sono grandi misteri. L’operazione è semplice, eppure ampio è il grado di complessità che riesce a produrre. L’intento è un confronto. Il mettersi in relazione a distanza con un’icona della danza come Trisha Brown. Una relazione semplice, da allievo a maestro che si confrontano nel tempo su un lavoro comune: Accumulation, un’opera che a suo modo ha fatto storia. Tale confronto avviene su un piano umile, non altisonante o arrogante, semplicemente ri-fare il lavoro di Trisha: farlo nuovamente adesso, scegliere di camminare sulla sua pista e decidere dove discostarsi. Un po’ come i giovani apprendisti pittori che imparavano le tecniche riproducendo il lavoro del maestro, spesso migliorandolo. Variazioni. Permutazioni. Così il lavoro di Ramona non diventa copia sterile, né clone anonimo, ma diventa opera essa stessa e la linfa vitale che anima la sua versione di Accumulation si palesa nelle differenze. Le prime esibizioni di Accumulation erano frontali al pubblico, con Trisha che danzava in silenzio. L’accumulo di materiale in movimento era solo, bastevole a se stesso. Poi Trisha cominciò a parlare, a riflettere sul suo lavoro, ponendosi domande, raccontando del suo lavoro, riflettendo sull’opera mentre essa veniva eseguita. Il remix di Ramona si distingue già all’inizio. Ramona si pone parallela al pubblico, lasciando che la sua danza si sviluppi lungo la linea che taglia il palco da destra a sinistra. Sceglie, come Trisha nella prima versione, di non parlare durante la danza. La luce accompagna e apre gli spazi che il nuovo materiale nato dall’accumulo produce. La musica, stupenda, riproduce nel suo farsi le strategie di accumulo messe in atto nel movimento e nella conquista dello spazio. Quando la serie è giunta al suo apice, un video appare e inizia a moltiplicare la danza di Ramona riproducendone contemporaneamente le riprese delle varie fasi di accumulo. La catena di materiale portato aventi da Ramona sulla scena, viene ulteriormente moltiplicato, diventa balletto di multipli, corpi sdoppiati che danzano la serie nella serie, sconfinando, arrembanti come predoni all’assalto. Seppur racchiuso nella bidimensionalità dello schermo quel corpo plurimo reclama realtà, si confronta con il gemello vivo e tridimensionale sulla scena, gli conferisce il terreno per potersi elevare, la luce per poter risaltare. Un lavoro interessante, di stimolo per le nuove generazioni a volte troppo acerbe per lanciarsi nella creazione di un proprio stile, che potrebbero usare questa tecnica di ricostruzione per provarsi sui lavori dei maestri. Scoprire rifacendo, cogliere il segreto di una tecnica provandola sulla propria pelle. Certo una tale operazione deve essere messa in atto cum grano salis, senza abusarne. Solo nel caso dei maestri ammirati da lontano, non conosciuti dal vivo. Eppure il mio istinto mi dice che una tantum questa esperienza che Ramona ha portato in scena possa essere molto utile, anche solo per far fruire lavori del passato, anche se non passato remoto, che non si possono più vedere se non su filmati di repertorio. Sarebbe un modo intelligente per riportare alla luce delle nuove generazioni lavori importanti. Ma il merito di Ramona Nagabzcynska non è solo in questo confronto a distanza, né nell’aver riportato alla luce un’opera storica seppur rivisitata. Il valore sta nell’aver creato sulla base di Accumulation di Trisha Brown un lavoro autonomo. Accumulacja è in tutto e per tutto un lavoro autonomo, valido di per sé, eseguito con grande energia. L’accumulo in Ramona è totale, non si limita al movimento, trascina ogni cosa con se, lo spazio, la luce, la musica, il suo corpo diventa magnete che spinge tutti gli elementi a partecipare alla crescita magmatica del materiale. L’esperienza diventa totale, fortemente immersiva, ipnotica per il pubblico che attonito osserva il medesimo che si ripresenta sempre diverso, sempre più ingombrante. Il lavoro di Ramona è una valanga che trascina con sé ciò che incontra, una danza che come quella di Siva crea e distrugge i mondi. Intervista a Ramona Nagabzcynska EP: Parliamo di Accumulation... Perché hai sentito l’esigenza di rifare il lavoro di Thisha Brown oggi? RN: In un certo senso era una scelta ovvia. È un lavoro seminale per la storia della danza anche se non è un lavoro che mi ispira particolarmente nella mia ricerca. Volevo usare Accumulation come uno strumento per vedere cos’altro si poteva fare con Accumulation, vedere se era possibile scoprire altri significati, magari anche teatrali, perché le scelte di Trisha furono molto essenziali, pure: movimento e basta. Volevo vedere cosa sarebbe successo se il lavoro fosse stato arricchito. Questa è la ragione principale della mia scelta ma ci sono anche altre motivazioni. Da una parte volevo confrontarmi con il video, vedere come potesse relazionarsi con il corpo danzante, cosa poteva aggiungere alla danza. Dall’altra parte mi interessava confrontarmi con un lavoro condotto da un danzatore individuale, anche nelle sue facilitazioni, nel senso del proprio corpo, delle sue capacità. Mi è piaciuto molto lavorare con questa coreografia che conduce il danzatore a un limite estremo, al limite delle energie, prima di tutto, anche in termine di frustrazione dovendo ripetere il materiale dall’inizio infinite volte. E questo accade attraverso piccole e basilari limitazioni. È un confronto con la danza, la tecnica, il corpo. EP: Cos’è la danza per te? RN: Pensa che la danza sia un modo per riflettere sul tempo e lo spazio, in una forma estratta da una situazione normale, in modo che si possa diventarne più consapevoli, soprattutto nel nostro proprio corpo, in modo più astratto, non connesso con una situazione funzionale. EP: Mi puoi raccontare cos’è il progetto Center in Motion a cui tu partecipi? Quali sono i vostri obbiettivi? RN: Gli obbiettivi sono costantemente rinegoziati. Non c’è un leader nel gruppo. È un’iniziativa condivisa da un cluster di artisti. L’obbiettivo comune all’inizio era semplicemente avere uno spazio dove poter lavorare. In seguito gli obbiettivi si sono rimodellati in base a quello che con il tempo diventavamo capaci di realizzare. Adesso ci stiamo evolvendo, soprattutto inserendo nuovi partecipanti nella condivisione di questo spazio comune. EP: Mi puoi parlare di un altro tuo lavoro, New (dis)order, di cui ho visto il video è l’ho trovato molto interessante. RN: New (dis)order è una coreografia estremamente organica. La creazione della coreografia è avvenuta in maniera organica, non come Accumulatja in cui io ho deciso la strada da seguire. New (dis)order era all’inizio un lavoro impostato sugli stati prodotti dalla rock music. La creazione è avvenuta ascoltando e facendo esperienza insieme ai danzatori della rock music e di ciò che significa per la cultura contemporanea. È stata un’esperienza di fascinazione, in cui si è voluto sperimentare un forma di danza che sorgesse dalla danza spontanea, non professionale. E di conseguenza se si potesse desumere una tecnica di danza. È stato molto coinvolgente il lavoro con i danzatori, un lavoro sorto da un cumulo di ore e ore di improvvisazione su certi temi. Quello che ne è derivato è una sorta di esplosione generata da queste informazioni di base. EP: L’ultima domanda che ti pongo nasce da un mia curiosità che mi sorge spontanea ogni volta che incontro artisti che vengono da altri paesi europei. Oggi in Italia c’è una grossa crisi culturale, possiamo tranquillamente dire che sia in un periodo di flessione dovuta sì alla crisi economica ma anche a una carenza della politica e delle politiche culturale. Com’è la situazione in Polonia? ’è la volontà politica di sostenere le nuove tendenze artistiche? Ci sono le condizioni in Polonia per fare ricerca sia nella danza che nel teatro? RN: Sì, in questo senso direi di sì. C’è una nuova generazione che è tornata in Polonia dopo aver studiato danza altrove, all’estero. Penso inoltre che la Polonia sia una sorta di foglio bianco, c’è spazio per la creazione di una nuova generazione. Per esempio io ho studiato e lavorato per qualche tempo in Inghilterra dove gli spazi per i nuovi coreografi sono molto limitati. Non solo per la ricerca fondi ma perché in qualche modo gli spazi sono più rigidi, prestabiliti. È più difficile far nascere il nuovo. Penso in generale che nei paesi dell’Europa Occidentale sia più difficile farsi sentire. Enrico Pastore
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