Quella di Chétouane è una danza in cui protagonista è l’ambiguità insita in ogni prossimità. Quanto poco ci vuole perché l’amicizia si trasformi nel suo contrario? Quanto sottile il confine tra amore e odio? Se si spezza il legame che tiene insieme un atomo, l’energia che si libera può essere devastante. M!M con delicatezza e grazia lascia intravedere il sorgere di tutte queste tensioni inerenti all’amicizia, non solo a livello di sentimenti, anche a livello pratico. Come condividere un spazio insieme? L’occupare uno spazio è gesto carico di tensioni. Un gesto semplice che porta con sé gravi implicazioni. Ogni volta che si muove un passo nello spazio che condividiamo con gli altri, corriamo un rischio: guerra e pace sono sempre dietro l’angolo.
Nato come una commissione all’interno delle celebrazioni dell’amicizia franco-tedesca, M!M riesce ad andare al di là dell’occasione istituzionale, insinuando, quasi con tenerezza, le gravi ombre che si nascondono dietro a un termine, amicizia, usato ed abusato. Le dinamiche tra i due bravissimi danzatori sono estremamente sottili nel camminare sul bordo, sulla linea del confine in cui ciò che è chiamato amico, può, da un momento all’altro tramutarsi nel suo contrario. Un camminare su un filo sottile, per la pericolosità, più una lama di un rasoio, dove un gesto un po’ più carico, un superare, anche di poco la soglia, produrrebbe un lavoro di cattivo gusto, esagerato, retorico. Invece Chétouane, con garbo e grazia, fa danzare letteralmente le tensioni, facendole apparire lievemente dietro il velo, quel tanto da percepirle e restarne turbati, senza calcare la mano e rendere il tutto evidente e scontato. Come negli affreschi del Tiepolo, campione dell’opera d’arte su commissione, l’essere tutto abbagliante di luce, l’essere tutto gloriosamente abbracciato da una luce meridiana e onnipresente non impediva di palesare l’ombra, l’inquieto agitarsi delle cose, così Chétouane diffonde su un paesaggio, quasi sereno, leggere increspature che fanno intravedere come sotto la superficie s’annidino i mostri. Una danza a tratti ariosa e maestosa, a volte delicata, lievemente sentimentale, che dimostra, quando mai ce ne fosse il bisogno, che il gesto leggero, usato con maestria, è più potente dell’urlo e del grido. Come dicevano gli antichi taoisti, l’acqua è il più morbido degli elementi, ma frantuma la roccia più dura e resistente. Intervista a Laurent Chétouane EP: Che tipo di spettacolo è M!M? Qual’è lo stimolo che l’ha fatto nascere? LC: M!M è un pezzo sull’amicizia, sulla relazione amicale tra Mikael e Matthieu (Matthieu Burner e Mikael Marklund, i due interpreti di M!M ndr.) non a livello privato ma in quanto uomini. E questo nasce in parallelo alla commissione che mi è stata proposta di creare un lavoro sulla relazione franco-tedesca nell’occasione del cinquantesimo anniversario della riconciliazione tra questi due paesi. M!M quindi nasce dalla coincidenza di un lavoro di commissione con un percorso di ricerca che volevo affrontare con i miei due danzatori. Amicizia tra due uomini, amicizia a un livello più politico, dunque un pezzo su amici, nemici, che cosa è prossimo? Che cos’è un amico? Il nemico è un amico con cui si è sbagliato qualcosa? Riflessioni che che fa Derrida nel suo libro Politiche dell’amicizia, opera che mi ha fortemente ispirato nella creazione di M!M. Amico è un termine molto chiaro ma che allo stesso tempo è molto fragile. EP: Ho visto una tua intervista rilasciata durante l’ultima Biennale Danza a Venezia durante la quale tu dici una frase che mi ha molto colpito: la tragedia di essere umani si esplica nella guerra continua alla gravità. È questa, forse, la natura della danza? LC: Ma diciamo che la danza mi permette di confrontarmi con la gravità, una cosa essenziale contro cui ci si batte tutto il tempo senza saperlo. Si è sempre a un passo ma qualcosa vi impedisce di cadere, e poi, voilà, si cade. I vostri muscoli vi sostengono perché hanno imparato da soli le leggi e così, senza saperlo, siamo immersi in un conflitto costante con la gravità. Per me dunque la danza è un modo di relazionarmi con la gravità. D’altra parte è una cosa che è già stata fatta da sempre, la danza classica ha, in qualche modo, dominato la gravità, una danza più postmoderna come quella di Thisha Brown si diletta con la gravità, William Forsythe da parte sua dirà che è tutta questione di cadute, che danzare è, in effetti, un gioco con la gravità. É un modo di considerare la caduta nella sua totalità. Nel senso che non bisogna considerare la caduta come una decisione del corpo, della parte del corpo che controlla ancora ma sentirla a livello della verticale, quando siete giusto all’inizio: la caduta. Dunque ci sono sempre due direzioni nel corpo che danza. Ed è interessante questo non solo a livello estetico ma anche politico, nel pensare il movimento come un riparare alla caduta, come dire che il movimento è una reazione alla caduta. EP: Questo tuo lavoro può essere considerato un lavoro politico? Oppure tutta l’azione artistica in fondo può considerarsi come un’azione anche politica? LC: Io credo che l’arte e la politica siano due cose che si incontrano ma che sono, in effetti, separate. Credo, come Jean-Luc Nancy, che la politica sia l’arte che crea gli spazi dove l’arte può arrivare, e l’arte, ovviamente, deve interrogare la politica. L’arte deve disturbare e scombussolare la politica, il che non vuol dire assolutamente che l’arte fa della politica. Enrico Pastore
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