Non me lo spiegavo,
il mondo Di Francesca Cola Con Francesca Cola e Giulia Ceolin Articolo di Enrico Pastore “Morte e duplicazione procedono insieme. L’una non appare senza l’altra. La scienza del riflesso e della scissione, lo sprigionarsi dei doppi, la sostituzione sistematica, gli sguardi simultanei, verso di sé e verso l’esterno: sono opere della duplicazione. |
Soltanto colui che le aiuta a compiersi può accedere alla conoscenza. Ma la duplicazione è accompagnata da Morte. E soltanto la conoscenza può sconfiggere Morte. Questo è il cerchio”. Così il Satapatha Brahmana. Un passo che è già critica e racconto di questa piccola performance di Francesca Cola, un’artista con una rarissima qualità: quella di creare immagini entro cui sprofondarsi, immagini antiche che hanno la potenza di aprire finestre su interi mondi dell’anima. E questa piéce, parte di un lavoro più vasto che abbiamo recensito durante il Performa Festival, è una dimostrazione vivente di inesauribile vitalità. L’estratto, estrapolato dal suo contesto originario, assume valenze impreviste, si apre a soluzioni inaspettate.
Due donne con lunghe gonne verdi, il busto nudo e il volto coperto da una maschera, un teschio cornuto: quasi delle donne cervo. La maschera obliqua sulla fronte, come nel teatro tibetano. I loro movimenti doppi e simultanei, in perfetta coordinazione, inquietanti nella loro sincronicità. Immagine e specchio di cui non si può comprendere chi è immagine e chi è specchio. Donne-animale dalle foreste siberiane, creature ibride che guidano in un altrove di cui non si percepisce la vera essenza, forse perché è un ritorno a una natura che ormai ci è estranea. E qui la frase di Adorno che viene citata sul programma di sala: “Ciò che appare ingenuo e naturale ci rende coscienti delle nostre mutilazioni”. Ma qui non c’è niente di ingenuo. Questi doppi danzanti rimandano a immagini di morte, di pericolo. Come le ninfe delle sorgenti che potevano rapire gli ingenui che ignari attingevano le loro acque. Rapiti dalle ninfe sorgenti dall’acqua come Hylas, l’amico di Eracle. Queste immagini danzanti rinviano a un mondo arcano, tremendamente antico in cui la natura era percorsa da fremiti panici, abitata da dei che amavano toccare la vita degli uomini infondendo una conoscenza che sconvolgeva. I sintomi dei Ninfoleptoi, dei rapiti dalle ninfe: lunaticità, stati maniacali, malinconie, conoscenze proibite. Questo il pericolo di avvicinarsi troppo alla natura nascosta delle cose. Una danza di doppi che getta luce su un abisso di immagini senza fondo, verso l’India vedica dove l’albero della vita è intrecciato a quello della conoscenza, e sono così tenacemente avvinti da essere indistinguibili. Sui loro rami sono appollaiati due uccelli identici. Uno mangia una bacca rossa, l’altro lo osserva attentamente. Enrico Pastore
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