Brevi
considerazioni sull’ultimo Torino Film Festival e un ricordo di Giulio Questi Articolo di Enrico Pastore
Tra i film in concorso al TFF ha vinto Mange tes morts di Jean Charles Hui. Una storia criminale in una comunità gitana. Una storia familiare, violenta, dove un ragazzo di 18 anni, Jason, alla vigilia del proprio battesimo, si confronta con i due fratelli: Fred che torna dopo quindici anni di galera e Micheal, piccolo delinquente, pronto ad accendersi come un fiammifero senza considerare mai le conse-guenze delle sue azioni.
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Il tentativo di rubare un camion di rame, proprio su suggerimento del giovane Jason, diventa una sorta di viaggio iniziatico, pieno di crimini, forse un assassinio, una fuga rocambolesca dalla polizia che finisce all’alba di un nuovo giorno e al termine del quale ognuno scopre se stesso. Jason laverà le sue colpe con il battesimo, Fred scomparirà con la sua macchina lanciata a più di 200 Km/h. Un finale debole, dove in fondo nessuno fa veramente i conti con le proprie colpe e la propria vita.
Eppure in concorso si era visto anche qualcosa di veramente interessante che avrebbe meritato miglior sorte. Babadook di Jennifer Kent è un esempio e gli dedicheremo una recensione a parte.
Altro film da segnalare, tra quelli in concorso, What we do in the shadow di Jemaine Clement e Taika Waititi, che vince il premio alla migliore sceneggiatura. Un po’ poco per questa commedia/horror geniale e divertente. Una sorta di documentario il cui oggetto è una casa di Wellington in Nuova Zelanda in cui convivono 4 vampiri. Già non è facile convivere tra umani ma tra vampiri i problemi e le occasioni di conflitto aumentano. Per esempio sulle pulizie perché portando le vittime a casa e mordendole sul collo si rischia di macchiare il divano... E non è facile neanche uscire la sera al giorno d’oggi. Non è facile farsi invitare ad entrare, tocca pagare l’entrata. Molto divertenti le citazioni ai vari film di vampiri che hanno segnato la storia del cinema (Il vampiro Petyr è chiaramente quello di Murnau, il vampiro Dandy Viago scimmiotta quello di Brad Pitt, Vladislav invece si confronta con il Dracula medievale). Molto riuscite anche la risoluzione della consueta rivalità tra mannari e vampiri, che si confrontano come gang giovanili. La commedia è divertente, piena di sorprese. Un film che gioca con i linguaggi dei generi, sempre sul confine tra i generi (è in forma di documentario, gioca con le consuetudini dell’Horror vampiresco, è tremendamente comico). Sempre in concorso mi hanno colpito due opere che in maniera diversa si confrontano con la tradizione cinematografica del passato. Il primo è Gentlemen di Mikael Marcimain, una spy story noir ambientata nella Svezia dei primi anni ‘70, con le contestazioni giovali e il potere che nell’ombra manovrava e se ne infischiava preparando un supino presente. Bianco e nero nei flash back del passato in fumosi locali jazz, la classica femme fatale e l’uomo nell’ombra che senza una parola dirige l’azione. La sensazione costante di camminare in luoghi ambigui, malfamati, frequentati dai reietti, da quelli che non ci stanno e non si accodano ma sono dei perdenti. Gli ingredienti tipici del noir conditi con un po’ di spy story di cui rimane il dubbio sia solo opera di fantasia. Ottima la colonna sonora e l’ambientazione anche se il film ogni tanto si perde nella propria storia. Una menzione anche per The Duke of Burgundy di Peter Strickland in cui Sidse Babette Knudsen, nel ruolo di Cynthia vince il premio come miglior attrice. Strickland gioca con gli stilemi dei film erotici anni ‘70, quelli di Jess Franco e quelli italiani del periodo. Un genere considerato basso che Strickland cerca di nobilitare non senza un certo humor inglese. Un film di sole donne, in cui le protagoniste sono avvinte in un rapporto sado-masochista, in cui riesce quasi difficile capire chi è la serva e chi la padrona. A volte la storia diventa un po’ un manuale di psicopatologia, una sorta di definizione del rapporto dominante/dominato, rendendo un po’ arido il film. L’ambientazione e la colonna sonora rimandano ai film del periodo d’oro del genere. Un vero e proprio omaggio, interessante seppur non pienamente convincente. Una piccola considerazione a parte per N-capace film italiano in concorso di Eleonora Danco segnalato con una menzione speciale della giuria. Anima in Pena, questo è il nome della protagonista, viaggia con un letto da Terracina a Roma interrogando vecchi e giovani su questioni come il sesso, la morte, la cultura. Ne risulta un quadro divertente e a volte sconcertante. La sincerità con la quale gli intervistati rispondono è disarmante. A volte commovente. Eppure per tutta la durata del film non mi abbandona un sospetto. Che questo sia un film furbo fatto per divertire il pubblico senza veramente indagare a fondo su cosa animi la società italiana di oggi. Mi sarebbe piaciuto vedere e sentire anche il ragazzo “secchione” o un laureato non solo quelli che la scuola la abbandonano o non leggono un libro da due anni perché i libri fanno girare la testa. Tra gli anziani la persona colta e abbiente non solo gente semplice, con poca istruzione, che hanno vissuto in campagna tutta la vita e a mala pena parla un italiano corretto. Insomma con le domande giuste poste ai giusti individui qualcosa di divertente alla fine ne esce. E soprattutto si ha l’impressione che si voglia mettere in evidenza solo certa società, da italiani brava gente, quella gente romana che fa simpatia perché anche se dice una cazzata la dice in maniera divertente. Sembra che il film si confronti con un progetto di Pasolini Comizi d’amore, dove però il grande poeta friulano non si limitava a certe categorie di persone, quelle da cui è più facile tirar fuori la battuta, ma indagava la società italiana da nord a sud, tra le classi colte e intellettuali così come tra operai e contadini. Se dunque dal progetto Pasoliniano nasce uno spaccato della società italiana che si confronta con i suoi pregiudizi sessuali, con l’ignoranza che vela le opinioni sull’argomento, ignoranza che grava su tutti gli strati sociali intervistati anche su quelli che fintamente si dicono liberali e progressisti, nel film della Danco si vede solo quello che la telecamera vuol far vedere, montando solo le battute che fanno più effetto, che fanno ridere. Un film ruffiano che ovviamente raggiunge il risultato di portarsi a casa un premietto. Se queste solo le giovani promesse del cinema italiano.... Proprio a côte delle parole spese sull’operazione filmica della Danco, vorrei ricordare lo scomparso Giulio Questi che proprio al Torino Film Festival è apparso l’ultima volta. Gli è stata dedicata una piccola retrospettiva con i suoi capolavori: Se sei vivo spara (1967), La morte ha fatto l’uovo (1968) e Arcana (1972), il cortometraggio Il passo apparso nel film a episodi Amori pericolosi del 1964 e alcuni dei suoi cortometraggi girati in casa propria negli ultimi anni. Giulio Questi rappresenta ciò che oggi manca: un talento inventivo senza compromessi, pronto ad affrontare le sfide del genere a modo suo, reinventando i linguaggi. Al Torino Film Festival in più occasioni ha ripetuto: “I film muoiono, i generi restano!” come a dire che sono proprio i canoni dei generi a inserire linfa vitale ai film che creature singole nate in un ecosistema, variano e reinventano il paesaggio che permane sempre diverso dopo il loro passaggio. Il suo era un cinema d’artista che non aveva paura di confrontarsi proprio con i generi ritenuti minori: così l’horror sociologico Arcana in cui gli stilemi del genere si confrontano con le calde materie del confronto operaio e dell’integrazione della cultura meridionale contadine nel nord industriale, condito con un tocco magico-antropologico alla Ernesto De Martino. O come la Morte ha fatto l’uovo, un giallo che sembra un racconto di Ballard in cui il triangolo pericoloso lui/lei/l’altra si inserisce in una feroce, ironica e graffiante critica al capitalismo. La musica di Bruno Maderna, l’ardita sperimentazione visiva e la recitazione di alto livello di Trentignan e della Lollobrigida lo fanno un piccolo capolavoro del cinema italiano. Così come Se sei vivo spara, con un grande Tomas Milliam. Un wester visionario molto ammirato da Tarantino e che anticipa, per certe invenzioni visive, El topo di Jodorowsky. Ecco perchè lo scomparso Giulio Questi che, a novant’anni suonati, stupiva e incantava il pubblico del TFF dovrebbe essere esempio per i cineasti della nuova generazione: proprio per la sua infaticabile e ricchissima vena inventiva, per la sua voglia mai doma di sperimentare e di andare dove tutti ti dicono di non andare, e soprattutto per la sua umiltà, quel suo tono scherzoso che non gli faceva prender mai nulla sul serio, nemmeno se stesso. Di fronte a tanta pomposa cultura fatta da mezze calzette che tutto hanno se non la vera creatività, Giulio Questi appare un genio indiscusso e, purtroppo, poco conosciuto. Un’ultima considerazione sulla retrospettiva dedicata alla New Hollywood. La fervida stagione del cinema americano che investe gli anni ‘60 e ‘70 è stata oggetto negli ultimi due anni di una esaustiva e intrigante retrospettiva. Una stagione del cinema americano in cui bisognava rispondere a una crisi di pubblico e di interesse, e soprattutto alla concorrenza del cinema italiano e francese che in quegli anni sfornava capolavori a raffica. Il cinema americano seppe rispondere ai suoi tempi, rinnovò i metodi produttivi, diede spazio a nuove tematiche, prima tabù, incontrando temi forti dal disagio e la violenza urbana e di frontiera (Sam Peckinpah per esempio), alla lotta delle minoranze (Soldier Blu), inserendo figure di donne problematiche ma vive e indipendenti (ricordiamo la Jane Fonda di Klute di Pakula che gli valse il premio Oscar), il flagello della guerra del Vietnam (Apocalypse Now) e la droga (Panic in the Needle Park che vede l’esordiente Al Pacino). Il cinema americano seppe rinnovare se stesso con un confronto forte, diretto con la realtà, rispondendo alla realtà, provando strade alternative che fornissero nuova linfa vitale al cinema. E quel rischio fece emergere talenti registici e attoriali del calibro di Spilberg, De Palma, Pakula, Peckinpah, Scorsese, Al Pacino, Gene Hackman, Dustin Hoffmann, Jane Fonda, Meryl Streep. Nei momenti di crisi bisogna rischiare, sparigliare le carte, rompere tutti gli schemi, altrimenti il destino riserva solo sabbie mobili in cui non resta che sprofondare. Ebbene se si confronta quella stagione presentata in retrospettiva e i film in concorso si nota immediatamente come la realtà contemporanea, ciò che agita l’Europa e il mondo, sia praticamente assente dai film visti al TFF. Nessun rischio, nessun tema veramente scomodo. Come se l’immagine filmica di oggi non corrispondesse al proprio tempo e cercasse in qualche modo di evitare il conflitto. È un’immagine che fugge il suo tempo. E infatti, tranne qualche caso, si avverte una sorta di generale fiacchezza, come di distacco dovuto al disagio, un’incapacità o un timore degli autori di mettere le mani su una materia incandescente. In tutti i film in concorso che ho visto (ho potuto vederne 10 su 15) le storie trattate, anche le più violente (Mange tes morts e Wir waren Könige) possono essere accadute in qualsiasi tempo, non necessariamente oggi. E anche quando si parla di un passato, non è mai un passato che ha implicazioni nel presente. È più ricostruzione storica, omaggio. Rispetto al cinema du reél che si concentra sulla microstoria e in quanto tale non diventa mai mito, mai narrazione in cui l’universale possa trovare risonanza, queste fughe espellono la realtà tramite una sorta di fuga estetizzante, che si concentra più sulla confezione che sul contenuto. Ecco: il movimento New Hollywood forse ci indica una strada per ritrovare un cinema vivo, attivo e creativo, un cinema che nasce da un incontro fruttuoso tra i temi scottanti della realtà e i generi intramontabili del cinema, rinnovandone i segni e i linguaggi. Forse bisognerebbe ripartire da lì, da ciò che la realtà ci indica, e il nostro tempo è fin troppo ricco di spunti che il cinema dovrebbe raccogliere e far propri riscoprendo la sua natura di occhio che cattura le immagini di un mondo in movimento. Enrico Pastore
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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