Siamo
in uno scantinato. Nessuna percezione del mondo esterno. Dalle finestre in alto
e sul soffitto penetra una luce uniforme, sempre mortalmente uguale. Qui il
tempo non passa mai. La moquette rosso vivo e le pareti azzurrognole ricordano
un po’ un sogno di David Lynch. Un mondo sospeso per chi non è ancora morto,
per chi è già definitivamente escluso dai vivi. Questo luogo è una scalcinata
casa di riposo. Qui si sviluppa l’ultima avventura del padre. Abbandonato dal
figlio vive tra i ricordi, le proiezioni dei propri desideri e le terribili
consuetudini di questa clinica per vecchi, consuetudini portate all’estremo con
feroce ironia, consuetudini che non paiono mai innocue.
Più passa il tempo e ci si addentra nella performance, più si comprende che il padre che si staglia sempre più al centro della scena, non è solo un padre, ma incarna Kronos, evirato perché depotenziato, non può fare ciò che vuole non può andarsene da questo Tartaro. Subisce dal figlio lo spodestamento venendo relegato sulla sedia a rotelle in balia di questi assurdi infermieri. Mantiene però suo malgrado la facoltà di ingoiare i figli, di condannarli alla sua stessa condanna, e benché questi lo escludano, lo sfidino, lo combattano, sono fatalmente destinati a subire la stessa fine: farsi cambiare i pannoloni, subire l’oltraggio di essere dipendenti da altri per fare i propri bisogni. Quella creata da Peeping Tom è una piece di teatro danza piena di domande sospese, questioni irrisolte, di piani di esistenza problematici, di ineluttabili catastrofi affrontate con efferata ironia. In questa danza di corpi molli, schizoidi, incontrollati ci riconosciamo. Agiti come siamo dal tempo che fatalmente ci spinge verso la vecchiaia e alla decadenza del corpo che l’accompagna, avvertiamo il pericolo che si annida laggiù in fondo alla nostra esistenza: vivere di ricordi, aspettare la morte, subire le violenze dei giovani che non si curano di noi, battagliare per riuscire a fare il poco che ancora riusciamo a fare. È una battaglia frenetica quella che si svolge sulla scena. Soprattutto contro un esercito di scope che costantemente appaiono e spazzano tutto ciò che vive sulla scena, oggetti o corpi che siano, comprese le poche tracce che lasciano. A un certo punto ne appare anche una gigante che pericolosamente minaccia il pubblico e si agita sulle sue teste. Nello spettacolo di Peeping Tom non vi è la rappresentazione della storia di un vecchio padre abbandonato da un figlio, c’è soprattutto l’evocazione di forze mitiche che minacciano la vita di tutti, perché tutti siamo condannati a divenir vecchi e a finire in quello scantinato. Peeping Tom con ironia feroce evoca forze che vorremmo dimenticare, che si nascondono nell’ombra minacciando il nostro presente e il nostro futuro. Enrico Pastore
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