D: Ci può fare una piccola presentazione del Festival di teatro de la Batie?
R: Il festival è nato nel 1977 nel bosco del la Batie nella periferia di Ginevra ed è per questo che si chiama così, ed è nato sulla linea dei festival liberi come Woodstock, un po’ di danza, un po’ di musica, un po’ di teatro. A partire dagli anni ‘80 il festival ha cominciato a migrare verso il centro della città. In quegli anni non c’era un vero e proprio luogo per la scena alternativa, quindi il festival era un po’ una reazione del mondo culturale che voleva fortemente dei luoghi per mostrare il proprio lavoro al di fuori delle grandi istituzioni. Quindi a partire dagli anni ‘80 è cominciata questa migrazione verso il centro cittadino, nelle sale comunale e i cinema. Poco dopo il paesaggio culturale è cambiato, ha reagito nel modo migliore e si sono creati nuovi spazi come il Theatre de l’Usine, il Theatre du l’eau, Il theatre Grüzli sia per la volontà della politica sia per volontà delle associazioni indipendenti, per cui diciamo il periodo della contestazione si può dirsi finito e il festival ha cominciato a integrare questi nuovi spazi diventando un vero e proprio festival in sala, - all’inizio era praticamente un festival open air -, ed è divenuto un festival di sala anche per la domanda degli artisti che chiedevano le migliori condizioni di lavoro per mostrare le proprie creazioni. Si è riusciti quindi a ottenere risultati più professionali con il passare del tempo, anche per il meteo che a settembre a Ginevra non è sempre dei migliori. Da qui il festival ha continuato a crescere e a partire dagli anni ‘90 sono cominciate le prime esperienze transfrontaliere iniziando una liason culturelle con Annemasse che è proprio al confine tra Francia e Svizzera e all’epoca questo era qualcosa di molto innovativo. Dopo qualche anno nel 2012 questa apertura si è ampliata includendo Annecy e siamo diventati un polo di produzione transfrontaliero. Quest’anno ci siamo spinti ancora un po’ più in là iniziando una collaborazione nel Canton Vaud con il teatro di Losanna atttraverso una selezione di spettacoli che abbiamo presentato in effetti con una locandina comune. Quindi un festival che è nato in un bosco più di trent’anni fa è ora diventato una realtà macroregionale. D: Alya qual è il filo conduttore dell’edizione di quest’anno? R: Da qualche anno stiamo cercando di fornire una tematica que leghi attraverso un filo comune i vari spettacoli presentati e quest’anno è basato sulla questione del nostro rapporto tra la realtà e la finzione, attraverso degli artisti che convocano il reale sulla scena per interrogarlo così abbiamo degli artisti che provocano il reale dal lato più politico e sociale, artisti che possiamo dire si situano più da un lato documentaristico e documentario come Milo Rau, I Rimini Protokoll, i Berlin per citarne alcuni e altri che invece interrogano il reale più da un versante intimistico partendo più dall’autobiografia come per esempio Meg Stuart, altri ancora che invece mettono in questione i rapporti familiari come Vader di Peeping Tom o Philippe Quesne & Campo che presentano uno spettacolo sul mondo dell’infanzia. D: Qual è secondo la tua opinione il fine che dovrebbe avere un festival di teatro oggi, sempre che debba averlo un fine. R: Non so che fine dovrebbe aver un festival ma potrei dirti il fine che desidero abbia La Batie. Vorrei che la Batie fosse un luogo di scoperta, portare a Ginevra degli spettacoli che non si vedono durante tutto il resto della stagione, creare un luogo dove lo spettatore possa esercitare la sua curiosità, dove possano incontrare cose che ancora non conoscono. Quindi potremmo veramente dire che il fine de la Batia sia la scoperta. Per esempio quest’anno abbiamo invitato Milo Rau ed è un paradosso perché Milo Rau è Svizzero ma il suo lavoro non era mai stato presentato nella Svizzera Francese anche se il suo lavoro è molto conosciuto nel mondo di cultura tedesca e germanofona non solo della Svizzera. Abbiamo lavorato con lui è abbiamo deciso di presentare tre spettacoli e quattro film con alcuni incontri con il pubblico. Dunque abbiamo creato veramente una costellazione di progetti per far conoscere il suo lavoro al pubblico Ginevrino e francofono e questo è abbastanza sintomatico di quello che cerchiamo di fare nell’ambito del festival: far conoscere ciò che è poco conosciuto. Inoltre poi credo sia importante creare dei legami. Durante il festival vengono presentati circa 50 progetti in più di venti luoghi, cerco quindi di fornire un legame coerente a tutta questa programmazione, a tutti gli spettacoli, una programmazione deve fornire senso, affinché gli spettacoli si richiamino uno con l’altro in relazione dialettica. Penso veramente che la sfida sia dare coerenza all’insieme nonostante l’eterogeneità dei progetti e delle opere, far sì che ciascun lavoro conduca a un altro. D: I grandi festival del cinema sono divenuti in questi ultimi anni dei veri e propri motori di produzione e coproduzione soprattutto per le opere prime e seconde, penso all’UberBalls di Rotterdam, alla Berlinale, a Open Doors. Pensi che anche i grandi festival di teatro debbano prendere questa strada? R: A partire dall’inizio del mio mandato nel 2008 si è cercato di sviluppare la coproduzione tra festival perché penso sia importante sostenere gli artisti, quindi si è sempre cercato di coprodurre con altri festival o con diverse istituzioni, come legarsi con Bon Lieu e con Vidi che sono i due più grossi centri di produzione della regione perché è proprio questa l’idea: coprodurre i progetti. Dall’altra parte bisogna dire che la Batie non avendo delle sale proprie né un’equipe tecnica durante l’anno non può essere un centro di produzione vero e proprio ma può essere un luogo dove si mostrano le coproduzione. Ciò significa che possiamo coprodurre con altri che hanno le forze e i mezzi per produrre degli spettacoli e poi mostrarli, farli vedere. Per esempio quest’anno abbiamo presentato delle prime durante il festival come il nuovo lavoro di Hubert Coulas, o la nuova creazione de La Ribot. D: Io vengo da un paese immobile, vecchio con un grande passato ma che non si occupa più dei giovani o di quello che avviene nel contemporaneo. Il repertorio fa da protagonista nei teatri stabili, il pubblico degli abbonati e gli stranieri che vengono in Italia cercano e vogliono esclusivamente il repertorio cosicché i giovani artisti che si dedicano al teatro in Italia devono fare sforzi innominabili per riuscire a mettere in scena i propri lavori, senza fondi e soprattutto senza una reale possibilità di distribuzione. Sono quindi curioso di sapere com’è la situazione in Svizzera e a Ginevra per i giovani. R: Esistono sia da parte della Città di Ginevra sia da parte dello Stato Federale dei fondi per le compagnie indipendenti. Le giovani compagnie devono presentare un dossier per domandare delle sovvenzioni a progetto e se vengono selezionati sono al fine sostenute. Inoltre ci sono dei luoghi, come il Theatre de l’Usine che sono veramente dedicati alla sostegno delle realtà emergenti. Per le compagnie un po’ più affermate esistono delle convenzioni di sovvenzionamento che sono dei veri e propri contratti della durata credo di quattro anni tra la Città, lo Stato e la compagnia e questo permette in effetti di programmare un lavoro su un lungo periodo. Le compagnie giovani invece come ho detto sono obbligate a presentare domanda per queste sovvenzioni a progetto, quindi ogni anno o ogni due devono rimettere in discussione tutto il processo di produzione. Ci sono comunque più luoghi a Ginevra come il Theatre de l’Usine, che ho nominato prima, dove i giovani artisti possono presentare e creare i loro lavori. D: In Italia il sostegno economico ai festival viene in gran parte dal denaro pubblico e dalle fondazioni bancarie. L’attività culturale di un festival è condizionata dai capricci della politica (dal 2011 a oggi abbiamo avuto 4 ministri della cultura di centro, di destra e di sinistra). Inoltre in un periodo di crisi economica questi fondi non sono per niente certi o arrivano con mesi e anni di ritardo condannando i festival a incrementare i debiti o a limitare la programmazione. Fare un festival di teatro oggi in Italia è un’attività che rasenta il miracoloso. Qual è invece la situazione in Svizzera. R: In Svizzera esistono delle fondazioni private, ovviamente. Ma parlando della Batie noi abbiamo una convenzione di sostegno per cui ogni quattro anni firmiamo un contratto con la Città e lo Stato che garantisce una sovvenzione fissa per quattro anni e questo copra dal un 55% a un 60% del budget totale. Ogni anno quindi noi dobbiamo trovare il restante 40/45% sia attraverso risorse proprie (biglietti, servizio bar etc) sia attraverso fondazioni private e in questo caso noi presentiamo ogni volta un progetto che non finanzia la manifestazione ma l’idea di programmazione della manifestazione. Enrico Pastore
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