IL GIOVANE FAVOLOSO
Un film di Mario Martone Articolo di Daniel Montigiani
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Non è la prima volta che il cinema di Martone decide di parlare di letteratura. Era già successo con L’amore molesto (1994), tratto in maniera fedele ma affascinante dal romanzo d’esordio di Elena Ferrante, e, circa dieci anni dopo, con L’odore del sangue (2004) di Goffredo Parise. Con Il giovane favoloso, però, Martone non dà nuovamente vita a un romanzo, bensì a un’esistenza, quella, sicuramente non da poco, di Giacomo Leopardi.
Ma, anche in questo caso, non si tratta di una prima volta. Martone aveva già “incontrato” Leopardi a teatro, portando fino a qualche mese fa sulle scene le Operette morali – forse il frutto più originale e tutt’ora moderno del poeta -, rispettandone la bellezza ma riviste a tratti con piglio sorprendente. Anche sullo schermo, il regista cerca di affrontare la vita del poeta con mano personale: Il giovane favoloso – andatosene da Venezia senza alcun premio - “descrive” infatti la vita di Giacomo Leopardi, ma, come l’autore dell’Infinito aveva una visione “diversa” e straordinaria della vita, parallelamente Martone sente la necessità - o il naturale dovere - di trattare la sua vita e figura in maniera possibilmente originale. L’interpretazione di Elio Germano, che si inserisce ottimamente nella parte dell’artista, corrisponde con successo alle intenzioni del regista: quello raccontato da Martone è infatti un Leopardi anche e soprattutto persona, visto come essere umano proprio perché artista e poeta. È una sorta di creatura terrestre, sì, ma dalla mente di folletto instabile e dolcemente umorale, con un’inquietudine fertile che, se da una parte è motore vitale della sua gioiosa necessità di conoscere, capace di farlo accedere a un inesauribile mondo creativo, dall’altra gli fa sentire la sgradevolezza della vita in maniera troppo sensibile. Sensazioni profondamente dolorose queste ultime che non potranno che amplificarsi con la sua fragilità fisica che peggiorerà nel corso degli anni. Martone fa ben capire tutto questo, in particolare all’inizio, mostrandoci il poeta che si aggira nel verde della sua casa di Recanati: una presenza leggiadramente tormentata, accompagnata dalla sua stessa voce over che riflette e declama versi, “circondata” da una suggestiva musica extradiegetica che sa di estrema vita e tragedia. . Più in generale, delle varie parti la più riuscita, anche per quanto riguarda un senso del gusto pittorico, è forse quella del viaggio a Napoli, città descritta come se fosse attraversata da un indomabile e barocco ribollire, famelica e appassionatamente labirintica. Di una certa suggestione anche i momenti visionari, come quello dedicato al Dialogo fra la natura e un Islandese tratto dalle Operette morali, con Germano/Leopardi nella parte dell’islandese che incontra la spaventosa e indifferente Natura. Martone, però, avrebbe potuto tenere maggiormente accesa questa dimensione fantastica dai tratti surreali, anche per riscattare qualche momento un po’ più didascalico presente nella prima parte, ambientata a Recanati. Allo stesso modo, il film ne avrebbe maggiormente guadagnato se tutti i personaggi fossero rimarchevoli, come quello a Napoli di Iaia Forte, minaccioso, scostante ma ironico allo stesso tempo (un peccato, infatti, che se ne vada così presto dalle inquadrature). Comunque, la “sfida” di Martone con il poeta nel complesso è stata vinta, facendo comprendere come, molte volte, ci vuole una grande pazienza per essere eccezionali, come nel caso di Giacomo. Daniel Montigiani
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