La mutazione diventa narrativa nelle sculture su marmo e su legno di Bianco Sebastian, argentino trasferitosi in quelle terra che può essere a tutto titolo elevata a capitale della scultura, appunto: Pietrasanta, in Versilia, Italia. Soffermarsi sulle opere di Bianco è quasi istintivo, in quanto indotti ad approfondisce uno stile e una poetica che è, come fosse materia nella materia, avvolta in un contenitore esteticamente impenetrabile da uno sguardo poco attento e superficiale. Una produzione, è quella dell’autore, che si evolve nelle tecniche e nei materiali usati, tanto da donarci quel percorso narrativo di un’esistenza che si matura e progredisce in forme diverse e inattese, frutto di una logica biologica e vitale incessante, quanto magnifica e immensa. Le opere di Bianco non possono che essere ascrivibili a simboli, metafore, tangibili e vive, pulsanti, dell’atto incessante della trasformazione, della mutazione. È nella filosofia del tutto trascorre e del tutto diviene, senza estinguersi, qualcosa di altro da se, su cui la mano di Bianco procede attraverso lo scalpello, tirando fuori, estraendo quasi, invenendo quella figura che si esplica nel suo mutamento progressivo, non ferma, non statica, non immobile, come si potrebbe pensare attraverso un approccio superficiale con l’opera scultorea, con l’installazione come genere.
L’autore ha una dimestichezza, si vede, si percepisce, con la materia, con il materico, il plastico, andando a cogliere quell’alito di umanità da una forma informe, da un pezzo, spesso blocco monolitico, dell’elemento, ligneo, quando era in Patagonia, fase prima della sua produzione, marmoreo ora, in Italia dove approfondisce alcune sue poetiche e un suo stile, diventando e assurgendo ad artista con una certa personalità, e andando a liberare quella figura che si esprime attraverso un movimento perpetuo, una mobilità intrinseca, una dinamica esteriore, che evidenzia lo stato fluttuante e in continuo divenire dell’interiorita’. Il mutamento dell’esistenza nella sua fragile precarietà, intesa nel senso quasi biologico e fisiologico, ci porta a non soffrire di un’incertezza che accompagna il genere umano, ma ad addentrarci, lui stesso esprime chiaramente questa sua intenzione, in un percorso evolutivo del mondo, dell’universo, degli elementi che lo compongono e che armonicamente vanno a disegnare quel mistero, a descriverne quella narrazione quasi mistica e misteriosa di cui si nutre, filosoficamente e culturalmente. Il viaggio mentale, qui molta parte di un certo iperrealismo ci aiuta a meglio comprendere la portata simbolica dell’opera, qualcosa di reale ed esistente. La visione delle sculture di Bianco ci inoltra in quello che non è altro che un itinerario che si basa su una contemplazione della fisicita’ materica e delle forme tangibili e plastiche di cui si compone la stessa installazione. In questo frangente si impone e si pone quella complessità narrativa che fa dell’arte scultorea di Bianco una produzione raffinata quanto intrigante, un vortice all’interno del quale siamo rapiti e presi, senza nessun tipo di annullamento del nostro punto di vista, quello di osservatore, in una visione etica e morale, ma in uno sguardo che si esplica in sintonia con quello impresso dall’autore nell’atto del comporre, del produrre. Ho sempre pensato quali fossero, e quali siano, le tappe procedurali, seppure il termine usato risulti eccessivamente tecnico, attraverso le quali uno scultore va a definire l’opera nella sua fase ultimativa e unica. Lo stesso marmo diventa espressione, significante poetico, di quelle mutazioni che la natura e il passaggio imperterrito del tempo e delle ere determina su ogni elemento vitale e pulsante: l’artista gioca col marmo, esempio di quel grado elevato raggiunto nella sua formazione, tanto da andare a condividere con quello che naturalmente gli offre questo materiale, vivo, quelle venature, quelle ondulazioni, quei moti della superficie materiale su cui andare ad adagiare quella forma, l’estetica artistica che proviene da una contemplazione interiore quanto poetica dell’autore, e che affonderà la sua portata estetica tra gli andamenti e le ondulazioni della materia, tra le superfici lisce e le superfici più aspre, tra le angolazioni e gli avvallamenti, tra le intarsiature e le linee delineanti e delineate dallo scorrere del tempo: testimonianze vive della mutazione dell’esistenza, del suo divenire incessante e irrefrenabile quanto lento, graduale, inesorabile. Il marmo configura, poi, necessariamente, quell’eternita’ alla scultura, quel suo permanere, come fosse un punto di riferimento costante, contenutistico quanto estetico, donando la possibilità all’autore di dare idea, attraverso la sua creazione, di quell’infinito protrarsi del movimento della figura rappresentata, definibile tramite zone di luminosità maggiore, la lucentezza di alcune sue superfici, e di maggiore cupezza, le parti più scure della stessa superficie marmorea. Un’arte primitiva, l’origine e la genesi dell’esistenza, si legge nell’intenzione comunicativa ed espressiva di Bianco, rappresentate attraverso rivelazioni di atmosfere organiche e vive: un’arte che non si ferma al dato attuale, quasi fosse reportage descrittivo di un presente, ma che si nutre di un passato, la tangibile visione della genesi esistenziale, per proiettarla in un futuro, attraverso quel movimento che deriva dalla stessa trasformazione, viva e continua, mai statica, della materia su cui l’autore va a creare le proprie opere. Alessandro Rizzo
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