Il legno attraverso le sue vibrazioni chiaroscurali si fa materia di un’arte viva.
Si può notare un certo dinamismo in un’opera statica quale quella rappresentata attraverso la scultura? La domanda trova una necessaria risposta affermativa e una conferma nella produzione di Alessandro Pagnoni, giovane artista laureatosi all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano in scultura, e che prosegue nella sua produzione dedicandosi a condividere percorsi narrativi attraverso uno scalpello che affonda, con decisione e con tratto definitivo, su quella materia naturale, viva e vitale quale è il legno. Alessandro proviene da una zona in cui il legno diventa espressione di creatività e di lavoro, spesso artigianale, inventivo e di forte impatto soggettivo: la provincia bresciana, Gussago, il suo paese, lui nativo di Iseo. Lavorare con il legno diventa, quasi, una necessità nel momento in cui si definisce essere quella materia di uso comune e diffuso, che può essere modificata come kora e può, attraverso quell’anima che essa stessa esprime, diventare e trasformarsi in qualcosa di altro, altrettanto vivo e dinamico. Il legno, infatti, una volta scolpito sembra rivivere nelle sue stesse pieghe impresse in quella materia, pulsante e vibrante, costituita da quelle intarsiature, da quelle linee descrittive, che si vanno a formare biologicamente, nel corso dell’esistenza della stessa, nelle sue pieghe, nei suoi avvallamenti, nelle ondulazioni naturali della propria superficie, andando a definire, spontaneamente e naturalmente, il nuovo soggetto e la nuova immagine che da essa trarrà forma, una volta scolpito. È nella serie che chiamiamo “L’età dell’oro” che possiamo trovare quell’espressività tipica e singolare di rappresentazione di un sentimento e di una sensazione tipica dell’età fanciullesca, dell’infanzia: quella spensieratezza e quell’ingenuità genuina e fresca che si riversa in un’apparente innocenza che si intravede nelle espressioni delle bambine raffigurate, riproposte in una visione interiore e fisica, quindi l’espressione superficialmente visibile, di portata totale e armonica, sintonia di sintesi emotive. Ritorniamo all’autore nel momento della creazione: mi pongo spesso il dilemma se l’artista quando scolpisce ha già in mente il soggetto e lo rinviene, quasi ritrovandolo, nel momento in cui va a scolpire la materia, quel contenitore che intrappola il soggetto e la figura. Alessandro agisce e crea nella stessa azione, durante il momento in cui, armato di scalpello, va a definire l’opera, scolpendola nel legno. Alessandro parla di un “carico emotivo”, che diventa impeto e che si impadronisce della mano e della mente dell’autore, conducendoli nello scolpire il legno e nel trarre, gradualmente, a configurare quell’immagine non prevista, non ragionata precedentemente, non anticipata. Una tinta di bianco va, poi, a definire quelle illuminazioni chiaroscurali in quella materia viva e pulsante che è il legno, dando una sensazione di alleggerimento e di maggiore dinamismo dell’impatto materico della figura espressa. Leggerezza e tenuità di una natura ancora pulsante e vibrante si evidenziano nei passaggi strutturali della scultura andatasi, così, a creare nello stesso momento in cui è stata scolpita e tratta, quasi estratta, dal legno: l’impulso creativo, il flusso interiore di coscienza, stimolato dall’ispirazione presa nel e dal reale, si riversa quasi come fosse un’altra essenza che si impadronisce, in modo chiaro e senza limiti, dell’azione dell’autore. Possiamo parlare di una scultura, quella di Alessandro Pagnoni, espressionista dai forti contorni simbolici: non solo la mano dello stesso artista è sicura e decisa nei tratti che va a delineare attraverso le varie scalpellate, il legno è una materia che non lascia margini all’errore e all’incertezza compositive, pena la totale inutilizzabilità del pezzo su cui si è andati a lavorare, ma lo è anche quel tratto, immediato quanto inatteso, che sgorga dalle emozioni e dalle sensazioni dell’autore stesso all’atto della creazione. Il reale, quel quotidiano che circonda la visione dell’artista, viene riproposto sotto forma di una lettura singola e soggettiva, un punto di vista che si matura attraverso una poetica propria, una propria sensazione, tanto da apportare una certa espressività, si può parlare di scultura espressionista, del soggetto che va, gradualmente, a delineare attraverso lo scalpello. Parlavamo di una sintonia, quasi sodalizio artistico, con l’arte e la serie di Anna Facchini, attraverso la bipersonale Lignum et cinis tenutasi alla Galleria Plaumann di Milano, dove il legno, si è fortemente puntato l’attenzione del visitatore sulle tecniche, originali tanto da dare un tratto autoriale, e sulle materie sulle quali i due autori sono andati a operare, diventa quel capitolo esistenziale di un percorso di infanzia e di spensieratezza, di ingenuità e di assenza di malizia, seppure le espressioni delle figure bambinesche rappresentate ricoprano quella complessità di un animo e di un’interiorità in continua mutazione e in evoluzione, attendendo un processo di maturazione e di crescita interiore, conducendo il soggetto stesso verso quell’età, bene rappresentata dal figurativismo astratto e onirico di Anna Facchini, della competizione, della solitudine esistenziale, della ricerca infinita di un equilibrio, dell’individualismo che diventa vulnerabilità e miseria. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
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