Ritorna un vento orientale suggestivo, quanto intensamente fan-tastico dalla Corea, quell’Estremo Oriente tanto lontano dalle visioni estetiche e contenutistiche del mondo, l’altra parte di mondo in cui viviamo. Niente di quella classicità quasi di maniera, interessante quanto formale, si evince dalla produzione dei tre artisti che vengono esposti in una seconda edizione di Art from Corea, in allestimento dal 20 giugno presso lo spazio Emmaus di Milano. Notiamo molta tradizione di certa pittorialità, soffusa, delicata ed evanescente nella sua portata, una coltre di patina sembra avvolgere un paesaggio fiabesco quanto onirico, in alcune opere che sono espressione di quell’immaginazione che promana dall’interiorità del soggetto autore, narrazione di una vita sociale che è storia passata e che vive, quasi in un’esaltazione sacrale, nel presente. Il sogno si nutre del presente, mettendo le proprie radici nel passato per proiettarsi nel futuro, nella produzione di Yooniung Lee dove è il colore a fare da protagonista, definendo linee e contorni di un paesaggio irreale, espressionista di fondo, realistico come base, incontro tra un Oriente leggiadro e diafano e un Occidente intenso e concreto. A paper airplane parla e narra questa visione che è quasi immaginazione di un volo, per addentrarsi nella trascendenza, tanto da rendere la pittura, il tratto e la tecnica elementi funzionali alla realizzazione di questo risultato, raffinato quanto metaforico e concettuale. La montagna, l’albero sono elementi di un paesaggio molto familiare all’artista, così come tre livelli, più interiori e intellegibili, si possono scorgere nella loro essenza quasi ontologica nell’opera di Jihyun Moon, l’autrice è anche musicista, e ha saputo esprimere le emozioni delle note in una composizione fatta di vibrazioni cromatiche, vedendo e raffigurando gli oggetti attraverso un proprio punto di vista interiore. L’espressionismo intimo promana solamente metafore, presenze forti di una creatività dell’autrice, dosando un intervallare di colori e tinte, verdi, rosse e blu, alfabeti che diventano significanti visivi e compositivi di geometrie pure, giochi di forme che si intersecano e celebrano nuove prospettive arricchenti il punto di osservazione e di concepimento della città, quella città dove l’autrice vive, Londra. È anche la geometria fatta di forme, il cerchio che è introspezione, il triangolo che è armonia, a indurci a leggere nella sua opera visioni metaforiche e metafisiche, dove l’autrice si apre nella sua interiorità all’intera umanità, allo spettatore. In Yoonjin Jo non esiste nessun tipo di razionalità e logicità nella composizione, in quanto è flusso onirico irrazionale, quasi visionario, attraverso il quale l’autrice esprime quel che vuole esprimere, rendendo la pittura testimonianza del suo pensiero, della sua poetica, del suo messaggio. La vita si traduce in un artificio pittorico, intenso e vibrante, di un moto d’animo che l’autrice avverte in sé, apportando ed elevandola sua produzione a una composizione autorevolmente autonoma, senza citazioni, seppure si avverta il fascino che l’autrice prova verso un Lucian Freud o un Swin Gwang, tale da rendere la purezza del proprio tratto e del disegno che va a definire attraverso le sue tele. Curiosa è la tecnica adottata, un lavoro manuale con strumenti e materiali plastici, il nastro e i diversi oggetti utilizzati.
Alessandro Rizzo
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Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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