Si può pensare di oltrepassare la tela, non solo di invaderla nella sua totalità, ma di andare oltre ai suoi limiti, alla cornice, ai lati del quadro, disegnando supposti e supponibili paesaggi che si esplicano, come scene di fotogrammi di azioni contemporanee, nell’indefinito, nell’impercettibile, in quello spazio metatemporale che sgorga dall’immaginazione soggettiva quanto personale dello spettatore? In Alda Maria Bossi, esposta fino al 18 giugno presso la Galleria L’Atelier M.K. in Blu di Milano nella collettiva “Immagini a confronto”, possiamo assistere a una presenza non invasiva, né pervasiva, dell’autrice, nel momento in cui stile, tecnica, estetica e contenuto non sono elementi comuni e asetticamente di circostanza, ma diventano parti strutturali di una naturale poeticità e di una vibrazione lirica che si esprime attraverso la composizione cromatica. Lo spettatore è libero di sognare, in quanto le opere di Alda Maria Bossi parlano di solitudini esistenziali, di paesaggi urbani quasi post atomici, dimensioni oniriche, immaginifiche, ideali, fantastiche dove il dettaglio, gli spigoli e i contorni degli edifici diventano parti rilevanti di una descrizione pittorica unica e totale, l’attenzione per il particolare è una chiave di lettura di un’opera che vuole parlare di se attraverso l’essenza e la sobrietà del suo proporsi. L’olio su tela diventa tramite di una tecnica che ci apporta verso colorazioni vivaci, vibrazioni intense, tenuità cromatiche che diventano, pur nella loro lievità, nella loro leggerezza, nella loro solarità, intensità colorate incisive, quanto penetranti e accese. Infastidisce, in quanto puro esercizio accademico semplificante, leggere nella produzione di un artista riferimenti e citazioni, nello stile quanto nel contenuto, a personalità di un passato storico: in Alda Maria Bossi parlare di un riferimento a Hopper non può risultare come mero esercizio ripetitivo e di circostanza, in quanto la visione di una metafisica onirica di un iperrealismo impressionista del celeberrimo autore statunitense si ripropone sotto un’ottica personale che fa dell’autrice un’artista autonoma e autosufficiente.
Le vedute esterne diventano panorami interiori, così come prospettive interne ci offrono nel loro essere indefinito uno squarcio di esteriorità, portandoci a comunicare con qualcosa che è e resta esterno, fuori, in un’attesa infinita priva di ansia e di tensione, ma ricca di consapevolezza di un arrivo, di una manifestazione, di un’epifania, umana o fattuale. Tutto è indefinito nella produzione di Alda Maria Bossi, sospensione eterna che ci lascia un senso di mancanza, di assenza, di vuotezza. I controluce sono contrapposizioni cromatiche che ci scandagliano una città, quella dimensione urbana che va oltre al dato reale, la visione panoramica descrittiva quasi didascalica della metropoli, apportandoci e inoltrandoci in un’introspettiva umana nell’assurdità parossistica di assenza di ogni figurativo o, quando esso è presente, di una presenza del figurativo irrilevante, minimale e marginale rispetto al contesto illustrativo paesaggistico di contorno, di contestualizzazione fisica e ambientale. Esteticamente possiamo dire che è il colore a fare da maestro nel disegno e nella realizzazione delle immagini che compongono, come elementi, il panorama nel suo complesso: la modulazione delle vibrazioni cromatiche, dolci e delicate, quasi immaginifici elementi componenti di paesaggi fiabeschi e fantastici, rosa lievi, verdi soavi, azzurri metaempirici, che, mescolati, avvicinati, giustapposti, successivi, continuativi, consecutivi e susseguenti definiscono improbabili e impensabili prospettive, metafore esemplari di un’inquietudine e di una miseria che caratterizzano l’essere umano della nostra contemporaneità. L’indefinitezza si respira nel susseguirsi di tonalità cromatiche, osato e fluido, di Camion, 1997, così come nella descrizione di una porzione di spazio, desolato e deserto, di Distributore, 1998; l’abbandono quasi deprimente e sconsolato di un interno casalingo in Piatti e pentole, 2003; l’apertura all’esterno cittadino e metropolitano sconsolato e sconfortante di Lampioni, 2004, e di Traffico, 2006, visione quasi cinematografica di una futuristica città priva di umanità, meccanicizzata, tecnologizzata, dove impera l’alienazione, quasi un fotogramma di Metropolis di Fritz Lang. Si passa, così, all’osmotica contiguità tra un interno, dove impera un oggetto, la Poltrona rossa, appunto, e un esterno che ci comunica una speranza in un cambiamento, in un’evasione dalle stecche soffocanti di una quotidianità domestica e priva di slanci. Il viaggio si fa cupo e precario nei suoi spazi e nella sua dimensione logistica in Treno, 2008, dove ancora si realizza quell’esplosione di colori e di cromaticità che ci portano, verso il fondo della tela, a identificare un infinito prospettico di un panorama serale vespertino, quasi trapassando la tela frontalmente, rimanendo inalterato il consueto non completamento degli oggetti, quasi fossero tagliati. In questo si inserisce quell’anelito di un infinito, di un’immensità, di un desiderio di eterno, sconfinando dalle limitazioni oggettive. Alessandro Rizzo
Scrivono in PASSPARnous: k
Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo. |
Fotografia
Un pittorialismo fotografico: l’arte di Francesco Ragno tra forme e geometrie. di Alessandro Rizzo Georg Schrimpf:
da un espressionismo di un nuovo realismo alla dimensione magica di una nuova oggettività. di Alessandro Rizzo L’immateriale nel blu immenso e universale
di Yves Klein. di Alessandro Rizzo Un esempio di architettura integrata: la Fondazione Maeght.
di Alessandro Rizzo |
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