FAHRENHEIT 451 Un film di Francois Truffaut Articolo di Daniel Montigani
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Era quasi scontato che prima o poi un viscerale amante della letteratura e della cultura come Truffaut avrebbe diretto un film sulla bellezza irrinunciabile dei romanzi, dei libri, sull’importanza di difenderli dalla pericolosa bruttezza dell’ignoranza che li vorrebbe distrutti. Al suo sesto lungometraggio, a sette anni di distanza dal folgorante esordio de I quattrocento colpi (1959), il regista francese, qui alla sua prima produzione inglese, decide dunque di adattare per il grande schermo Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, una delle opere letterarie sulla distopia più innovative del Novecento insieme a 1984 di Orwell e Il mondo nuovo di Adolf Huxley. Il titolo, somigliante in apparenza a un codice enigmatico, nasconde in realtà un malefico processo: Fahrenheit 451 è la temperatura di autocombustione della carta, anche se tale dettaglio non è contemplato nel romanzo. Già, perché, in una metropoli non ben identificata, i poteri alti di una società oppressiva hanno deciso che i libri devono essere bruciati, poiché fanno pensare, provocando dunque in chi li legge inutili riflessioni e problemi.
Ma, al di là della massa rimbecillente ed inebetita, qualche presenza umana sembra fare la differenza… In linea con l’anima del romanzo, da subito esplode un’atmosfera disturbante, frenetica e allucinata che caratterizzerà buona parte del film, grazie anche alla bellissima fotografia di Nicolas Roeg: infatti, con tono severo e meccanico una voce fuori campo presenta coloro che hanno contribuito artisticamente alla creazione del film mentre scorrono immagini virate in rosso, in verde, in viola, quasi come se fossero il prodotto di una soggettiva di qualcuno che abbia appena assunto degli allucinogeni. Con uno stile perlopiù lineare che però talvolta si concede alcune piccole ma significative effrazioni tipiche della Nouvelle Vague, Truffaut crea una minacciosa atmosfera che incrocia sottile fantascienza e crudo realismo, mostrando così alcuni ambienti dal sapore fastidiosamente metafisico. Il film, pur diverso da molte sue opere, presenta comunque molte tematiche a lui care, come il potere soffocante della scuola, l’esaltazione dei personaggi femminili, la presenza pura dei bambini. Da accanito cinefilo, l’autore semina varie citazioni: “L’invasione degli ultracorpi”, il rosso di alcune costruzioni che ricorda gli scorci visionari dei film di Bava, scontri fra cittadini indifesi e poliziotti vicini a certi momenti del free cinema inglese più crudo, atmosfere che evocano “La decima vittima” di Petri. Ben delineati sono anche i personaggi, a partire dall’ambiguo pompiere Montag, il quale, inizialmente succube del regime, saprà con tenerezza capire l’importanza della cultura; quello della moglie Linda, pedina umana del regime che si aggira fra follia e innocenza e quello poetico, mirabilmente fanciullesco di Clarisse, una delle poche a sapere quanta gioia la lettura possa portare. Con questo film Truffaut riesce perfettamente a far emergere l’essenza innovativa del capolavoro di Bradbury, ovvero facendo uso di una fantascienza inedita, nuova che in realtà serve come pretesto per descrivere le psicologie dei personaggi e a mettere in guardia dalle continue, possibili dittature, anche del quotidiano.
Daniel Montigiani
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Aldo Pardi, Claudia Landolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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