Codice ISSN: 2281-9223 Rivista d’arte diretta da F. Panizzo - Numero XI mese di Settembre, 2013 - Anno II
|
Tra documentarismo e indagine scientifica: la fotografia umanista e impressionista di Roman Vishniac Articolo di Alessandro Rizzo
Alla morte di Roman Vishniac, la curatrice della produzione del noto fotografo russo-americano, al Centro internazionale di Fotografia, aveva trovato diversi negativi da catalogare e da archiviare per portare alla luce una produzione completa dell’artista. |
Ci si accorse che molte fotografie erano giustapposte per costruire narrazioni di storie e per darne anche una certa descrizione, l’aspetto didascalico dell’opera di Vishniac. C’erano rotoli di pellicola che definivano produzioni altrettanto copiose di fotografie: è, questo, il lato cinetico di una delle ispirazioni che condussero Vishniac ad affermare la propria poetica e la propria arte.
Stiamo parlando della sua affezione per la macroscopia biologica, microbiologica, che accompagnò l’autore per diversi anni ad affrontare, attraverso l’occhio dell’obiettivo, l’indagine della vita nella sua più piccola essenza, la biologia marina, tanto da concedere una caratteristica scientifica alla propria produzione. La biochimica porta Vishniac a indagare, attraverso la macchina fotografica, in una produzione che vede l’autore trattenere il respiro quando si avvicina al micro organismo e, definendo quel momento giusto, adatto, inatteso e maggiormente esemplificativo per scattare la fotografia. È un genio, senza dubbio, come ha detto Philippe Halsman , ex presidente della American Society of Magazine Photographers, portandolo a vincere il Best of the Show Award dell’Associazione fotografica biologica a New York.
Stiamo parlando della sua affezione per la macroscopia biologica, microbiologica, che accompagnò l’autore per diversi anni ad affrontare, attraverso l’occhio dell’obiettivo, l’indagine della vita nella sua più piccola essenza, la biologia marina, tanto da concedere una caratteristica scientifica alla propria produzione. La biochimica porta Vishniac a indagare, attraverso la macchina fotografica, in una produzione che vede l’autore trattenere il respiro quando si avvicina al micro organismo e, definendo quel momento giusto, adatto, inatteso e maggiormente esemplificativo per scattare la fotografia. È un genio, senza dubbio, come ha detto Philippe Halsman , ex presidente della American Society of Magazine Photographers, portandolo a vincere il Best of the Show Award dell’Associazione fotografica biologica a New York.
Lo vedremo immortalare l’occhio di una lucciola, campioni di protozoi, il sangue interno che circola in una guancia di criceto, alla facoltà di medicina della Boston University: tutto questo riesce a farlo per una tecnica che diventa innovativa negli anni 60 e negli anni 70, periodo in cui si dedica a tale documentazione scientifica. |
È la polarizzazione della luce che riesce a garantire la penetrazione attenta e puntuale, dettagliata, del singolo elemento, senza lasciarsi fuggire nessun tipo di particolare, tale da rendere la sua arte, che così rimane, forse per una valenza di iperrealismo, elemento di indagine scientifica, utilizzata per studiare l’anatomia di quel mondo, a noi sconosciuto, ed è qui la poetica di questa sua ultima produzione, del microscopico vivente. Fotograferà piante unicellulari, nella loro metamorfosi, così come la morfologia dei cromosomi, nel 1920, quasi pioniere nel settore della fotografia di documentazione scientifica, l’accoppiamento di insetti, in una chiave molto morbosa e particolare: è chiaro l’intento di Vishniac, ossia quello di strumentalizzare, senza troppi sensi di colpa, né di inadeguatezza, la fotografia per informare e conoscere.
Un obiettivo, è questo, che certo la sacralità dell’arte fotografica perdonerà come eccezione interessante: licenza poetica potremmo dire. Vishniac è un pioniere in quella che fu la fotografia time-lapse, ossia quella fotografia, tecnica cinematografica, fortemente in movimento, tale per cui la frequenza di catture del fotogramma è inferiore a quella di riproduzione: l’effetto è dato per scontato, ossia la lettura di minimi movimenti degli oggetti, quasi come fossero, se uniti un frammento all’altro, ripresi da una telecamera, in un movimento unico, dandone un risvolto a temporale, quasi imperituro, infinito; cinetico appunto. È un fotografo umanista Roman Vishniac: e lo è quando ritrae figure importanti del suo tempo, Einstein in primis, cogliendone uno sguardo e un’espressione che presentano la parte più intima e più espressiva della persona, che non è personaggio, ma uomo.
Un obiettivo, è questo, che certo la sacralità dell’arte fotografica perdonerà come eccezione interessante: licenza poetica potremmo dire. Vishniac è un pioniere in quella che fu la fotografia time-lapse, ossia quella fotografia, tecnica cinematografica, fortemente in movimento, tale per cui la frequenza di catture del fotogramma è inferiore a quella di riproduzione: l’effetto è dato per scontato, ossia la lettura di minimi movimenti degli oggetti, quasi come fossero, se uniti un frammento all’altro, ripresi da una telecamera, in un movimento unico, dandone un risvolto a temporale, quasi imperituro, infinito; cinetico appunto. È un fotografo umanista Roman Vishniac: e lo è quando ritrae figure importanti del suo tempo, Einstein in primis, cogliendone uno sguardo e un’espressione che presentano la parte più intima e più espressiva della persona, che non è personaggio, ma uomo.
Lo è, umanista e impressionista, anche quando celebra nei suoi scatti, fatti spesso con materiali alquanto pri- mordiali, quale una lanterna che illumina interni piuttosto bui e cupi, oppure grossolani supporti per poter scattare in montagna, cercando di immortalare quegli angoli di antichi e piccoli borghi agresti, di una campagna, quella dell’Europa dell’Est, affascinante quanto suggestiva. L’ambiente era funzionale a risaltare la figura umana, le figure umane, spesso fotografate in gruppo, oppure sole mentre studiano, mentre parlano, mentre pregano, il rapporto con la religiosità sarà sempre intenso nella cultura di Vishniac, pur non avendo un approccio dogmatico e confessionalista ma, semplicemente, di apprezzamento della natura come forma quasi divina e perfetta da indagare, osservare, rispettare, celebrare: la vita quotidiana diventava la narrazione principale in un’estetica che rendeva spesso cupa e oscura, il bianco e nero campeggia in gran parte dell’opera di Vishniac, della sua produzione, della sua visione, dando significato a un significante recondito e tragico dell’esistenza: Vishniac, per questo impatto, dovuto alla sapienza dell’autore nell’utilizzo delle luci, della loro calibratura, di un occhio che genialmente riesce, attraverso una grande sensibilità, a catturare l’immagine nel giusto momento, è diventato uno dei maggiori fotografi che hanno potuto documentare una delle tragedie più drammatiche, più atroci e brutali della storia dell’umanità, l’Olocausto nazista. Lo vedremo immortalare, addirittura, ciò che lui chiama le caserme sporche, i lager nazisti, dove vennero internati milioni di ebrei e dove Vishniac riuscì a inserirsi e a fuggire, una notte, saltando da un secondo piano ed evitando, strisciando, i cocci di vetro e il filo spinato posto al confine delle fabbriche della morte.
L’autore sentiva l’esigenza di dare all’Occidente la prova inconfutabile delle barbarie che si stava perpetrando: è così che la Società delle Nazioni Unite trovò basi su cui procedere per provare l’esistenza dei campi di sterminio. Vishniac voleva indagare sui suoi avi, su chi lo ha preceduto in quella cultura a cui si sente di appartenente, quella ebrea: la drammaticità della vita nei ghetti, la solitudine che traspare dalle rappresentazioni dei soggetti, il loro sguardo fisso, pensieroso, preoccupato, spesso rapito, trascendente, la povertà che li avvolge come in un desolante ma anche materno ventre, in una luce invernale, cupa, grigia, molto suggestiva ma, allo stesso tempo, struggente, in una vita fatta di ristrettezze, ai confini della società, ma non per questo priva di umanità.
|
Molte foto vengono fatte a Berlino tra il 1920 e il 1939 e vengono raccolte in una pubblicazione e montate presso il Museo Ebraico di Berlino, nel 2005. La storia fatta di esseri umani, di volti, di esperienze e di sofferenza, che ne afferma una presenza, sono le is- pirazioni dell’intera produzione di Vishniac: esiste un certo rispetto per la vita, nel suo concetto reale e più tangibile, afferrabile, non in un’accezione trionfale, né tanto meno cerimoniale. |
16000 foto produrrà Vishniac nel suo viaggio tra i ghetti polacchi, rumeni, cecoslovacchi, lituani, per ritornare, poi, nella sua città per elezione, almeno dal punto di vista artistico, Berlino, tra il 1935 e il 1938: per poter viaggiare senza problemi e restrizioni si fingerà un commesso viaggiatore di tessuti, ma spesso lo prenderanno, lo fermeranno, con- siderandolo, a volte, un truffatore, a volte, invece, una spia. Lui prosegue, comunque, nel suo lungo viaggio di documentazione. Diventerà sionista Vishniac, è comprensibile, dopo aver testimoniato e documentato le sofferenze esistenziali di un annientamento voluto dalla follia barbara e disumana di un regime sanguinario: uno dei più grossi genocidi che, attraverso la fotografia di Vishniac, che ha trovato il modo per preservarne la memoria visiva, quindi immediata, e per aver dato immortalità a “un mondo che potrebbe presto cessare di esistere”. In questa frase, che riprendiamo dalle parole dell’autore, si legge la funzionalità dell’arte, dal valore storiografico incommensurabile, e, soprattutto, civile; si percepisce quello che l’arte sa esprimere, ossia un messaggio estetico tale da risaltare l’immortalità e l’essere imperituro di un panorama, di un momento, di un istante, che rischiava di soccombere al tempo, in quella lotta titanica piena di lirica che ci porta a contrastare ogni forma di degradazione delle forme, di una loro caducità dettata da un’intransigente legge di natura. La profondità di campo, la nitidezza, la chiarezza del tratto, la calibratura delle luci e delle ombre, soprattutto, sorprende, piace, convince, coinvolge lo spettatore, che si specchia in un passato che spiega un presente, definendone le radici. Il tutto acquista una valenza maggiore in qualità artistica, se si pensa a come Vishniac operava: lume a petrolio, materiali artigianali e raffazzonati, spesso precari, poco tecnologici, interni molto oscuri, impervi nel definirne una buona produzione fotografica, spalle al muro con trattenimento del respiro per non danneggiare e muovere l’esecuzione. La dirompenza artistica ed estetica concettuale dell’opera di Vishniac ha portato Miriam Nerlove a trovare l’ispirazione per una composizione scritta, un romanzo, partendo da quella bambina fotografata dall’autore russo americano in un ghetto, sola e in mezzo alla strada. Gli unici fiori della sua giovinezza, Varsavia 1938, è una delle sue più importanti pubblicazioni. Grandi riconoscimenti sono stati dati a Vishniac: il Memorial Award della American Society of Magazine Photographers nel 1956, vincitore della categoria arti visive di premi del Consiglio Libro ebraico nel 1984, menzione come opera più impressionista per Fiori della sua giovinezza alla Mostra fotografica inter-nazionale a Lucerna nel 1952, Gran Premio per l’Arte in Fotografia, New York Coliseum. Ha esposto alla Columbia University, al Jewish Museum (New York), al Centro Internazionale di Fotografia; ma ancora più forte, oggi, ne risulta il messaggio estetico e sostanziale, concettuale della sua produzione imperitura.
|
Alessandro Rizzo
|
Sezione
Trickster diretta da Alessandro Rizzo Sezione
Reportages diretta da Davide Faraon |
Sezione
Psychodream Review diretta da Viviana Vacca e Francesco Panizzo Sezione
Apparizioni diretta da Francesco Panizzo Sezione
Archivio diretta dalla redazione di PASSPARnous |
Sezione
Musikanten diretta da Roberto Zanata Sezione
Witz diretta da Sara Maddalena Sezione
Eventi diretta dalla redazione di PASSPARnous |
|
Vuoi diventare pubblicista presso la nostra rivista?
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall'immagine sottostante.
sottoscrivi il bando. Accedi al link dall'immagine sottostante.
Click here to edit.
Psychodream Theater - © 2012 Tutti i
diritti riservati