Tra microfotografia e naturalità: il percorso sperimentale di Marco Vignati Articolo di Alessandro Rizzo
La fotografia di un giovane artista, quale quella del milanese Marco Vignati, affascina: interessa per la varietà di una certa soggettistica e di idee che fanno della sua produzione una produzione ricca e vivace, dinamica, notevole e destinata a cercare nuove frontiere sperimentali, nuove visioni, nuove ottiche, nuovi punti di vista e di osservazione.
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Marco Vignati ama immortalare l’acqua, per esempio: un flusso di un divenire continuo che crea, in un’ottica iperreale, quella magica costruzione di panorami e di prospettive sempre nuove, rinnovate, così come si rinnova quel misterioso e affascinante legame che unisce la mente umana, la sua necessità di trovare tutto tangibile e finito, con l’infinito, il procedere incessante, il tutto trascorre, il tutto diviene e mai si esaurisce, il tutto procede in nuove dinamiche e in nuove forme, direbbe Eraclito, un elemento naturale, vitale, essenziale, imprescindibile per l’esistenza umana, e che non può essere catturabile, portandoci a formulare quesiti e domande sempre nuove di fronte alla sua visione.
La tecnica, soprattutto in questo ambito, è attenta, molto particolare, dettagliando con minore distanza temporale gli scatti e mantenendo, invece, elevato il tempo di esposizione: la sequenza di fotogrammi, come fosse un movimento cinetico, ci porta ad assaporare quel movimento incessante, che solo la paziente e incisiva capacità dell’obiettivo di Marco di cogliere il momento fuggente riesce a fermare, rendendo l’immagine stabile ma, allo stesso tempo, mobile.

I nuovi panorami che ci suggerisce questa linea espositiva sono dirompenti e ci portano a indagare nelle pieghe del nostro animo, trovando immaginazione che ci faccia esplorare nuove visioni. Marco non finisce mai di stupirci, senza voler scadere nel sensazionalismo, ma esprimendo opere che, destrutturando e ricostruendo la realtà, ci suggeriscano nuove emozioni, sensazioni. Nel suo flusso formativo in crescita, pieno di curiosità e di volontà di scoperta, Marco si addentra nei lunghi tempi di esposizione, immortalando, così, un fulmine: in questa ottica entra in gioco la sapienza nel trattare il gioco di luci e ombre, tale da rendere questa fenomeno naturale visibile nella sua dirompenza e nella sua eccezionale visione: è così che vediamo fermare l’obiettivo sui fuochi d’artificio, tripudio quasi pittorico di intensità cromatiche variegate, assaggio di una fotografia che diventa, così, esplosione di colori. Mi soffermo spesso a trovare nella lettura dei ritratti, è qui la capacità eclettica di un fotografo che possiamo ben definire completo, un filo conduttore, sia stilistico, sia tecnico, sia sostanziale.
Possiamo dire che tale filo conduttore esista nel momento in cui esiste una produzione incessante che non si accontenta del punto, notevole in qualità e in estetica, in poetica artistica e in tecnica, raggiunto di scoperta del mondo, della natura, protagonista, questa, fortemente presente nell’intera opera fotografica di Marco. |
Le tonalità delle luci sono sempre molto delicate, quasi da suggerire lineamenti tratteggiati da un ipotetico e irreale segno di matita: il bianco e nero campeggia come tecnica nella produzione di Marco e, in questa linea, affida ai volti espressioni uniche, naturali, quasi di stupore, quasi inconsce di essere davanti all’obiettivo. È in questa capacità che si vede e si apprezza il lato sperimentale e interessante di un fotografo di grande valore: è il fascino della natura che crea geometrie sempre nuove, quasi lettura particolareggiata e scientifica di un mondo a noi ignoto e ignorato, e che ci porta a inoltrarci, indagando, figure che potrebbero essere protagoniste di una narrativa del mondo, dell’esistente, del reale: della natura, appunto, nella sua imprevedibilità che diventa caratteristica unica ed essenziale di una lirica compositiva. Sono, quelle nelle produzioni macroscopiche di Marco, visioni mai affrontate, sempre intriganti, coinvolgenti i nostri sensi, che danno nuove aspettative di conoscenza, soddisfano le intramontabili frontiere della curiosità visiva, prima che intellettiva, dello spettatore.
Non esiste nessuna mano invadente e pervasiva utilizzata da parte dell’autore, che rimane semplice narratore di esistenze umane e naturali che pervadono la quotidianità: chi osserva è, così, libero, autonomo, indipendente da ogni tipo di rapporto vincolante con l’artista, intraprendendo percorsi che partono dalle proprie sensazioni, queste sì tangibili e percettibili, per percorrere le frontiere della conoscenza dell’immaginario e del visivo.
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Alessandro Rizzo
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