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Rivista d’arte diretta da
F. Panizzo e V. Vacca |
L’arte sorprendente
di un’oggettistica semplice e del ricordo: Marco Ferra di Alessandro Rizzo Mi sono più volte soffermato a leggere e rileggere le opere di Marco Ferra, giovane artista, che ha già partecipato a diverse esposizioni e iniziative, da ultimo il premio Celeste, allestito e indetto per opere di arte contemporanea. Non posso chiedermi il perché e il significato intrinseco dei lavori che l’autore propone, in quanto gli stessi risultano immediati nella loro spontaneità e nella loro visibilità. Non ci sono artifici retori-camente allegorici, ma tutto è naturale e traspare dalla sola contemplazione
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plazione dell’oggetto che diventa, così, parte principale e unica delle sue composizioni. Si può dare una categoria scolastica artistica a Marco Ferra? Si rischierebbe di relativizzare e banalizzare il contenuto della sua produzione, dal deciso tratto della sua mano e dalla tecnica coerente e costante, che definisce un’autonomia compositiva e concettuale della sua arte e poetica. Si può dire, vedendo la sua opera principale, Surprise, che la semplicità della composizione si presenta quasi omaggiando la parte materica, l’Uovo Kinder di memoria anni 80, facendone un’esaltazione del feticcio, l’ossessione piacevole e intricante per l’oggetto che viene rilevato, esaltato e definito.
L’oggetto, ispirazione dell’opera, viene così a erigersi come unico
dato, proveniente dal mondo quotidiano e commerciale per, poi, diventare
es- pressione artistica. Il comune oggetto, spesso ignorato, spesso
merci- ficato, è, invece, esso stesso fonte di ispirazione lirica. Il
linguaggio, quin- di, è quello della pubblicità e dei consumi, ma
rivisitato e ricondotto a una dimensione poetica, quasi iperrealistica,
introducendoci in nuovi pa- norami inesplorati,iiseppure istrumentalmente
recepibili dalla visione re-
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recepibili dalla visione del contingente. Le immagini della strada, degli scaffali di un supermercato, dell’uso
domestico sono, così, riproposti sotto una chiave di opere di arte
colta, ma non elitaria, in quanto popolare e comune sono i riferimenti
da cui scaturiscono le visioni parallele che vanno oltre l’elemento
contingente. Possiamo dire che l’immediatezza del significato lirico
dell’opera sia così prorompente che ci rende disarmati e coinvolti
direttamente nella visione dell’oggetto comune.
Non possiamo che farci condurre dal segno dell’autore nella contemplazione dell’opera. Non possiamo liquidare come semplici “remake” gli oggetti proposti da Marco Ferra: sono veri e propri elementi che ci conducono in una memoria, soggettiva che si eleva a collettiva, che propone e ribalta in una visione attuale quella realtà, nella sua por- tata generale, universale, immemorabilmente collettiva. “Punto fermo, sicuro e gioioso” è l’espressione con cui Marco Ferra rappresenta quell’epoca della sua infanzia, una generazione oggi fatta di precarietà e di instabilità lavorativa, sociale e culturale, in un contesto generale di messa in discussione di certezze monolitiche e, spesso, asfissianti.
Non possiamo che farci condurre dal segno dell’autore nella contemplazione dell’opera. Non possiamo liquidare come semplici “remake” gli oggetti proposti da Marco Ferra: sono veri e propri elementi che ci conducono in una memoria, soggettiva che si eleva a collettiva, che propone e ribalta in una visione attuale quella realtà, nella sua por- tata generale, universale, immemorabilmente collettiva. “Punto fermo, sicuro e gioioso” è l’espressione con cui Marco Ferra rappresenta quell’epoca della sua infanzia, una generazione oggi fatta di precarietà e di instabilità lavorativa, sociale e culturale, in un contesto generale di messa in discussione di certezze monolitiche e, spesso, asfissianti.
La creatività nasce da questo presupposto di liberazione da convenzioni storiche, orpelli accademici stantii e inespressivi, e l’ossessione per l’oggetto di quel periodo diventa forma poetica e artistica, tanto da rendere lo stesso parte rilevante e primaria del suo percorso produzionale. Lo stesso autore, quasi preoccupato, si domanda se tale “atteggiamento” di ricordo continuo non possa diventare una sorta di “vizio”. La risposta è subito data, nel senso che se è un vizio, quindi ossessione pervasiva, è sinonimo di ispirazione di necessità di investigazione più accurata e approfon-
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dita, utile a esorcizzarne la forza dirompente che si eleva e promana dall’animo. “Evocazione dell’infanzia” dice Marco Ferra parlando dell’Uovo Kinder, quindi ricordo di “un tempo in cui ci si poteva sorprendere”. La magia di quella sensazione viene ripresentata e riproposta dall’opera, Surprise. La sua opera è evocativa di qualcosa di altro che esula, ma che è anche radice, dal nostro mondo contemporaneo, cercando di registrare la ricerca delle nostre esistenze comuni in una funzione astratta, seppure partendo da un elemento reale e concreto, tangibile, di percorso narrativo suggestivo e allusivo. A qualcuno Surprise, che prendo sempre come riferimento esemplificativo della particolare e attenta, ben costruita, tecnica e poetica di Marco Ferra, fa sorridere perché ha una bellezza genuina e immediata. L’imprecisione è il sinonimo di un mondo che definisce degli spazi e degli interstizi da dove partire per ricercare nell’infinito quell’essenza artistica che crea l’arte, la forma artistica, la sua espressività. Il vuoto crea arte, così come il desiderio, quel processo che va da un passato che fu, ormai non disponibile, ma eterno nutrimento di un ricordo che ci rende consapevoli di un presente verso un futuro di aspettative e di attese, che vuole essere riempito della soddisfazione delle stesse, ma che, una volta esaudito nelle sue attese, diventa cessazione del desiderio, di quel motore mobile che produce creatività, ossia motore della volizione. Ed è nel desiderio di riavere e rivivere qualcosa di lontano che prende parte dei nostri ricordi che si insedia l’ispirazione di Matteo Ferra che, attraverso il gioco del tratto e del disegno, propone forme artistiche ed estetiche di grande rilevanza e immensa naturalezza.
Alessandro Rizzo
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