L’artista sulla soglia di casa di Silverio Zanobetti Stare sulla soglia della propria casa o del proprio io. La città non viene dopo la casa, né il cosmo dopo il territorio. Sperimentare le soglie a partire da quelle della propria casa come continuo processo di compromissione, di concatenamento con l’ambiente. Una molteplicità si definisce per le sue soglie1, non per i suoi elementi o per le sue dimensioni.
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Le cose interessanti avvengono sulle soglie di casa. Non possono saperlo i giovani che fanno del viaggio la propria casa, del girovagare indefinito solo un modo per portare in saccoccia il proprio io, zaino-chitarra in spalla. Le cose interessanti avvengono sulla soglia di casa. Lo sapeva Kafka che in quasi tutti i romanzi e i racconti mette in questione il problema della territorialità e della fissazione del desiderio che ad essa è connesso. L’arte di Kafka è la meditazione più profonda sul territorio e la casa. Il territorio è l’effetto dell’arte. Non basta uscire in strada per smettere di soffocare, per disattivare il piano trascendente d’organizzazione che ci opprime. E allora cosa ci vuole per fare arte?
Una casa innanzitutto. Prospettiva di una camera con i suoi abitanti Klee2. Una casa con le sue posture, i suoi canti. Far proliferare il desiderio come processo e non fare di ogni scampagnata, di ogni villeggiatura, di ogni viaggio il proprio desiderio. Un divenire non può avere un soggetto distinto da se stesso: abitare una casa varcando le soglie. Josef K. apre gli occhi e trova due uomini nella propria camera che gli mangiano pure la colazione. Due uomini non ben identificati si trovano accanto al letto di Josef K. e lo dichiarano in arresto. Il desiderio è un processo ed è per questo che la prima strana reazione di Josef K. è quella di domandarsi: tutto ciò mi farà fare tardi al lavoro? Grazie a questa reazione l’Io di Josef si fa soglia, porta, divenire tra due molteplicità. Ai bordi di ogni molteplicità c’è un qualcosa come un Anomalo e, seguendo la linea continua che passa in questi bordi, le molteplicità cambiano. |
La reazione di Josef K. spiazza il lettore che così comincia a farsi delle domande: chi è davvero Josef? Ha delle intenzioni nascoste? Ma la lettura fa diventare inconsistenti tali domande perché il lettore si accorge che non si tratta più di suddividere in modo esclusivo luoghi, tempi e persone, tutto diventa una questione di soglie, di protocolli d’esperienza e ogni fibra è fibra di Universo3.
L’artista deve rimanere sulla soglia e ha due obiettivi:
-non tornare a casa per non ripresentarsi come l’Uno-Solo ritirato in se stesso;
-non uscire di casa perché si rischia di rivolgersi al popolo esistente, quando si tratta di concentrarsi su quello che manca.
Kafka parte sempre da una situazione familiare apparentemente chiusa, da interni molto opprimenti e ossessivamente descritti, ed è paradossalmente attraverso tutto questo che riesce a far proliferare le connessioni politiche, sociali e quelle cosmiche del delirio. Sono guai per chi crede di fare il comodo proprio perché si trova in “casa propria”:
«Ma Brunelda aveva scorto gli occhi di Karl sbarrati per la stanchezza, che l’avevano spaventata già una volta, e si mise a gridare: “Delamarche, non ce la faccio più dal caldo, brucio, debbo spogliarmi, debbo fare un bagno, manda fuori quei due dalla camera, mandali dove vuoi, nel corridoio, sul balcone, basta che io non li veda più! Siamo in casa nostra, e ci vengono continuamente a disturbare”»4.
L’artista deve rimanere sulla soglia e ha due obiettivi:
-non tornare a casa per non ripresentarsi come l’Uno-Solo ritirato in se stesso;
-non uscire di casa perché si rischia di rivolgersi al popolo esistente, quando si tratta di concentrarsi su quello che manca.
Kafka parte sempre da una situazione familiare apparentemente chiusa, da interni molto opprimenti e ossessivamente descritti, ed è paradossalmente attraverso tutto questo che riesce a far proliferare le connessioni politiche, sociali e quelle cosmiche del delirio. Sono guai per chi crede di fare il comodo proprio perché si trova in “casa propria”:
«Ma Brunelda aveva scorto gli occhi di Karl sbarrati per la stanchezza, che l’avevano spaventata già una volta, e si mise a gridare: “Delamarche, non ce la faccio più dal caldo, brucio, debbo spogliarmi, debbo fare un bagno, manda fuori quei due dalla camera, mandali dove vuoi, nel corridoio, sul balcone, basta che io non li veda più! Siamo in casa nostra, e ci vengono continuamente a disturbare”»4.
La transitorietà che caratterizza l’abitare odierno non cambia ma rende più complesso e frammentato la questione di fondo: così come in filosofia si creano concetti, la questione topologica del desiderio fa dell’architettura la prima delle arti. La filosofia è questione di architettura, di una pragmatica intensiva che coinvolge la politica, l’arte, il pensiero. L’architettura è la prima delle arti, scriveva Deleuze e, al contrario di ciò che sostiene la vulgata ottocentesca ancora presente nel senso comune attuale, essa è anche espressiva. E, notare bene, non si tratta della logica interna, della struttura dell’opera architettonica. Il contenuto dell’arte architettonica è il suo contenuto sociale (indissolubilità del problema sociale e del problema estetico): se il suo contenuto è il vuoto si tratta però di un vuoto che riesce ad acquistare una parvenza corporea in quanto non si limita ad essere qualcosa che vive nello spazio ma fa vivere lo spazio in se stessa, un’architettura incompleta che tende sempre a generarsi nuovamente.
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Note:
1 G. Deleuze, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Castelvecchi, Roma 2010, p. 308. 2 G. Deleuze, F. Guattari, Che cos’è la filosofia, Einaudi, 2002. 3 Ibidem. 4 F. Kafka, America in Romanzi e racconti, Garzanti, Milano 2005, p. 190. |
Silverio Zanobetti
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