Il III Numero della rivista PASSPARnous
con le sue sei sezioni e i suoi portavoce
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Scrivono nella rivista:
Daniel Montigiani Viviana Vacca Alessandro Rizzo Fabio Treppiedi Sara Maddalena Daniele Vergni Mariella Soldo Martina Lo Conte Fabiana Lupo Roberto Zanata Bruno Maderna Marco Dotti Alessia Messina Miso Rasic Mohamed Khayat Pietro Camarda Francesco Panizzo |
La tempesta è in arrivo, l’incidenza
Maurice Blanchot, L’infinito intrattenimento.
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Oltre a riservarci “colpi di portata micidiale che lasciano sempre qualche strascico”, scrive Fitzgerald a proposito del proprio crollo fisico ed emotivo, la vita sa spingerci al tappeto con colpi altrettanto violenti – di ben altro genere rispetto ai primi – che si lasciano avvertire “solo quando è troppo tardi per correre ai ripari, quando prendi coscienza senza appello che per certi aspetti non sarai più quello di un tempo” (F. S. Fitzgerald, Il crollo, Adelphi, Milano 2010, p. 11). Ci si aggira in tanti, mai troppi certamente, nei dintorni di questo tipo di esperienze.
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Da un lato le arti in genere: la verità eterna dei colpi micidiali inferti dalla vita, in questo caso, s’identifica integralmente con l’abominio e la sgradevelezza di ferite, malanni, vizi e infezioni che, nell’esperienza, gli artisti collezionano sul proprio corpo. Dall’altro la filosofia e le scienze, ovvero, la riflessione, la critica e l’opportuno intervento del sapere sull’esperienza: la volontà di dire la verità di qualsivoglia evento si annoda in questi casi con l’urgenza di prendere distanze dall’accaduto in sé, dalla sua fin troppo singolare brutalità, restituendo la verità di una tremenda ferita facendo
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astrazione dalla terrificante asprezza del sangue che l’accompagna così come anche dall’urlo strozzato del dolore fisico, dalle lacrime non più trattenibili, dalle sovrumane strette di denti. Ci si accorge però che l’acuirsi del distacco tra ciò che si esprime nell’esperienza della sventura e ciò su cui si riflette a partire da essa intensifica l’indistinguibilità tra i due tipi di “colpi micidiali” che la vita ci riserva, e lo fa a tal punto da farci perdere le relazioni che intercorrono tra di essi, le lorotessiture, le loro risonanze. Non essendo altro che la vita in tutta la sua portata singolare, irriducibile e non ancora sperimentata, tale differenza può essere recuperata attraversando uno spazio, tanto più ibrido quanto più prepotentemente inaggirabile in tempo di crisi, che è tracciabile lì dove né l’arte né tantomeno le scienze e la filosofia bastano più a se stesse. L’impresa risulta pressoché paradossale: quando cerchiamo il senso di un evento, infatti, pretendiamo implicitamente di padroneggiarlo, contravvenendo già ai tratti di eccezionalità e imprevedibilità che lo caratterizzano in quanto tale.
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Il nostro abituale procedere nel tempo e nella memoria secondo il criterio della successione degli eventi, dunque, ci preclude quasi del tutto la possibilità di pensare un evento in tutta la sua incidenza e, soprattutto, di viverlo in modo tale da orientare le nostre scelte e le nostre azioni in vista o più generalmente in funzione di esso. Da qui la paura, l’incertezza, l’esitazione, ovvero, tutto ciò contro cui la nostra più comune intelligenza non riesce a fare altro che smussare come può e finché può la forza d’irruzione dell’evento stesso. Mentre l’arte e la narrazione in generale salvano l’evento dalle maglie di questa l’evento dalle maglie di quest’ intelligenza esprimendo per esso e in esso l’irriducibilità a un senso storicamente dato, verificato, collaudato, riconosciuto e condiviso, le scienze e la riflessione in generale tengono fermo l’evento, assumendolo in tutta la sua capacità di trasformazione rispetto a quelle che fino a prima della sua irruzione potevamo considerare il normale funzionamento della realtà.
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Come salvare l’evento nel pieno della sua imprevedibilità e, nello stesso tempo, tenerlo fermo facendo spazio ad una strategia e ad una politica della vita in virtù delle quali ci scopriamo degni di ciò che ci accade? Un nostro compito resta dunque, oggi più che mai, quello di conquistare e di farci conquistare dalla differenza ancora poco sondata tra una verità che nella vita deve ancora essere detta e una verità che sulla vita sa ancora dire qualcosa.
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L’incidenza dell’evento si genererà allora proprio nella custodia - certamente poco abituale - della sua stessa violenza, della sua imprevedibilità, dunque, di una forza d’irruzione tanto più autenticamente colta dall’arte e dalla riflessione quanto più inconsapevolmente tradita da un’intelligenza, la nostra, che il più delle volte cede alla sua naturale disattenzione verso tutto ciò che è autenticamente forma, novità e vita.
Buona lettura...
Fabio Treppiedi
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