Il sogno di Innocenzo III
di Enrico Ratti Perché ad un certo punto del loro itinerario tutte le grandi utopie e tutti i proclami puristi che hanno caratterizzato la storia dell’Occidente degli ultimi duecento anni, alla prova dei fatti si sono dissolti come neve al sole lasciando dietro di sé solo macerie? E perché in questo radicalismo utopico ciò che con maggior fermezza viene perseguito è il principio di uguaglianza tra gli uni e gli altri? E il pensiero purista perché non ammette che per ciascuno l’esperienza è tripartita in padre, figlio e spirito? |
Per rispondere a queste domande, o per cercare di capire perché nella storia dell’occidente c’è sempre stata una reazione purista nei confronti del parlando, nei confronti della tripartizione dell’esperienza di parola, occorre prendere in considerazione il versetto del vangelo dove Cristo dice a Pietro (Matteo 16, 18-19): “E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. Questo versetto straordinario ci aiuta a capire come il Papa non è un re che regna secondo i modelli che la storia, anche attuale, ci ha posto davanti. Egli, infatti, governa la Chiesa a partire da una contraddizione assolutamente inaccettabile soprattutto in questi tempi dove a prevalere è il pensiero puritano lineare. Mi spiego meglio. Cristo ha fatto un gesto curioso: egli ha affidato la Chiesa ad un peccatore che l’ha rinnegato tre volte. Questo di Cristo è dunque un gesto che punta a distinguere come la Chiesa non possa fondarsi sul purismo (un modo di ragionare che ruota intorno alla causa e all’effetto), perché la pietra su cui è stata edificata è Pietro il peccatore. Poi, verso la fine del 1200, Papa Innocenzo III ha un sogno. E sogna l’umile Francesco mentre sorregge, con un gesto molto eloquente, la Basilica del Laterano vistosamente inclinata. Egli lo enuncia e Giotto nella Basilica Superiore di Assisi lo mette in immagini. E così, con il suo sogno, Papa Innocenzo III ci dice come Francesco diventa colonna della Chiesa e altra faccia di Pietro.
In questo contesto la pittura di Giotto diventa operativa diventa, cioè, scrittura di questa idea di Papa Innocenzo III. Un’idea che diviene annuncio della Chiesa sorretta da un frate. E oggi con Papa Francesco anche straordinaria profezia. Ma l’annuncio cos’è? È la definizione della tripartizione dell’esperienza di parola. Una tripartizione formulata da Cristo in padre, figlio e spirito. Poi, decenni dopo, si susseguono altre formulazioni finché arriva Sant’Agostino con l’immagine triale. Ebbene, com’è facile intendere, tutto ciò è agli antipodi da quello che aveva enunciato Platone e formalizzato, poi, da Aristotele. Ma cosa ha annunciato Platone? La sua favola ruota intorno a questa fantasia: Egli nel Simposio sostiene che in principio eravamo degli uni, delle sfere perfette.
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Poi abbiamo peccato e dio ci ha puniti dividendoci in due. Sicché compito degli umani è sempre stato quello di ambire a tornare sfere perfette. In altri termini: eravamo uno, siamo diventati due, dobbiamo ritornare uno. Questo è l’annuncio a cui il pianeta si è piegato fino ad oggi. Con Cristo, invece, arriva l’annuncio del tre.
Un annuncio che dice che non eravamo uno: eravamo tre fin dall’inizio. Ma dove incomincia questa tripartizione della parola? Questa tripartizione si costituisce in Basilicata e lungo le coste del Mediterraneo tra la Sicilia e la Calabria, lungo le coste, cioè, della Magna Grecia. Qui inizia una parola che arriva a definire le sue tre funzioni: suggestione, persuasione, influenza. Nel 400 a.C. nella Magna Grecia c’erano dunque delle scuole dove sorgevano dei retori e dei ricercatori linguistici che erano anche governanti: i sofisti. E i sofisti nel governo della città hanno trovato le virtù della piega, quindi le virtù dell’influenza e della diplomazia. Quando poi i sofisti sono partiti dalle coste della Magna Grecia e hanno cominciato a viaggiare sono sbarcati in Grecia, in Fenicia, verso il Libano, in Turchia, lungo la fascia dell’Africa del nord e in Arabia. In questi paesi hanno incominciato ad avere dei seguaci.
Un annuncio che dice che non eravamo uno: eravamo tre fin dall’inizio. Ma dove incomincia questa tripartizione della parola? Questa tripartizione si costituisce in Basilicata e lungo le coste del Mediterraneo tra la Sicilia e la Calabria, lungo le coste, cioè, della Magna Grecia. Qui inizia una parola che arriva a definire le sue tre funzioni: suggestione, persuasione, influenza. Nel 400 a.C. nella Magna Grecia c’erano dunque delle scuole dove sorgevano dei retori e dei ricercatori linguistici che erano anche governanti: i sofisti. E i sofisti nel governo della città hanno trovato le virtù della piega, quindi le virtù dell’influenza e della diplomazia. Quando poi i sofisti sono partiti dalle coste della Magna Grecia e hanno cominciato a viaggiare sono sbarcati in Grecia, in Fenicia, verso il Libano, in Turchia, lungo la fascia dell’Africa del nord e in Arabia. In questi paesi hanno incominciato ad avere dei seguaci.
Ma, ben presto, contro questa tripartizione del parlando si è subito costituita una reazione di tutti quei maestri che invece partivano dall’uno come, appunto, Platone. Un uno che doveva rimanere identico a sé. Un uno epurato del sogno, dalla contraddizione e dal pragma e che, di conseguenza, non poteva trovarsi nella suggestione, nella persuasione e nell’influenza. Tre funzioni della parola ritenute pericolose perché sfuggivano al controllo di chi si riteneva il custode dei valori universali e della verità dall’unico volto. Ebbene, queste tre virtù della parola erano virtù esercitate dal sofista ma anche da Cristo.
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Virtù che sono alla base del Vangelo, ma che sono anche le caratteristiche salienti del vendi- tore. Contro queste tre virtù si è sempre scagliata la reazione purista a partire dalla vendita delle indulgenze e del paradiso.
E oggi anche in Italia, la terra dove si sono constatate le virtù della suggestione, della persuasione e dell’influenza, la forma di questa reazione purista passa nel teatrino della politica e nella sua maschera più buffa: Beppe Grillo istrione.
E oggi anche in Italia, la terra dove si sono constatate le virtù della suggestione, della persuasione e dell’influenza, la forma di questa reazione purista passa nel teatrino della politica e nella sua maschera più buffa: Beppe Grillo istrione.
Enrico Ratti
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