Revue Cinema rubrica diretta da Daniel Montigiani
L’ultima tempesta
Un film di Peter Greenaway
Un film di Peter Greenaway
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Con L’ultima tempesta (Prospero’s books il titolo ori- ginale) Peter Greenaway, uno dei registi più più importanti e originali del Regno Unito, dà l’impressione di voler ricordare allo spettatore di essere proprio, esattamente… Peter Green- away, il “solito” Peter Greenaway. |
Difatti, questo film, tratto da una delle opere più belle e fanta- siose di Shakespeare (The tempest) rappresenta una forte conferma di alcuni degli elementi portanti/ossessioni assai riconoscibili della poetica del regista gallese, come la raffinata predilezione per il biz- zarro, l’inusuale, l’approccio intellettuale agli aspetti delle cose e dell’esistenza, la passione per la pittura e l’architettura, la potenza e possibilità della parola poetica, l’attenzione scultorea ma allo stesso tempo, in certi casi, anche spietata del corpo umano. Anzi, con L’ul- tima tempesta Greenaway conferma – volontariamente o meno – di essere, specialmente in questo caso, “più che Peter Greenaway”.
Come se - esprimendosi banalmente - con tale opera egli avesse superato se stesso in quanto a caratteristiche artistiche riconosci- bili. |
Qui Greenaway gonfia, aumenta con attenzione tutti i suoi ben riconoscibili punti appena elencati per dare luogo a una sorta di continuo spettacolo barocco capace di combinare danza, teatro, opera, canto. Tale senso spinto del barocco è in particolar modo creato ed esaltato dalla cura pittorica dell’immagine e della scenografia qui ancora più “movimentate” rispetto alle opere precedenti. Inoltre, ciò che qui rende Greenaway ancora “più Peter Greenaway” (un Peter Greenaway al quadrato, o addirittura al cubo) è l’acuto, maggiore senso della sperimentazione; il regista infatti agguanta l’immagine cinematografica utilizzandola come grandiosa “tavola” sulla quale sperimentare con, soprattutto, tecniche televisive: in diversi momenti, Greenaway ricorre al “frame nel frame”, ovvero all’inserimento di inquadrature più piccole all’interno dell’inquadratura stessa, per creare rimandi, collegamenti, e/o per aumentare la rara densità della ricchezza visiva del quadro. Si, tratta, insomma di un uso estensivo della manipolazione dell’immagine digitale.
Ma questa scelta di “barocchizzazione” dell’inquadra- tura ottenuta, appunto, attraverso la moltitudine dei cor- pi, la cura pittorica dell’immagine e la tecnica del “frame nel frame” non si limita a generare fascino, bellezza, ma, contemporaneamente, fa anche riflettere sul rappor- to che si viene a instaurare fra il testo teatrale di Shake- speare e il film in sé.
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Greenaway, cioè, mette in atto (forse spontaneamente) uno stimolante paradosso: egli, attraverso questa messa in campo di una bellezza barocca e pittorica dell’inquadratura dove la visione prevale sulla parola, da una parte fa (quasi) completamente dimenticare il testo shakespeariano da cui il film trae ori- gine (complice in questo senso anche le parziali “aggiunte” fantasiose e affascinanti al testo da parte di Peter Greenaway sui “libri di Prospero”); dall’altra, invece, proprio la semovente spettacolarità di questo “spettacolo barocco” dall’impianto e atmosfera teatrale (intensificata da alcune carrellate soprattutto verso destra che accompagnano le “sfilate di visioni” di corpi, oggetti e architetture), con la sua splen- dida e inquietante confusione di elementi interni all’inquadratura sembra cogliere perfettamente l’essen- za sontuosa, meravigliosa e caotica di questa opera di Shakespeare, la sua anima.
Del resto, il fascino e la densità di questo film sem- brano almeno in
parte basarsi su una specie di filosofia di caratteristiche-elementi
opposti, contrastanti fra loro.
Sono diversi gli esempi che possono essere forniti in tal senso: come già accennato, come nel resto della fil- mografia greenawayana, ne L’ultima tempesta la visi- one e riprese dei corpi costituisce una parte indubbia- mente importante. |
Ed è proprio l’elemento (visivo) del corpo che costituisce
in questo caso uno dei tanti “contrasti” che nutrono questo anomalo
oggetto cinematografico: del corpo umano, infatti, viene mostrato il suo
splen- dore (la bellezza del suo poter essere scultoreo, sensualmente
fisico, atletico, perfettamente danzante) ma anche il suo (naturale)
orrore, la sua caducità. La figura del personaggio di Calibano – così
orrenda se non addirittura repellente ma così allo stesso tempo “capace
di danza”, di movimenti sinuosi ed ele- ganti – può rappresentare un
esempio pragmatico in tal senso.
L’ultima tempesta, insomma, rappresenta (anche) il desiderio di Greenaway di utilizzare la “mac- china cinema” per, in realtà, cercare di uscire da essa, di superarla, per elevarsi maggiormente e andare oltre, per costruire un personale assemblaggio di visioni che ricorda più un’opera video art in stile Bill Viola.
Un barocco cinematografico raramente visto sugli schermi.
L’ultima tempesta, insomma, rappresenta (anche) il desiderio di Greenaway di utilizzare la “mac- china cinema” per, in realtà, cercare di uscire da essa, di superarla, per elevarsi maggiormente e andare oltre, per costruire un personale assemblaggio di visioni che ricorda più un’opera video art in stile Bill Viola.
Un barocco cinematografico raramente visto sugli schermi.
Daniel Montigiani
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