Un esempio di architettura integrata:
la Fondazione Maeght
Da una macchia mediterranea, sopra una collina che sovrasta gran parte della Costa Azzurra, nei pressi di Saint Paul De Vence sorge un complesso architettonico quasi immateriale nel suo impatto visivo, leggero e non invasivo, in totale sintonia con la natura, molta, circostante.
Stiamo parlando della struttura in stile moderno che ospita la Fondazione Maeght, un esempio, quasi raro, di fon- dazione privata europea che ospita un elevato numero di opere di artisti contemporanei, istituita grazie l’intervento dei coniugi Marguerite e Aimè Maeght con la finalità di realizzare uno spazio, accogliente e umanamente sostenibile, in cui potersi immergere nell’arte moderna in tutte le sue forme, poetiche e nei vari stili. L’edificio e il complesso architettonico esprimono quello che la corrente moderna, intesa come organizzazione degli spazi ed equilibrio nel rapporto tra individuo e contesto ambientale in cui si inserisce e di cui usufruisce, ha voluto significare artisticamente e storicamente. Siamo difronte a una totale rottura con le precedenti scuole classicistiche strutturate su un eclettismo degli stili, in cui si evidenzia la capacità e la possibilità di impiegare gli elementi naturali, il vetro, il legno, l’acciaio, mettendoli insieme in un’armonia di fondo eccezionale. L’equilibrio si palesa sia in un’estetica minimalista sia in un’essenzialità della struttura tale da vedere valorizzato ogni spazio in essa presente all’interno.
La forma diventa, così, la sostanza di un modo di intendere diversamente l’organizzazione e lo sviluppo dell’ambiente, preservando quell’integrità complessiva dei componenti naturali in un coinvolgimento, anche emotivo, dei sensi dello spettatore, portandoci verso un nuovo concetto dell’abitare. La corrente moderna in architettura irrompe in un periodo di ricostruzione post bellica sulla scena mondiale, quasi a evidenziare un esordiente modo, e si direbbe radicalmente in rottura con la tradizione architettonica del passato, di intendere lo sviluppo edilizio e urbanistico di una città.
In questa corrente si inserisce perfettamente un architetto urbanista catalano del calibro internazionale di Josep Lluis Sert, che ha saputo, così, rendere la Fondazione un luogo inserito nella natura, senza alterarne le parti costitutive ecosistemiche, offrendo allo sviluppo dell’edificio quel connotato cronologico narrativo ideale per condurre il visitatore nell’itinerario espositivo delle opere in esso presenti, firmate Jean Mirò o Alberto Giacometti o, ancora, Chagall. La dimensione interna della Fondazione è, quindi, funzionale alla lettura del percorso di esibizione dei lavori degli autori che sono ospitati, a volte anche temporalmente, dalla stessa.
In questa situazione non possiamo che dirci pienamente attori di un lungo viaggio tra i protagonisti dell’arte moderna del XX secolo, partendo dal grande e spazioso patio, che irrompe come una piattaforma all’esterno dell’edificio, quasi affiancandolo in una continuità stilistica, dove sono esposte le opere stilizzate di Giacometti e la celeberrima Donna sulla sedia di Jean Mirò, avanguardie in una nuova visione del concepire l’arte nella sua plasticità, quasi immateriale e simbolistica. Parlare dell’autore svizzero Alberto Giacometti risulta alquanto riduttivo se si pensa alla sua evoluzione complessiva che lo portò dalla poetica del sogno e dell’immateriale a una concezione più realista dell’arte, quasi scientifica.
Stiamo parlando della struttura in stile moderno che ospita la Fondazione Maeght, un esempio, quasi raro, di fon- dazione privata europea che ospita un elevato numero di opere di artisti contemporanei, istituita grazie l’intervento dei coniugi Marguerite e Aimè Maeght con la finalità di realizzare uno spazio, accogliente e umanamente sostenibile, in cui potersi immergere nell’arte moderna in tutte le sue forme, poetiche e nei vari stili. L’edificio e il complesso architettonico esprimono quello che la corrente moderna, intesa come organizzazione degli spazi ed equilibrio nel rapporto tra individuo e contesto ambientale in cui si inserisce e di cui usufruisce, ha voluto significare artisticamente e storicamente. Siamo difronte a una totale rottura con le precedenti scuole classicistiche strutturate su un eclettismo degli stili, in cui si evidenzia la capacità e la possibilità di impiegare gli elementi naturali, il vetro, il legno, l’acciaio, mettendoli insieme in un’armonia di fondo eccezionale. L’equilibrio si palesa sia in un’estetica minimalista sia in un’essenzialità della struttura tale da vedere valorizzato ogni spazio in essa presente all’interno.
La forma diventa, così, la sostanza di un modo di intendere diversamente l’organizzazione e lo sviluppo dell’ambiente, preservando quell’integrità complessiva dei componenti naturali in un coinvolgimento, anche emotivo, dei sensi dello spettatore, portandoci verso un nuovo concetto dell’abitare. La corrente moderna in architettura irrompe in un periodo di ricostruzione post bellica sulla scena mondiale, quasi a evidenziare un esordiente modo, e si direbbe radicalmente in rottura con la tradizione architettonica del passato, di intendere lo sviluppo edilizio e urbanistico di una città.
In questa corrente si inserisce perfettamente un architetto urbanista catalano del calibro internazionale di Josep Lluis Sert, che ha saputo, così, rendere la Fondazione un luogo inserito nella natura, senza alterarne le parti costitutive ecosistemiche, offrendo allo sviluppo dell’edificio quel connotato cronologico narrativo ideale per condurre il visitatore nell’itinerario espositivo delle opere in esso presenti, firmate Jean Mirò o Alberto Giacometti o, ancora, Chagall. La dimensione interna della Fondazione è, quindi, funzionale alla lettura del percorso di esibizione dei lavori degli autori che sono ospitati, a volte anche temporalmente, dalla stessa.
In questa situazione non possiamo che dirci pienamente attori di un lungo viaggio tra i protagonisti dell’arte moderna del XX secolo, partendo dal grande e spazioso patio, che irrompe come una piattaforma all’esterno dell’edificio, quasi affiancandolo in una continuità stilistica, dove sono esposte le opere stilizzate di Giacometti e la celeberrima Donna sulla sedia di Jean Mirò, avanguardie in una nuova visione del concepire l’arte nella sua plasticità, quasi immateriale e simbolistica. Parlare dell’autore svizzero Alberto Giacometti risulta alquanto riduttivo se si pensa alla sua evoluzione complessiva che lo portò dalla poetica del sogno e dell’immateriale a una concezione più realista dell’arte, quasi scientifica.
Questo passaggio è palesemente percepibile se si osservano gli elementi che Giacometti ha utilizzato per realizzare le sue ultime sculture, avvicinandosi sempre di più alle questioni esistenzialistiche che erano oggetto primario di ispirazione soprattutto nella produzione di Sartre, a cui l’artista ha fatto riferimento in questo periodo della sua produzione. |
Il razionalismo percepibile dell’edificio ci porta a comprendere l’esigenza di dotare il complesso di spazi e vani che garantissero un risparmio notevole di energia e di calore, dotando, così, la stessa Fondazione di una propria autonomia strutturale, soprattutto non sfruttatrice delle risorse disponibili e finite dell’ambiente circostante: un esempio primigenio di concetto di raffinata architettura ecologicamente sostenibile. Le grandi terrazze poste sopra la struttura garantiscono un’ampia visione dell’ambiente circostante a testimonianza della totale apertura del museo alla natura vicina, diventandone certamente parte integrante. La creazione di alternanza tra spazi aperti e immersi nella luminosità e spazi chiusi, dove filtrano i raggi del sole e maggiormente si gusta quell’ombra calibrata e diffusa, danno a questo edificio la caratteristica di essere parte connaturata con l’ambiente circostante, in totale sintonia con esso.
L’architetto catalano, Sert, è noto per aver fondato i principi del movimento moderno e aver dato vita insieme ad altri colleghi al CIAM, Congrès Internationaux d’Architecture Moderne, fondato nel 1928 presso il castello di H. de Mandrot a La Sarraz in Svizzera. Sert cresce inizialmente nello studio di Le Corbusier, dove lavorò senza alcuna ricompensa in natura economica ma percependone lo stile e la poetica che avrebbe aperto da lì a poco un movimento rivoluzionario nel modo di intendere e di vedere l’arte architettonica.
Gli insegnamenti del grande nome parigino portarono i frutti nel corso della produzione di Sert, che progettò opere storiche della portata della Fondazione Mirò, a Barcellona, e del padiglione per l’esposizione spagnola all’Expo di Parigi nel 1937: per realizzare questa opera, Sert chiamò grandi artisti, per esempio annoveriamo il nome illustre di Picasso, per valorizzarne il contenuto e la portata artistica, quasi volendo imprimere al lavoro di produzione e preparativo un significato politico, dato che lo stesso padiglione doveva essere posto a fianco di quello della Germania nazista. Sert si trasferisce nel 1939 negli Stati Uniti, dove ottenne nel 1951 la cittadinanza.
In questo contesto progetterà sette piani regolatori, tra cui quelli di Medellìn, Cali, Bogotà e L’Avana, Charles River Campus, Boston University, siamo tra il 1960 e il 1967, iniziando così la sua attività nell’ambito accademico, con attenzione per l’aspetto residenziale studentesco integrato alla struttura complessiva universitaria; disegnerà gli appartamenti a Roosevelt Island, New York, nel 1976, diventando, poi, professore emerito presso la Graduate School of Design (1953-69) dell’Harvard University, il cui Center for the study of world religions (1958-59), così come il Carpenter center for visual arts, verrà da lui stesso ideato e progettato insieme a Le Corbusier nel 1963.
L’architetto catalano, Sert, è noto per aver fondato i principi del movimento moderno e aver dato vita insieme ad altri colleghi al CIAM, Congrès Internationaux d’Architecture Moderne, fondato nel 1928 presso il castello di H. de Mandrot a La Sarraz in Svizzera. Sert cresce inizialmente nello studio di Le Corbusier, dove lavorò senza alcuna ricompensa in natura economica ma percependone lo stile e la poetica che avrebbe aperto da lì a poco un movimento rivoluzionario nel modo di intendere e di vedere l’arte architettonica.
Gli insegnamenti del grande nome parigino portarono i frutti nel corso della produzione di Sert, che progettò opere storiche della portata della Fondazione Mirò, a Barcellona, e del padiglione per l’esposizione spagnola all’Expo di Parigi nel 1937: per realizzare questa opera, Sert chiamò grandi artisti, per esempio annoveriamo il nome illustre di Picasso, per valorizzarne il contenuto e la portata artistica, quasi volendo imprimere al lavoro di produzione e preparativo un significato politico, dato che lo stesso padiglione doveva essere posto a fianco di quello della Germania nazista. Sert si trasferisce nel 1939 negli Stati Uniti, dove ottenne nel 1951 la cittadinanza.
In questo contesto progetterà sette piani regolatori, tra cui quelli di Medellìn, Cali, Bogotà e L’Avana, Charles River Campus, Boston University, siamo tra il 1960 e il 1967, iniziando così la sua attività nell’ambito accademico, con attenzione per l’aspetto residenziale studentesco integrato alla struttura complessiva universitaria; disegnerà gli appartamenti a Roosevelt Island, New York, nel 1976, diventando, poi, professore emerito presso la Graduate School of Design (1953-69) dell’Harvard University, il cui Center for the study of world religions (1958-59), così come il Carpenter center for visual arts, verrà da lui stesso ideato e progettato insieme a Le Corbusier nel 1963.
I visitatori, se ne registrano circa 200.000 ogni anno, si addentrano, così, in un percorso costruito nel paesaggio mediterraneo e interagente con esso: una grande corte dei giardini Giacometti, dove si possono ammirare i suggestivi panorami di una Costa Azzurra viva e dinamica, diventando quasi essi stessi opere d’arti naturali, conduce lo spettatore in un itinerario di opere di autori di rilievo che ti trasportano nell’analisi e nella conoscenza di poetiche differenti, magari anche individuali, ma unite dal concetto di sperimentazione e di costruzione di proposte alternative e di rinnovamento del modo di intendere e di concepire l’arte nella sua universalità.
Passiamo, così, dall’ammirare sculture e opere monumentali poste nel giardino stesso, percepibili alla vista come fossero strutture che crescono all’interno dell’ambiente incontaminato, in cui sono inserite, quasi sorgendo spontaneamente dalla terra, di uno Chagall, con la sua filosofia artistica che può essere ascrivibile all’avanguardia novecentesca, eclettica quanto plurale, per arrivare a quelle di un Mirò, che con le sue opere, ceramiche e pitture, ci fa addentrare a pieno titolo nel surrealismo puro e certo. Apprezziamo, così, proseguendo nel cammino, un Bonnard, nuovo ripensamento dell’impressionismo classico, e un Braque, autore di grandi bacini in vetro macchiato, sapore molto cubista nelle linee e nelle definizioni stilistiche. Il lungo percorso che ci conduce anche internamente alla struttura ci porta a contemplare le opere di autori contemporanei. In questo periodo possiamo inoltrarci nell’apprezzare la produzione di Gerard Gasiorowski con le sue litografie e opere in cui traspare in modo centrale l’immagine, tratta magari da una foto, organizzate ed esposte in una progressione che ci porta alla mente un vero album di famiglia. L’autore non ha mai voluto appartenere a nessun tipo di scuola artistica: forse le sue radici potrebbero essere inquadrabili nel surrealismo, se proprio si vuole giungere a una semplificazione banale della sua produzione, ma chiaramente vediamo in Gasiorowski uno studio particolare e autonomo della figura, tale per cui l’ispirazione nasce da un atteggiamento quotidiano inconsueto, inatteso, inaspettato e l’immagine viene resa in un’aurea di forte perturbamento esprimente allo spettatore quella stessa sensazione che l’artista provava nell’atto del dipingere: inquietudine e difficoltà esistenziale.
Le opere di Gasiorowski erano visibili fino al 26 settembre, un’opportunità per meglio concludere un tuffo e un inabissamento, interiori e rigenerativi, nell’arte in tutte le sue forme e in tutte le sue visioni, al fine di rendere completa la narrazione artistica figurativa che ha segnato il secolo scorso.
Le opere di Gasiorowski erano visibili fino al 26 settembre, un’opportunità per meglio concludere un tuffo e un inabissamento, interiori e rigenerativi, nell’arte in tutte le sue forme e in tutte le sue visioni, al fine di rendere completa la narrazione artistica figurativa che ha segnato il secolo scorso.
Alessandro Rizzo
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