Leggere e interpretare la pittura di Massimo Costantini risulta alquanto complesso per un motivo molto chiaro: la semplicità della sua rappresentazione che viene espressa nelle sue parti essenziali quanto mobili. Massimo gioca molto con le unità cromatiche, rendendole parti integranti di una descrizione, accurata quanto dinamica, delle forme, spesso paesaggi urbani, di quella città che lui ricorda, che lui ripropone nella sua valenza iperrealistica, quasi suggestiva, in una chiave che rende possibili nuovi panorami e nuove visioni che mai ci potrebbero essere suggerite da una lettura superficiale, quanto quotidiana della realtà. L’ambiente naturale è, così, parte integrale di un percorso elaborativo che porta Massimo a delineare le proprie opere, in una chiave soggettiva, qui il lato quasi impressionista, che ci porta a una rivisitazione dell’esterno, il paesaggio, verso un’interiorità, l’animo umano dell’autore, interprete primario della visione pittorica nel suo insieme. Il quadro non viene lasciato libero nelle sue componenti: vi è un’occupazione assoluta della tela da parte di un trionfo del tratteggio e delle pennellate che ci portano a intrecciare fonti di luminosità e contorni di figure quasi eteree, immateriali, seppure provenienti da una definizione tangibile e chiaramente esistente dell’elemento raffigurato, ora una pianta, ora il selciato della strada, ora il profilo di un palazzo. È in questo contesto che si assapora e si sprigiona quell’emozione che la visione delle opere di Massimo ci portano a provare: emozioni che sono messaggi che comunicano con la nostra intimità, con il nostro io, suggerendoci messaggi che provengono da un alfabeto storico collettivo per giungere verso vibrazioni interiori intime e individuali. Massimo Costantini non è solamente un pittore da “studio”, al chiuso delle pareti confortanti di un suo atelier: Massimo opera anche “en plein air” in un’accezione non puramente “impressionista”, non è un rinnovato stile che ritrova espressività quella forza determinante di una certa estetica di un Renoir o di un Seruat, seppure i suoi paesaggi possano anche goderne di certa influenza, soprattutto nella sapienza dell’unione cromatica della tela. Massimo vive anche sulla strada, quasi affossando in quella street art che dette grande prestigio a figure del calibro di Keith Haring: ama molto questa espressione figurativa, quasi stilizzando alcune figure e alcune forme, rendendole minimali, solo una pennellata definisce contorni e accenni di linee esteticamente leggiadre ma incisive, e si affianca a una poetica che vive di quella immediatezza, naturalità, spontaneità. Ragione e istinto sono iati artistici all’interno dei quali Massimo agisce, portandoci a visioni che vanno oltre al figurativo realista, quasi appoggiando in quella indefinitezza dei contorni e in quella dimensione universale di particolari che compongono la sua tela, tutti uniti, come fosse in un puzzle, nell’armonia di una rappresentazione figurativa completa ed equilibrata. Acquarello e tempera si compenetrano come tecniche e ci donano quegli effetti che non dolosamente ma con spontaneità Massimo ci vuole rappresentare nella propria totalità: in questi frangenti tecnici si introducono effetti artistici di grande portata tali da donarci quelle visioni che si ispirano e si nutrono di quella gestualità viva e vivace, fonte di quell’impeto e di quella prorompenza cromatica che i tratteggi e le tinte, che definiscono l’opera, ci possono suggerire. La gestualità è la parte preminente di una visione artistica completa che irrompe nelle nostre visioni e ci apporta verso nuove dimensioni pittoriche narrative tali da farci compenetrare nella dimensione paesaggistica urbana, e non solo.
La soggettività nella pittura di Massimo si sposa con la necessità di memoria, testimonianza del bisogno, e possibilità, di immortalare uno stato d’animo declinato e tradotto in fantasie cromatiche uniche e universali. Il tocco è delicato, leggero, quasi ritmo e rima di versi poetici che sono insiti nella raffigurazione della natura e dell’ambiente, che viene proposto sotto la forma della lucentezza e della cromaticità nella sua fusione e nelle sue sfumature, tanto da configurare realmente e plasticamente quelle sensazioni che lo stesso autore ha avuto nel momento di percezione del paesaggio, frutto di una proiezione mentale più che descrittiva. Alessandro Rizzo
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L’immateriale nel blu immenso e universale
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