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Movimenti
in mostra:
la trasversalità
del Liberty
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la trasversalità
del Liberty
Articolo di Marco Bachini
È stata inaugurata il 1 Febbraio e resterà aperta fino al 15 Giugno la mostra Liberty. Uno stile per l’Italia moderna, rassegna allestita presso i Musei di San Domenico di Forlì sotto la supervisione scientifica di Antonio Paolucci. L’esposizione raccoglie materiali di natura e origine molto diverse, come era da aspettarsi, visto il carattere “totale” del Liberty che, prima ancora che categoria estetica o della storia dell’arte in senso stretto, fu una categoria dello stile, del design, della storia del gusto e della sensibilità. Come sottolinea Paolucci stesso nell’introduzione alla mostra, il Liberty fu molto probabilmente il primo movimento artistico a rivolgersi in modo chiaro e consapevole ai bisogni e alle predilezioni estetiche della classe emergente del tardo Ottocento, la borghesia, e oggetti ispirati al gusto floreale (piastrelle da bagno o carte da parati, lampade in ferro battuto o pubblicità di profumi e saponi) si trovarono a decorare e abbellire le case non solo dei nobili o delle élites colte dell’epoca, ma anche quelle della neonata (almeno in Italia) piccola borghesia degli impiegati statali o quelle dei padroncini-imprenditori in espansione, della borghesia dei cumenda e delle fabbrichette. Il Liberty, i cui precedenti storici e ideologici sono da ricercare nel movimento delle Arti e dei Mestieri (Arts&Crafts) nato in Inghilterra nella seconda metà dell’Ottocento ad opera di William Morris, fu un movimento che prese le mosse dal dato di fatto delle nuove condizioni economiche e produttive che la rivoluzione industriale aveva imposto alla produzione di merci, fossero esse oggetti d’ordinaria utilità oppure oggetti “artistici”. Può quindi risultare paradossale che si siano sviluppate proprio in ambienti inizialmente ostili alla produzione industriale in serie, rispetto alla quale immaginavano addirittura di riproporre il modello di produzione pre-moderno e sostanzialmente medievale della “bottega” artigiana, alcune idee e prassi che nel corso del secolo seguente sarebbero state alla base della nascita del moderno concetto di design industriale. Ed è forse anche per questa ragione che il Liberty – stile che ebbe diffusione internazionale tra fine Ottocento e primo Novecento sotto le diverse denominazioni di Art Nouveau, Jugendstil e Modern Style (la prima guerra mondiale è di solito presa come terminus ad quem del movimento o almeno della sua supremazia incontrastata, poiché a partire dagli anni Venti iniziarono a prevalere altri stilemi sia in architettura che nel design) – lo ritroviamo in tutta la sua evidenza, in tutta la sua purezza si potrebbe dire, più nelle arti applicate (arredamento, architettura di interni, mobili, lavorazione del vetro, rilegatura e illustrazione di libri, vasellame, etc.) che nelle arti “maggiori” (pittura, scultura, disegno, etc.), più nell’artigianato d’insuperato livello qualitativo, che nell’arte come la si intende di solito. Se infatti andiamo a guardare gli artisti, e segnatamente i pittori, che sono stati inseriti nella mostra di Forlì come massime espressioni del Liberty pittorico italiano, non possiamo fare a meno di notare la grande eterogeneità degli stili, dei linguaggi, delle fonti d’ispirazione estere; tale è l’eterogeneità che verrebbe da pensare che questi artisti ebbero ben poco in comune, se escludiamo il fatto meramente cronologico che si trovarono ad operare nello stesso scorcio di anni e che quindi furono in qualche modo influenzati dai tempi in cui vissero, assorbendone in parte anche in modo inconscio coordinate e valori di riferimento. Si possono certo individuare dei nuclei tematici e stilistici ricorrenti: quello della figura femminile, spesso oscillante fra la rappresentazione quale donna angelicata d’ispirazione preraffaellita e quella da bellezza medusea e dalla sensualità torbida anch’essa di derivazione romantico-decadente (per esempio in un celebre quadro di Giulio Aristide Sartorio intitolato La Gorgone e gli eroi); quello di un decorativismo spinto che finisce spesso per privilegiare il puro gioco dei colori a scapito della corporeità tridimensionale della rappresentazione (in varie opere di chiara derivazione klimtiana di Galileo Chini come La primavera classica o in altre più di impianto divisionista di Previati come La danza delle Ore); ma al di là di questo sembrano prevalere più le divergenze che le convergenze, più le difformità dei percorsi individuali che un qualche trait d’union stilistico o programmatico che infatti non solo non fu mai elaborato né dichiarato in sede teorica, ma non fu poi neanche verificato de facto in prassi pittoriche o stilistiche comuni. Ma al di là delle grandi opere presenti alla mostra, alcune delle quali di sicuro impatto scenografico, è proprio nelle arti minori che il senso di questo stile sembra emergere con maggiore nitore: nelle sale dedicate alle riviste letterarie del periodo (a Vienna Ver sacrum fu una delle fucine in cui trovarono spazio le grafiche di Koloman Moser e di Alfred Roller, a Londra lo Yellow Book ospitò gran parte della stilizzata e futuribile produzione di Aubrey Beardsley, in Italia Gabriele d’Annunzio fu uno dei primi scrittori a dare rilievo alla realizzazione grafica e artigianale dei propri lavori, al di là del puro contenuto testuale); nelle sale dedicate al provinciale e nondimeno fertilissimo cenacolo che si formò a Faenza attorno alla personalità del disegnatore, scultore e incisore Domenico Baccarini, morto a soli venticinque anni nel 1907, ma cui siamo debitori di un corpus notevole di opere, sia in senso quantitativo che qualitativo; negli spazi dedicati alle inferriate e ai merletti della Aemilia Ars che tra 1898 e 1903 svolse in area romagnolo-bolognese un ruolo analogo a quello che aveva svolto l’Arts&Crafts Movement di William Morris in Inghilterra, quello cioè di proporre una produzione artigiana di alto livello di mobili, vasellami e altre decorazioni per la casa. Un ulteriore punto di merito della mostra consiste nelle sale che sono state dedicate a laboratori didattici pensati per le scuole – si può preannunciare a chi fosse interessato a visitare l’esposizione che si troverà a fare lo slalom tra numerose comitive scolastiche – laboratori in cui agli studenti vengono spiegate praticamente le diverse tecniche artigianali con cui vennero realizzati i manufatti esposti (lavorazione del vetro e delle vetrate a piombo, lavorazione della ceramica, etc).
Marco Bachini
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Aldo Pardi, Claudia Lamdolfi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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