Esiste ancora una certa diffidenza verso l’autorevolezza della fotografia, nonostante quest’arte abbia ormai quasi 150 anni, tanto da relegarla ancora come forma di espressione visiva secondaria rispetto all’arte pittorica. Si può dire che l’avvento della modernità con il suo sviluppo tecnologico abbia diffuso una certa perplessità verso la vera capacità creativa del fotografo, tanto da svilirne la portata e la sua caratteristica intrinseca: diversi pensano che ormai a fare buone fotografie possa essere chiunque e che quel chiunque possa decidere, nell’era del digitale, lo scatto migliore tra vari e molteplici fatti. Questi concetti diventano dei pregiudizi se ci si confronta con nuovi fotografi dell’era contemporanea, quella della tecnologia che rende “democratica” ogni forma di produzione, in quanto a basso costo e con più facilità si possono avere strumenti che, in un breve periodo, ti permettono di creare un lavoro: alcuni di questi nuovi fotografi adottano una poetica, un’ispirazione e una cura attenta nella fase di realizzazione dell’opera fotografica, tanto da controvertere il pregiudizio che aleggia nella diffidenza verso l’arte fotografica post moderna. Tomaso Carbone si può inserire in questo solco, ossia è un giovanissimo fotografo, in continua evoluzione, sperimentazione, teso sempre a “migliorare l’aspetto tecnico”, studente di design della comunicazione al Politecnico Bovisa di Milano. Tomaso vede la fotografia come vera passione, fuori da una logica lavorativa e occupazionale, libero di esprimere la propria arte attraverso il linguaggio fotografico, quell’arte che “ognuno interpreta e vede a modo suo”, pur essendo certo che la vera fotografia “deve dare una visione sempre soggettiva, nonostante l’oggettività dell’immagine ripresa”.
Tomaso parla di fotografia artistica, in cui il concetto che spesso esprime è semplice, diretto, chiaro. Inizia da poco a dedicarsi alla fotografia concettuale con opere come “Solitude”, aprendo una vera e propria stagione nella sua produzione, finora volta al ritrattismo, soprattutto quello femminile, o all’autoritrattismo, delineando opere quasi pittoriche, come nei suoi lavori che riprendono lo stesso autore dietro a una piattaforma di vetro, suggerendo suggestive visioni e contorni non definiti, fuori dall’estetica del puro reportage. quasi riecheggiando quelle tinte pastose di certa pittura fiamminga. “Time (passes by)” segna quasi un punto di volta nella produzione di Tomaso: “un’esposizione di 30 secondi”, ci racconta l’autore, realizzata durante “una notte”, in cui stava “cercando delle ambientazioni interessanti, appostato con il cavalletto e il nuovo grandangolo”. Tomaso esprime chiaramente e con onestà il punto della sua produzione, in continuo mutamento, come a un artista in divenire si addice: “ho iniziato ora a definire un mio stile”, ma già si nota in “procARTination that’s why I was so bad at school” uno stile che lo stesso Tomaso definisce personale, così come in “Data transfer”, dove un vero e proprio concetto si manifesta, realizzata, dice l’autore, “come se avessi elaborato le informazioni da un libro e trasferite ai miei device tecnologici”. Tomaso ci parla, così, di “un modo di creare, ricevere e inviare informazioni continuo nell’era digitale su tutto, dalla conoscenza all’amore, passando tutto attraverso la tecnologia”: “una frazione di questo aspetto - precisa Tomaso - è ripresa nella mia immagine”. La frazione è quell’attimo che Tomaso cerca di carpire e immortalare, spesso rendendo la stessa fotografia quasi cinetica, come in quella scheggia colorata che sfugge nel pieno della notte urbana e silenziosa: un movimento che ci presenta la dinamicità e tutta l’attenzione che Tomaso pone nella realizzazione della fotografia, tra passione, dedizione e alta sensibilità creativa, intuizione quanto cognizione artistica. L’unica differenza che c’è tra arte pittorica e fotografia, secondo Tomaso è il mezzo, “perché le linee non sono più tanto separate, dato che sempre più fotografi manipolano le loro immagini con photoshop, creando grandi capolavori che rispetto ai quadri perdono la fisicità”. Tomaso non usa molto photoshop, anche se in questi mesi lo impiega, si vede, in modo sperimentale e, quindi, creativo e non meramente meccanico. Quella di Tomaso è una svolta che lo porta a vedere nella fotografia concettuale la sua espressione nuova, quell’espressione che cerca di “trovare un modo di fare funzionare il concetto attraverso una sola immagine, rendendolo più chiaro possibile” racconta Tomaso. È vero: è nell’immediatezza dell’arte fotografica che troviamo la centralità del “colpo d’occhio”, “spingendo - come suggerisce Tomaso - l’osservatore a chiedersi il perché”. Il concetto, così come tanta pittura simbolista ci insegna, nasce e cresce dentro di noi, spontaneamente, naturalmente. Il concetto nella fotografia di Tomaso lo si può eccepire dalle immagini che sono riprese: “sta allo spettatore saperlo interpretare, spingendo, quindi, l’osservatore stesso a chiedersi il perchè”. “Sta allo spettatore vedere quello è già dentro di se, a volte” - precisa Tomaso - mentre lui, come autore, nella fase di produzione, ci racconta come debba “recitare cercando di immedesimarsi nell’immagine in mente”, se si parla di autoritratto; oppure “attendere cercando la composizione perfetta”, se il soggetto è statico, “anticipando, prefigurando la scena e attendendo l’attimo giusto”, se il soggetto è un’azione in movimento. Non c’è dubbio che la fotografia di Tomaso racconta e narra qualcosa in una certa autonomia compositiva: il ritratto vede una certa attenzione di Tomaso alla bellezza, quella esteriore e quella interiore, quindi universale, seppure quella visibile e percepibile sia l’elemento su cui maggiormente lavorare in fotografia, dato che la personalità è difficile rilevare e riprendere, anche se impresa non difficile, assicura l’autore. In attesa di nuovi acquisti tecnici per miglioramenti, dovuti nella continua sperimentazione e ricerca artistica, l’autore sta sperimentando come alternativa al ritrattismo, maggiormente dedicato alle figure femminili, lo storytelling, aspetto narrativo di un’opera fotografica. Il digitale non necessariamente significa disporre di una tecnica che svilisce l’aspetto artistico di un’opera: “l’arte è cambiata, ricalibrando il modo di vederla”, ci suggerisce Tomaso. Un motivo maggiore, è questo, per cercare di comprendere le potenzialità di nuove poetiche compositive nel mondo moderno e tecnologico dell’arte, soprattutto quella fotografica. Alessandro Rizzo
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Aldo Pardi, Nicola Lonzi, Marco Bachini, Daniel Montigiani, Viviana Vacca, Alessandro Rizzo, Fabio Treppiedi, Silverio Zanobetti, Sara Maddalena, Daniele Vergni, Mariella Soldo, Martina Lo Conte, Fabiana Lupo, Roberto Zanata, Bruno Maderna, Alessia Messina, Silvia Migliaccio, Alessio Mida, Natalia Anzalone, Miso Rasic, Mohamed Khayat, Pietro Camarda, Tommaso Dati, Enrico Ratti, Ilaria Palomba, Davide Faraon, Martina Tempestini, Fabio Milazzo, Rosella Corda, Marco Fioramanti, Matteo Aurelio, Enrico Pastore, Giuseppe Bonaccorso, Rossana De Masi, Francesco Panizzo.
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